Diabete. A scuola di ipoglicemia con la campagna ‘L’educazione innanzitutto’
di Maria Rita Montebelli
Lanciata a Milano da MSD Primary Care Diabete una campagna educazionale mirata ad aumentare la consapevolezza delle crisi ipoglicemiche e del loro impatto sulla salute. Un problema che genera ogni anno circa 15 mila ricoveri, per una spesa di 48 milioni di euro, e migliaia di accessi al pronto soccorso
09 FEB - E’ l’effetto indesiderato più comune della maggior parte delle terapie anti-diabete, ma non tutti sanno come gestirlo correttamente. E le conseguenze possono essere pesanti. Per questo MSD
Primary Care Diabete ha varato “
L’educazione innanzitutto”, una campagna educazionaleche accende i riflettori sull’ipoglicemia e le sue complicanze e sottolineare l’importanza del ruolo di una sua corretta gestione. Questa iniziativa fa parte di un programma più ampio, messo in atto da MSD
Primary Care Diabete comprendente iniziative sociali ed educazionali innovative, volte a migliorare la conoscenza e la prevenzione del diabete.La campagna "
L'educazione innanzitutto", oltre a ribadire il ruolo centrale dell’
empowerment della persona con diabete, sottolinea anche l'importanza del dialogo con il medico, per arrivare ad una corretta gestione della patologia.
“Questa condizione – spiega
Brian Frier, Professore Emerito di Diabetologia presso l’ Università di Edinburgo
- si verifica quando il livello di glucosio nel sangue è troppo basso rispetto alle esigenze dell’organismo. E dato che il cervello ha bisogno di glucosio per funzionare, una crisi ipoglicemia ne provoca un rapido malfunzionamento, detto neuroglicopenia”. L’organismo risponde al rapido abbassamento dei valori di glicemia con una stimolazione del sistema nervoso autonomo, che tradotto in sintomi, comporta la comparsa di una profusa sudorazione, tremori, senso di fame e tachicardia. Il cervello ‘affamato’ di glucosio si fa invece sentire con il mal di testa, ansia, irritabilità, annebbiamento della vista, difficoltà di concentrazione e di articolare le parole; subentrano poi sonnolenza, stato confusionale e si può arrivare fino alle crisi comiziali e al coma, per le crisi più gravi e prolungate, se non si interviene tempestivamente. E il momento peggiore per una crisi ipoglicemica è ovviamente la notte, durante il sonno, non ci si può accorgere di questi campanelli d’allarme e le conseguenze possono essere molto gravi.
Particolarmente a rischio sono le persone anziane, nelle quali i sintomi dell’ipoglicemia sono più sfumati e possono essere scambiati con un TIA (attacco ischemico transitorio) o con manifestazioni di demenza.
Le crisi ipoglicemiche, oltre ad essere assai spiacevoli per chi le prova, comportano rischi non indifferenti sull’apparato cardiovascolare (aritmie, ischemie, insufficienza cardiaca, morte improvvisa) e sul sistema nervoso centrale (deterioramento delle funzioni cognitive, conseguente alle crisi, aumento del rischio di demenza). Senza contare il pericolo di cadute e di fratture o anche di incidenti stradali, se la crisi si verifica mentre la persona con diabete è alla guida.
“Oltre alle conseguenze sulla salute – ricorda il professor
Salvatore Caputo, presidente di Diabete Italia – la persona vittima di crisi ipoglicemiche presenta un peggioramento della qualità di vita; e c’è il rischio concreto che per evitare il ripetersi della crisi, i pazienti si autoriducano spontaneamente la terapia, peggiorando così il loro compenso metabolico ed esponendosi alle complicanze del diabete.”.
Le persone vittime di gravi crisi ipoglicemiche devono essere ricoverate in ospedale, anche perché alcuni ipoglicemizzanti orali, quali le sulfaniluree, possono dar luogo a crisi prolungate fino a 48-72 ore. Secondo uno studio canadese, per ogni persona ricoverata per crisi ipoglicemica, ve ne sono altre 16-17 che vengono trattate in pronto soccorso. La spesa per un ricovero negli Usa è stata quantificata intorno a 14 mila dollari. In Gran Bretagna, la spesa annua generata dai ricoveri per ipoglicemia grave è stimata sull’ordine dei 13 milioni di sterline. Ma anche le ipoglicemie ‘minori’ hanno pesanti ricadute economiche; studi condotti in Francia e Germania, stimano che ogni episodio ‘minore’ causi una perdita di ore lavorative che si traduce in una perdita economica di 15-19 dollari. Secondo lo studio Hysberg, condotto in Italia da IBDO e Federanziani, in collaborazione con il Consorzio Mario Negri Sud, una persona con diabete su 10, tra gli
over 65, presenta nel corso dell’anno una crisi ipoglicemica grave che, in oltre il 60% dei casi, richiede il ricovero in ospedale, con un costo medio per ricovero stimato intorno ai 3.500 euro. Ogni anno nel nostro Paese vi sono dunque circa 15 mila ricoveri imputabili all’ipoglicemia grave, che generano una spesa di 48 milioni di euro a carico dell’Ssn. Alla spesa dei ricoveri inoltre va sommata quella degli accessi al pronto soccorso, molto più numerosi.
“Il rischio di ipoglicemie – spiega il Prof.
Agostino Consoli, Ordinario di Endocrinologia Università di Chieti - è nettamente ridotto nelle persone trattate con terapie basate sulle incretine (gli analoghi del GLP-1, che si somministrano per iniezione sottocutanea e gli inibitori del DPP-4, in compresse). Questo avviene perché le nuove molecole funzionano in relazione della glicemia; quando questa si abbassa al di sotto di un certo livello, le terapie incretiniche smettono di funzionare e questo protegge il paziente dalla comparsa di ipoglicemia. Un altro
plus notevole di questi nuovi farmaci è che, al contrario delle vecchie sulfaniluree e dell’insulina, non fanno aumentare di peso, anzi lo riducono. Negli studi ‘testa a testa’ tra sulfaniluree e inibitori del DPP-4, come il sitagliptin, a distanza di due anni i pazienti trattati con i vecchi farmaci, appaiono appesantiti di 2-3 Kg, rispetto a quelli trattati con le incretine. La
durability dell’azione del sitagliptin inoltre, appare superiore a quella delle sulfaniluree”.
La correzione degli episodi di ipoglicemia può andare dalla somministrazione di qualche bustina di zucchero, fino, nei casi più gravi, all’iniezione intramuscolare di glucagone (un ormone ‘antidoto’ dell’insulina) o alla somministrazione di glucosata per via endovenosa, ovviamente in pronto soccorso o in ospedale. “Ma vi è anche chi, consciamente, pur riconoscendo i sintomi dell’ipoglicemia – ricorda
Egidio Archerio, presidente FAND – tende a non intervenire immediatamente con lo zucchero e qualche bevanda zuccherata, pensando, ad esempio, di poter arrivare presto a casa, oppure non volendo evidenziare il proprio bisogno di staccare dal lavoro o da una qualsiasi attività per rimediare all’
ipo. La consapevolezza dei pazienti sui rischi legati all’ipoglicemia non è mai sufficiente.
E qui entriamo nel delicato campo della necessità di un’educazione all’autocontrollo strutturato e al coinvolgimento, come effettiva partecipazione e confronto della persona con diabete, con il medico diabetologo, l’infermiere, lo stesso medico di famiglia (come prevede il progetto IGEA), per arrivare ad una migliore gestione della propria malattia”.
Maria Rita Montebelli
09 febbraio 2014
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