Screening e trattamento precoce. E poi ancora follow up e riabilitazione. Sono queste le parole chiave che devono accompagnare la presa in carico del paziente con Atrofia Muscolare Spinale (SMA), malattia rara neuromuscolare, a trasmissione ereditaria autosomica recessiva, causata dalla mutazione o delezione del gene SMN1 che produce la proteina SMN essenziale per la sopravvivenza dei motoneuroni. Caratterizzata da variabile compromissione della funzionalità muscolare, debolezza, ipotonia e atrofia muscolare e compromissione talvolta della respirazione e deglutizione, la SMA in Italia presenta una incidenza complessiva di tutte le forma pari a 1-2 persone su 100.000 abitanti, 1 caso ogni 6/10 nati vivi.
Da malattia fatale e incurabile, la SMA ha visto, nel corso degli ultimi 5 anni, grazie alla ricerca scientifica, lo sviluppo di trattamenti che accanto all’approccio multidisciplinare hanno contribuito enormemente a migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti. Ma non basta. La presa in carico del paziente è frammentaria e non esistono a livello nazionale dei percorsi standardizzati.
La Regione Puglia è l’unica in Italia ad aver istituito, con una legge del 2021, lo screening neonatale per SMA obbligatorio. Le uniche altre regioni in cui si effettua tale screening, ma non in forma obbligatoria, sono il Lazio e la Toscana, mentre lo screening è in fase iniziale in Abruzzo, Campania e Piemonte. Per questo la Puglia si dimostra essere un esempio da seguire e ora si appresta alla elaborazione di un PDTA. Il 4 luglio scorso, infatti, presso la sede della Regione, è stato presentato un Modello Organizzativo di presa in carico del paziente affetto da questa patologia. Un’occasione di confronto che ha visto la partecipazione di rappresentati delle Istituzioni, dei pazienti e dei clinici impegnati nella lotta alla SMA. L’evento è stato realizzato con il patrocinio di AReSS – Agenzia Regionale per la Salute ed il Sociale Puglia, e il contributo non condizionante di Roche.
La richiesta dei pazienti è chiara: intervenire sulla prevenzione grazie allo screening neonatale, standardizzare i percorsi di cura anche intra-regionali, follow-up garantito, formazione e soprattutto particolare attenzione alle fasi di emergenza-urgenza, momenti questi tra i più pericolosi nel decorso di malattia perché in molti casi fatali.
Per Mattia Gentile, Direttore UOC Laboratorio di Genetica medica ASL BARI, non è ammissibile nel 2023 che lo screening neonatale per la SMA non sia obbligatorio in tutte le regioni italiane. A parlare non è solo il genetista, sono anche i numeri. Dal 2021, anno di entrata in vigore della legge in Puglia, al 2023 sono stati effettuati circa 38.650 screening e questo ha permesso di intercettare quattro casi che sono stati così sottoposti precocemente a trattamento, ha spiegato Gentile. “Il nostro primo caso è della fine del 2022; adesso ha 14 mesi e risulta assolutamente nella norma per lo sviluppo motorio. In epoca pre-screening sarebbe stato condannato, nell'arco dei primi sei mesi di vita, purtroppo a non sopravvivere”. Ecco perché, alla luce dei progressi che la medicina ha fatto per quanto riguarda i trattamenti disponibili, è importante implementare lo screening neonatale.
