Speciale farmaco biologico. Convegno nelle Marche. Ecco gli scenari
I biologici hanno modificato drasticamente la cura dei pazienti, ma le necessità di contenimento dei costi hanno indirizzato le scelte regionali verso l’adozione di farmaci a prezzo più sostenibili. Nel corso del terzo incontro promosso da Fondazione Charta ad Ancona, i dubbi dei clinici e le rassicurazioni delle istituzioni.
09 LUG - “I farmaci biosimilari sono farmaci biologici simili, ma non identici, ai biologici originatori. Ma il processo di autorizzazione dei biosimilari è a tutti gli effetti simile all’originatore per le indicazioni che l’Ema ha stabilito. Di conseguenza si può affermare che sicurezza ed efficacia di ogni biosimilare in commercio sono note e sovrapponibili agli originatori in commercio. Si raccomanda quanto riportato dall’Aifa ‘per i pazienti di nuova diagnosi (drug naive) non vi sono motivi per consigliare cautela nell’adottare i farmaci biosimilari’”.
Partono da qui le scelte messe in atto dalla regione Marche nella gestione del farmaco biologico e della sua opzione terapeutica il biosimilare. Un’indicazione che, secondo le stime regionali porterà, grazie all’uso in concorrenza di farmaci biosimilari e originator, una riduzione dei costi di almeno il 20% l’anno. In soldoni circa 3 milioni di euro.
Linee d’azione rese necessarie per continuare a garantire la sostenibilità del Servizio sanitario regionale e l’accessibilità della cura ai pazienti, e che hanno stimolato un confronto serrato istituzioni, clinici e farmacisti nell’ambito della giornata “Il valore del farmaco biologico tra continuità terapeutica e sostenibilità economica” organizzata dalla Fondazione Charta con il patrocinio della regione Marche presso la Facoltà di Economia e Commercio Giorgio Fuà ad Ancona.
“La nostra Regione – ha ricordato
Enrico Bordoni, Direttore agenzia regionale sanitaria regione Marche – in questi anni ha superato positivamente la valutazione degli adempimenti Lea da parte del ministero della Salute, ed è tra le Regioni in equilibrio economico. Questo grazie all’approccio che è stato portato avanti in questi anni e che ha mirato a coniugare garanzia dei Lea, qualità e compatibilità economica. I cambiamenti strutturali e organizzativi che sono stati necessari per ottenere questi risultati e che saranno necessari per consolidarli non sono ancora tutti stati completati e vedono impegnati insieme le strutture regionali, le Direzioni Aziendali ed i professionisti del Ssr insieme ai territori e alle comunità locali”. In questo situazione, va quindi inquadrato il tema dei farmaci biologici, “medicinali innovativi che, negli ultimi anni, hanno modificato drasticamente la cura dei pazienti affetti da patologie reumatologiche, gastroenterologiche e dermatologiche sia in termini di evoluzione della malattia sia in termini di qualità della vita”.
La Regione, ha ricordato
Stefano Sagratella, Responsabile dell’assistenza farmaceutica dell’Agenzia regionale sanitaria, ha sostenuto per i farmaci biologici una spesa “rilevante”, tra l’altro in costante ascesa: “Per quanto riguarda la situazione marchigiana nel 2013 la percentuale di DDD consumate di farmaci biosimilari in percentuale sul totale dei farmaci biosimilari + originator è stata del 9% come dato complessivo regionale con una consistente variabilità tra le Aree Vaste della Regione”. Per il 2014 le Marche stanno quindi fissando, come obiettivo per i Direttori generali delle Aziende, il raggiungimento di una percentuale, ancora in via di definizione, di utilizzo dei biosimilari per i pazienti ‘drug naive’. Ma per migliorare l’appropriatezza si stanno sviluppando programmi di monitoraggio d’uso dei farmaci biologici, ed anche progetti di farmacovigilanza attiva per potenziare la conoscenza del profilo di sicurezza.
In linea con il mandato regionale anche l’Asur Marche si sta muovendo. Tre gli obiettivi da raggiungere: la salute delle comunità, la risposta ai bisogni di salute del singolo paziente e la compatibilità economica.
