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Immunodeficienze primitive. L'allarme degli esperti: "3.500 italiani ne soffrono ma sono senza diagnosi". I 10 campanelli d’allarme e le terapie 

di Viola Rita

Su 5.000 persone colpite dalla malattia il 70% non è in cura perché non sa di essere malato. La diagnosi precoce è invece fondamentale per evitare danni agli organi. E poi ancora forti disparità tra le regioni, in particolare tra Nord e Sud, per l'accesso ai farmaci. Il punto sulle terapie e sui nuovi trattamenti in arrivo

22 MAG - Circa 5000 italiani soffrono di immunodeficienze primitive (IDP), ma attualmente il network medico-sanitario nazionale ne ha in cura soltanto 1500. Mediamente circa 3500 persone, dunque, sono  affette da una forma di immunodeficienza primitiva senza saperlo: in pratica si tratta del 70% di chi soffre di questa malattia. Ad affermarlo è la Professoressa Isabella Quinti (Immunologa alla Sapienza Università di Roma e responsabile del Centro regionale per le Immunodeficienze primitive del Policlinico Umberto I), durante un incontro per i giornalisti dal titolo “Immunodeficienze: il futuro è oggi”, organizzato ieri a Roma (palazzo Ruspoli) dalla multinazionale farmaceutica e biomedicale Baxter. La Professoressa Quinti sottolinea l’importanza della diffusione dei 10 campanelli d’allarme relativi alle immunodeficienze, data la necessità urgente di poter rintracciare tutte le persone che, senza esserne a conoscenza, sono affette da ID: in questo gruppo di malattie, come in molte altre patologie, infatti, è essenziale una diagnosi precoce, un trattamento individualizzato e un monitoraggio continuo.
 
All’incontro hanno preso parte diversi esperti del settore, quali il Professor Giuseppe Spadaro (Immunologo dell'Università di Napoli Federico II), il Prof. Carlo Agostini (Immunologo dell'Università di Padova), la Dott.ssa Lucia Bernazzi (Membro del Consiglio Direttivo dell'Associazione Immunodeficienze Primitive AIP Onlus) e la Dott.ssa Francesca Ballali (Direttore Generale dell'Associazione Pro ImmunoDeficienze Primitive Italiane PRO-IDPI). L'evento è stato moderato dalla giornalista Carla Massi (Il Messaggero).

Come spiega il Professor Spadaro, le immunodeficienze possono essere primitive (malattie rare, congenite e croniche causate da alterazioni del sistema immunitario che comportano un’aumentata suscettibilità alle infezioni) o secondarie (compromissione, in genere temporanea, del sistema immunitario, causata da altre patologie).
 
Le immunodeficienze primitive colpiscono 6 milioni di persone al mondo, sia adulti che bambini, anche se solo una piccola percentuale di questi casi è ad oggi diagnosticata e censita nei registri internazionali di immunodeficienze.
Il dato italiano, infatti, rispecchia una situazione globale: dei sei milioni di pazienti nel mondo, secondo quanto stimato dall’IPOPI, l’Associazione Internazionale dei Pazienti con Immunodeficienze Primitive, sono solo 27-60 mila i pazienti correttamente diagnosticati (dati provenienti dai registri del network dei Jeffrey Modell Center).
 
La Dott.ssa Lucia Bernazzi dell’AIP ha elencato i 10 campanelli d’allarme che possono far sospettare la presenza di una IDP (immunodeficienza primitiva). Eccoli.
1. Otto o più infezioni nel corso di un anno
2. Due o più gravi infezioni ai seni nasali in un anno
3. Due o più mesi di trattamento antibiotico con scarsi risultati
4. Due o più polmoniti in un anno
5. Il bambino non riesce ad aumentare di peso o a crescere normalmente
6. Ascessi ricorrenti e profondi alla cute o agli organi
7. Afte persistenti nella bocca o in altre parti del corpo dopo il primo anno di età
8. Necessità di ricorrere agli antibiotici per via endovenosa per combattere le infezioni
9. Due o più infezioni profonde come: meningite, ostiomielite, sepsi
10.Presenza nella stessa famiglia di casi di immunodeficienza primitiva
 
Terapia
A livello terapeutico “negli anni ’80 la FDA ha approvato l’utilizzo di IG per via endovenosa (IVIG), trattamento che diventa il gold standard per la terapia delle infezioni nei pazienti con ID”, ha illustrato il Professor Agostini, ricostruendo la storia cronologica dell’approccio terapeutico delle immunodeficienze. “Un’importante alternativa terapeutica è il trattamento per via sottocutanea (SCIG), disponibile in Italia dal 2007”. Tale opportunità ha semplificato molto la terapia di somministrazione con immunoglobuline in quanto, a differenza di IVIG, non richiede accesso venoso, permette la somministrazione o autosomministrazione domiciliare, è praticamente priva di effetti collaterali sistemici, garantisce maggiore libertà e flessibilità di trattamento per il paziente, come sottolineano gli esperti insieme a Baxter.
 
Tuttavia, dato che i quantitativi che possono essere infusi per via sottocutanea sono notevolmente inferiori (massimo 20 ml)  rispetto a quelli per via endovenosa, questa modalità di trattamento richiede una frequenza settimanale attraverso più siti di iniezione. A tal proposito, inoltre, Baxter ha messo a punto un nuovo trattamento terapeutico per via sottocutanea che sfrutta la ialuronidasi ricombinante; tale trattamento, già approvato a livello europeo dall’EMA, in Italia è attualmente in corso la procedura di rimborsabilità del farmaco, riferisce Stefano Reggio, Direttore Medico di Baxter.
“L’innovazione di questa formulazione consiste proprio nella presenza della ialuronidasi ricombinante”, spiega al nostro giornale Stefano Reggio. la ialuronidasi è un enzima che porta la degradazione dell’acido ialuronico, un importante componente dei tessuti connettivi presente ad esempio nel sottocute. “Mediante la preinfusione di ialuronidasi, si crea uno spazio in questa regione, favorendo la somministrazione delle Immunoglobuline”, continua il Direttore Medico Baxter.   
 
Disparità di accesso alle terapie
Da non dimenticare, le disparità regionali rispetto all’accesso alle terapie: come illustra la Professoressa Quinti, dalle stime dei grammi di immunoglobluline (via endovenosa) per 1000 abitanti, si osserva che i dati delle regioni meridionali riportano numeri inferiori rispetto a quelli delle regioni del centro-Nord (in vetta alla classifica la Toscana).  Riguardo al trattamento sottocutaneo, invece, la disparità rispetto al numero di grammi per 1000 abitanti è molto variabile e non segue la spartizione nord-sud (i valori più bassi sono quelli di Emilia Romagna, P.A. di Bolzano e Liguria). “Ciò dimostra che il Servizio Sanitario Nazionale in questo caso non è uniforme: soprattutto per chi si occupa di malattie rare, la regionalizzazione e la parcellizzazione dei livelli di assistenza rappresentano un vero e proprio disastro”, dichiara Quinti. 
 
Viola Rita

22 maggio 2014
© Riproduzione riservata

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