Parla di sfide e non di traguardi Anita Pallara, Presidente Associazione Nazionale Famiglie SMA ONLUS, perché “il lavoro svolto fino ad oggi, ora deve concretizzarsi”. Poter dare una terapia orale ad un neonato affetto da SMA per bloccarne la progressione di malattia “è un risultato enorme, una rivoluzione sanitaria”, ha detto Pallara, ma serve fare di più. “Ai pazienti della Puglia servono competenza e formazione” in tutte le fasi di malattia: dall’esordio, in cui solo lo screening può portare alla diagnosi perché si è in assenza di sintomi, alle fasi successive. “La gestione del paziente con SMA è delicata e complicata e lo diventa ancora di più in emergenza-urgenza”, ha ricordato la Presidente. La richiesta è quella di istituire un tavolo di lavoro tra esperti e referenti dei pazienti per costruire “un vero percorso di presa in carico dal momento della chiamata al 118, all’ingresso in Pronto Soccorso, alle fasi successive, tenendo fede ai principi della medicina clinica e di quella che noi chiamiamo medicina umana, cioè l’attenzione al paziente e al caregiver”, ha proseguito Anita Pallara. Trattandosi poi di una patologia rara, e quindi meno conosciuta, la formazione diventa una condizione sine qua non per fare questo.
“Multidisciplinarietà, continuità di cure, integrazione ospedale-territorio e integrazione sociosanitaria sono i punti fondamentali intorno ai quali si sviluppa il progetto”, ha detto Ettore Attolini, Direttore Area Innovazione Sociale, Sanitaria e di Sistema-CRSS, Responsabile Coordinamento Regionale Malattie Rare AReSS Puglia. Alla base del lavoro però c’è la consapevolezza di un cambio di paradigma: “da un approccio esclusivamente biologico si passa a una visione bio-psico-sociale”, ha aggiunto Attolini. Lavorare quindi sul supporto psicologico a questi pazienti, sull’approccio sociale, sulla riabilitazione, sulla formazione e sulle carenze di personale.
Il modello organizzativo presentato prende in considerazione sia i pazienti in età pediatrica sia i pazienti adulti che necessitano di una attenta riabilitazione e di essere seguiti in modo interdisciplinare. Proprio per le implicazioni che la patologia può avere a livello motorio, respiratorio, neurologico e non solo, sono necessarie diverse figure professionali che, come ben ricordato da Giuseppina Annicchiarico, pediatra, Coordinamento Regionale Malattie Rare (CoReMaR), AReSS Puglia, devono lavorare in modo interdisciplinare per unire le conoscenze dei singoli e metterle a sistema. Per Annichiarico la grande novità di questo modello organizzativo è proprio questa, non parlare solo di multidisciplinarietà, ma anche di interazione reale tra i vari stakeholders. Se pensiamo che questo viene fatto nell’ambito delle malattie rare tutto acquista maggiore valenza. “In Puglia ci sono 27mila malati rari, affetti da circa 2.000 malattie rare. Le persone con SMA sono circa 100”, ha ricordato l’esperta. “Attraverso questa proposta noi dobbiamo cercare di attivare quel modello che la Puglia oggi garantisce attraverso i centri territoriali malattie rare per allestire sui cluster di malati sul territorio tutto il sistema di follow-up e di sostegno alla cura”, ha precisato Annichiarico. In questo contesto i NAT, Nuclei di Assistenza Territoriale, possono svolgere un ruolo fondamentale: “attualmente sono stati normati, adesso devono essere implementati”. Su questo punto la pediatra si mostra fiduciosa dal momento che “questa organizzazione è coerente con il DM 77”. L’obiettivo dunque è trasformare una proposta organizzativa in Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale applicato nella realtà.
Chiaro è stato anche l’impegno della Regione che ora viene chiamata in causa come attore indispensabile per la messa a terra del progetto. Per l’Assessore alla Salute e benessere animale della Puglia, Rocco Palese, nonostante i grandi passi avanti fatti nell’ambito delle malattie rare a livello nazionale, c’è ancora molto da fare. In particolare, sui modelli organizzativi serve un salto di qualità: “costruire dei modelli organizzativi socio assistenziali” affiancati da “una formazione continua degli operatori sanitari” ha precisato Palese. Piena consapevolezza e disponibilità dunque da parte delle Istituzioni.
È solo l’inizio quindi. “Oggi inizia il vero lavoro”, ha ricordato Anita Pallara. “I presupposti per vivere la patologia sul territorio ci sono, la Regione può raggiungere dei risultati, basta volerlo”, ha concluso.