“Questo – ha spiegato
Alberto Deales della Direzione sanitaria dell’Asur Marche – si traduce nella volontà di garantire: equità, evitando le disomogeneità nell’accesso alle terapie tra le varie Aree Vaste; efficacia e la sicurezza delle cure, aspetto particolarmente rilevante in ambito di farmaci biologici e biosimilari; la centralità del paziente e costi sostenibili”.
Ma per raggiungere questi obiettivi, il programma prevede sia il coinvolgimenti dei professionisti (clinici, direttori sanitari, farmacisti) e delle associazioni di pazienti nella definizione di Percorsi Diagnostico-Terapeutici per le patologie che si avvalgono di questa tipologia di trattamenti, sia lo sviluppo di programmi di formazione per i clinici perché, come ha spiegato Deales “questi percorsi possano essere attivati nelle rispettive Reti Cliniche, per sviluppare, in collaborazione con la Regione, un sistema di monitoraggio dell’appropriatezza e della sicurezza in particolare per quanto riguarda l’utilizzo dei biosimilari nei pazienti naive”.
Insomma, un occhio sicuramente attento ai conti, ma anche alla sicurezza dei pazienti, in un regime di collaborazione tra gli attori del sistema.
Ma se in farmacisti ospedalieri sostengono le scelte regionali, non sono mancate perplessità da parte dei clinici.
Per
Walter Grassi,Professore ordinario di Reumatologia presso l’Università Politecnica delle Marche, bisogna tenere ben distinto il mondo reale dalle esigenze di bilancio. “Una sentenza del Consiglio di stato ha stabilito che non ci sono ragioni per dire che biologico e biosimilare sono differenti – ha sostenuto Grassi – questa è una dolce musica per le istituzioni che puntano a realizzare risparmio. Ma io non ho elementi sufficienti per rassicurare il paziente naive nella somministrazione del biosimilare, così come sono convinto che se i farmaci avessero lo stesso costo, la scelta si indirizzerebbe sul biologico. Un farmaco innovativo ha un numero di pazienti trattati ragionevole, sul biosimilare i dati sono ancora insufficienti. Per questo ritengo che la possibilità di uno swich sia è inaccettabile. E anche i farmacisti dovrebbero mettersi nei nostri panni”.
Sulla stessa linea
Alessandro Armuzzi, responsabile dell’UO di diagnosi e terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali della Columbus - Università Cattolica di Roma, che ha invitato le istituzioni ad “agire con cautela. Anche perché, se nell’arco di un paio di anni saranno disponibile i dati dei trials clinici sui pazienti trattati con biosimilare “al momento si naviga ancora al buio”.
“L’avvento dei farmaci biologici nel campo delle malattie gastrointestinali ha modificato notevolmente gli algoritmi terapeutici – ha spiegato Armuzzi – e nel trattamento della malattia di Crohn e della colite ulcerosa, grazie all’introduzione degli anti-Tnf, abbiamo ottenuto importanti miglioramenti degli outcomes. Sono stati raggiunti risultati che prima non era possibile ottenere. Ma ora in vista della ‘scadenza della patente’ del primo di questi farmaci, l’entrata in scena del biosimilare pone alcuni interrogativi. Premesso che non sono contrario all’innovazione del farmaco biosimilare - anche se in questo caso dovremmo parlare d’innovazione a metà, perché siamo difronte alla riproduzione di una molecola che già esiste e che è simile ma non uguale, con tutte le implicazioni che questo può comportare dal punto di vista dell’immunogenicità - la mia preoccupazione è che a oggi non abbiamo ancora una casistica certa sul trattamento con biosimilari per i pazienti con Crohn e colite ulcerosa”.
L’estrapolazione fatta da Ema, ha ricordato Armuzzi, è basata su dati di preclinica e clinica relativi all’artrite reumatoide e alla spondilite anchilosante e pone quindi alcuni punti di cautela nell’applicarla a patologie che sono differenti.
“L’innovazione merita attenzione – ha quindi aggiunto – così come il risparmio che si potrà ottenere, ma non dimentichiamo, come ho spiegato, che nel campo delle malattie gastrointestinali non ci sono ancora evidenze scientifiche. E ancora di più questi timori si amplificano in pediatria dove l’indicazione è stata estrapolata senza essere corroborata da dati certi. Per questo ritengo che le amministrazioni non debbano obbligarci a fare tutto subito. Vorrei ‘poter’ somministrare la terapia, non essere costretto a ‘doverla’ somministrare”.
09 luglio 2014
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