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Staminali. Da Harvard un metodo per far tornare ‘pluripotenti’ le cellule adulte

di Maria Rita Montebelli

La scoperta di Haruko Obokata pubblicata su Nature: le cellule somatiche dei mammiferi possono essere trasformate in cellule pluripotenti, sottoponendole ad uno stress fisico violento. "La generazione di queste cellule sembra in pratica la reazione di Madre Natura ad un danno", così Charles Vacanti responsabile del laboratorio tissutale di Harvard

31 GEN - Si chiama STAP (Stimulus Triggered Acquisition of Pluripotency) ed è la breaking news di Nature. La scoperta è della giapponese Haruko Obokata (Laboratory for Tissue Engineering and Regenerative Medicine, Brigham and Women’s Hospital, Harvard Medical School, Usa) e consiste nella possibilità di far tornare pluripotente, allo stato embrionario, una cellula somatica adulta differenziata. Per farlo, basta ‘stressare’ la cellula con uno stimolo fisico forte, ma di breve durata, quale esporla ad un ambiente a pH acido. Le cellule STAP sono caratterizzate da una netta riduzione di DNA metilato (la metilazione è una sorta di ‘ganascia’ che impedisce al DNA di essere trascritto), proprio in corrispondenza delle regioni regolatrici dei geni che conferiscono la pluripotenzialità.
 
E’ una scoperta sensazionale che dimostra come basti uno stimolo ambientale forte per ribaltare il fato delle cellule adulte, facendole regredire ad uno stato embrionario, ‘scatenando’ cioè in loro la potenzialità di trasformarsi virtualmente in qualunque altra linea cellulare. E il tutto con un ‘bagnetto’ nell’acido, o una ‘strizzatina’ in un capillare di vetro.
Haruko Obokata, la giovane biologa che ha fatto la scoperta, ricorda come tutti gli altri ricercatori del suo gruppo, abbiano a lungo e pesantemente messo in dubbio il suo metodo. “Ho passato dei brutti giorni, mi dicevano che si trattava di un artefatto. Ma io non mi sono persa d’animo. L’idea per questo esperimento mi è venuta osservando che, mettendo in coltura delle cellule, quelle ‘strizzate’ all’interno di un tubo capillare, si andavano a ‘restringere’, assumendo le dimensioni di una cellula staminale. Ho deciso allora di cimentare le cellule con diversi tipi di stress, il caldo, il ‘digiuno’ o un ambiente molto carico di calcio. Solo tre fattori stressanti però, una tossina batterica che perfora la membrana cellulare, l’esposizione ad un pH basso e lo ‘strizzarle’ fisicamente, sono risultati in grado di portare la cellula ad esprimere i marcatori di pluripotenzialità”.
 
Ma per acquisire lo status di cellula pluripotente, questo da solo non basta: la cellula, dopo essere ‘regredita’ verso lo stato embrionario, deve poi essere in grado anche di ridifferenziarsi verso tipi cellulari diversi. Per dimostrare che le ‘sue’ cellule fossero capaci di questo, la giapponesina, ha iniettato in un embrione di topo le cellule STAP, marcate con un colorante fluorescente. Se veramente si fosse trattato di cellule pluripotenti, si sarebbero dovute ritrovare, di lì a poco, in tutti i tessuti, maturate in diverse linee cellulari. E così è stato: il laboratorio di Obokata si è andato riempiendo di embrioni di topo tutti verde ‘fluo’. La scommessa era ormai vinta? Neanche per scherzo. Il suo lavoro era evidentemente troppo avanti - e lei troppo giovane - per essere accettato a priori. E quindi, è andata a finire che è stato bocciato più volte, da una serie di riviste prestigiose.
 
Cosa fare allora? Non restava che tornare in laboratorio, per convincere gli scettici che le ‘sue’ cellule pluripotenti fossero realmente cellule adulte ‘trasformate’, e non cellule pluri-potenti preesistenti. Per farlo, l’ingegnosa ragazza ha creato delle cellule pluripotenti, partendo da linfociti T maturi e filmando tutto il processo del fenomeno STAP in un video. Questo avrebbe convinto tutti, una volta per tutte.
“La generazione di queste cellule – ha commentato Charles Vacanti, responsabile del laboratorio di ingegneria tissutale di Harvard dove la giovane Obokata ha fatto la sua sensazionale scoperta – sembra in pratica la reazione di Madre Natura ad un danno”.
 
Ma le meraviglie delle cellule STAP non finiscono qui. Un’altra loro sorprendente caratteristica è che possono trasformarsi anche in tessuto placentare, cosa che né le cellule iPS (le induced Pluripotent Stem cells, scoperte nel 2006 da altri due giapponesi, Takahashi e Yamanaka), né le staminali non embrionarie sono in grado di fare. E questo potrebbe avere delle ricadute inimmaginabili sui processi di clonazione, ma è ancora presto per parlarne.
Nel frattempo Obokata, è già riuscita a riprogrammare le sue cellule STAP in una dozzina di tipi cellulari: cellule nervose, della pelle, dei polmoni, del cuore e del fegato. E oggi nessuno dei suoi colleghi di laboratorio, la prende più in giro.
 
Maria Rita Montebelli

31 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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