Farmaci biosimilari. Aiom: “Sono una risorsa ma attenzione ai rischi"
Per il 50% degli oncologi possono garantire risparmi, anche se per 4 su 10 i fondi vanno cercati in altri ambiti. Cascinu: “Al via un tour in 9 Regioni per sensibilizzare gli specialisti sull’uso di questi prodotti. Solo il 24% ne dà una definizione corretta. La decisione sulla sostituibilità spetta solo ai medici”.
13 MAR - Il 92% degli oncologi italiani utilizza farmaci biotecnologici per i propri pazienti, ma solo il 24% dà una definizione corretta dei biosimilari, farmaci simili ma non uguali agli originali biotech. L’arrivo nei prossimi anni dei biosimilari di anticorpi monoclonali (mAb) utilizzati in oncologia può porre interrogativi sulla loro efficacia e sicurezza per i pazienti. Per l’84% dei clinici la decisione sulla sostituibilità tra biologico e biosimilare deve essere di esclusiva competenza dell’oncologo. Sempre molto sentito il tema dei tagli alla spesa sanitaria, che per otto specialisti su 10 pesano sulla capacità di curare al meglio i pazienti. Il 52% degli oncologi ritiene che i biosimilari possano favorire il contenimento dei costi, anche se per il 39% è più utile cercare i margini di risparmio in altre voci di spesa. I dati emergono da un sondaggio condotto dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) fra i propri soci, presentato oggi a Milano.
All’indagine, che si è chiusa l’11 marzo, hanno risposto 508 medici. “Abbiamo voluto verificare il livello di consapevolezza degli oncologi sui biosimilari - ha spiegato
Stefano Cascinu, presidente Aiom - promuovere informazione e cultura rappresenta l’azione più importante che una società scientifica come la nostra deve intraprendere su un tema così delicato, come sottolineato dall’81% degli intervistati. L’Aiom avvierà, dal prossimo 19 aprile, un vero e proprio tour di sensibilizzazione su questi temi, con nove seminari in altrettante regioni - ha proseguito - vogliamo fare informazione con l’obiettivo di fornire ai clinici gli strumenti adatti per aiutarli nella pratica quotidiana. Infatti i biosimilari di anticorpi monoclonali sono prodotti molto più complessi rispetto a quelli attualmente disponibili, come le eritropoietine e gli ormoni della crescita”.
L’attenzione al problema della sicurezza è molto alta, infatti il 65% ritiene che i biosimilari di anticorpi monoclonali siano più complessi di quelli attualmente disponibili, richiedano processi di vigilanza più accurati e appositi registri e studi clinici con endpoint validati. “Anche per questi prodotti – ha continuato Cascinu - deve essere previsto un uso appropriato e attento dello strumento della notifica di eventuali reazioni avverse e gli oncologi sono pronti a fare la loro parte”.
Resta però il problema della mancanza di una legge che regoli la materia. “Le associazioni dei pazienti – ha affermato
Francesco De Lorenzo, presidente Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia) – hanno sondato i malati con questionari da cui è emerso che il loro livello di conoscenza sui biosimilari è ancora basso. L’informazione assume dunque un ruolo chiave. Favo è impegnata a rivendicare il diritto alla continuità del trattamento con il farmaco originario". "La sostituibilità secondaria può essere accettata solo con il consenso informato del paziente e non per motivazioni di carattere economico - ha concluso De Lorenzo - il principio alla base di ogni scelta deve essere l’appropriatezza terapeutica. I malati pretendono norme chiare dalle Istituzioni e sorveglianza da parte dei clinici per avere sempre farmaci efficaci, sicuri e, se possibile, con un costo più contenuto”.
Per il 62% degli oncologi le maggiori criticità legate all’uso dei biosimilari derivano dal fatto che possono funzionare in maniera differente rispetto al farmaco originatore. La difficoltà nel riprodurre i biotech cresce in maniera proporzionale alla complessità dell’originator. “Per capire la differenza tra le due generazioni dei biotech – ha affermato
Michele Carruba, Direttore del Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia medica all’Università di Milano – basta considerare il diverso peso molecolare. Ad esempio, una eritropoietina di circa 30.000 dalton è molto più semplice per dimensioni, caratteristiche di produzione e meccanismo d’azione rispetto ad un anticorpo monoclonale che pesa oltre 145.000 dalton. Uno dei punti chiave è la non sostituibilità automatica dei biosimilari, che possono essere notevolmente diversi dai biologici originatori. Nel nostro Paese l’intercambiabilità fra due medicinali è ammessa se attuata tra prodotti compresi nelle cosiddette ‘liste di trasparenza’, predisposte dall’Aifa, relative ai generici e ai loro originatori, considerati a tutti gli effetti equivalenti terapeutici”.
Per quanto riguarda i biosimilari attualmente disponibili, nessuna norma sancisce il divieto esplicito di sostituzione, previsto invece in altri Paesi europei. Però l’AIFA non ha inserito alcun biosimilare nelle liste di trasparenza, bloccando, di fatto, la possibilità di sostituzione da parte del farmacista. Quindi questi prodotti non possono ritenersi automaticamente intercambiabili con gli originatori e la possibilità di utilizzarli al posto dei medicinali di riferimento è da ricondurre alla scelta terapeutica del medico.
Qual è la situazione a livello europeo? “L’Ema ha sviluppato un approccio specifico per autorizzare l’immissione in commercio di questi prodotti – ha spiegato Carruba - è richiesto un dossier di registrazione che, pur basandosi su quello del medicinale di riferimento, deve riportare studi comparativi preclinici e clinici, indicati con il termine di ‘esercizio di comparabilità’, per dimostrare che il farmaco che si intende registrare possiede un profilo sovrapponibile a quello dell’originatore, per quanto riguarda qualità, sicurezza ed efficacia. Il processo di registrazione di un biosimilare è dunque decisamente oneroso perché alcune parti del dossier non possono essere omesse e sostituite con uno studio di bioequivalenza a differenza di quanto avviene per un generico”.
In considerazione delle specificità legate ai biosimilari degli anticorpi monoclonali, l’Ema ha stabilito Linee Guida apposite dal 1° dicembre 2012. L’ente regolatorio statunitense, la Food and drug administration (Fda), ha emesso nel febbraio 2012 le direttive per l’industria farmaceutica (Draft guidance) per lo sviluppo e l’approvazione all’uso e al commercio dei biosimilari negli USA. “L’FDA – ha sottolineato Cascinu - non esclude l’intercambiabilità, anche se afferma che per consentirla è necessario presentare studi clinici addizionali. In tal caso il medicinale potrà essere sostituito anche senza il parere del medico che ha prescritto il farmaco di riferimento”.
La posizione dell’Aiom sui biosimilari già a disposizione è molto chiara ed è stata ribadita in un documento depositato presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato nel novembre 2010. “Il medico è legalmente responsabile di ciò che prescrive: pertanto può indicare il biosimilare oppure l’originatore – ha concluso Cascinu - i nuovi pazienti possono essere trattati con un biosimilare, mentre per quelli già in cura con l’originatore andrebbe garantita la continuità terapeutica”.
13 marzo 2013
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Scienza e Farmaci