Gli italiani over 50 spiccano per l’adesione alla prevenzione, riconoscono il valore della vaccinazione ma non ne parlano abbastanza con gli operatori sanitari, in modo da ottenere la migliore protezione possibile, come consentirebbe il Piano nazionale di prevenzione vaccinale.
È quanto emerge dallo studio Global Monitor, condotto tra luglio e agosto 2022 da Kantar, per conto di GlaxoSmithKline in Giappone, Regno Unito, Spagna, Italia, Francia, Germania, Brasile, Stati Uniti e Canada. Lo studio ritrae l’atteggiamento da parte della popolazione intervistata nei confronti della salute, dell'invecchiamento e del ruolo degli operatori sanitari nel trasformare i vaccini in vaccinazioni. Lo studio sui pazienti è stato condotto online su 9.902 uomini e donne di età superiore ai 50 anni, con 1.100 intervistati per Paese, nei mesi di luglio e agosto 2022. Lo studio sugli operatori sanitari invece è stato condotto online su 686 operatori sanitari, circa 75 persone per Paese, nei mesi di luglio e agosto 2022. Complessivamente hanno risposto 9.900 persone, uomini e donne di età superiore ai 50 anni, insieme a 686 operatori sanitari, con pari rappresentatività per Paese.
Poca attenzione ai vaccini negli adulti
Lo studio registra come le persone siano consapevoli del valore dei vaccini. La motivazione primaria per sottoporsi alla vaccinazione è, in tutti i Paesi, quella di voler proteggere se stessi, segue poi la volontà di proteggere i propri cari (seconda ragione per tutti i Paesi, tranne per il Giappone) e, infine, proteggere gli altri (al secondo posto per il Giappone, al terzo per tutti gli altri Paesi).
Tuttavia, nonostante un elevato tasso di adesione iniziale al vaccino contro il Covid-19 a livello globale (l'88% dei pazienti intervistati ha ricevuto una vaccinazione, rispetto all'80% nel 2021), le persone potrebbero non sottoporsi ad altre vaccinazioni con la stessa disponibilità.
Dall’analisi, infatti, emerge mediamente che solo il 56% del campione ha fatto il vaccino antinfluenzale negli ultimi 5 anni: un vaccino raccomandato annualmente e considerato rilevante dall'82% degli operatori sanitari coinvolti nello studio per i loro pazienti con più di 50 anni. Allo stesso modo, solo il 14% si è sottoposto alla vaccinazione antipneumococcica (ritenuta importante per questa popolazione di età dal 73% degli operatori intervistati) e solo il 10% si è protetta contro l'herpes zoster (il cosiddetto “Fuoco di Sant’Antonio): un vaccino considerato rilevante dal 63% dei clinici intervistati.
Occorre una maggiore comunicazione tra operatori sanitari e pazienti
Essendo la principale fonte di informazioni attendibili sulle vaccinazioni, è qui che la collaborazione con gli operatori sanitari diventa cruciale per alzare queste percentuali di copertura: il 71% dei pazienti, infatti, cita gli operatori sanitari come fonte principale di informazioni. Raggiunti i cinquant’anni, 8 adulti su 10 si sentono direttamente responsabili per la propria salute, il che significa che hanno bisogno di sapere non solo cosa fare ma anche perché dovrebbero farlo.
Una percentuale significativa di persone, in particolare le donne sulla cinquantina, afferma infatti di aver bisogno di sapere perché dovrebbero ricevere un vaccino: così hanno risposto, in particolare, in media il 35% degli intervistati italiani, con un lieve incremento, pari al 37%, tra le donne rispondenti di età compresa tra 50 e 60 anni. Quest’ultima categoria ha un peso specifico (40%) anche tra la percentuale complessiva degli intervistati italiani, che ritengono sia importante conoscere prima quali potrebbero essere gli effetti collaterali del vaccino, complessivamente pari al 43%.
Secondo lo studio, l’83% degli operatori sanitari interpellati spesso dice ai propri pazienti che i benefici del vaccino superano i possibili rischi, il 78% comunica che un vaccino non solo aiuta a proteggere il paziente dalle malattie ma anche dal maggior rischio di sviluppare gravi complicanze. Il 74% chiarisce inoltre che, a causa dell'età, c’è maggiore rischio di contrarre malattie infettive anche se ci si sente in buona salute e il 72% informa i pazienti che sono nella fascia di età raccomandata per il vaccino.
Una risposta all’invecchiamento della popolazione
Con l’avanzare dell’età anche il sistema immunitario invecchia, con il conseguente declino dell’immunità innata e acquisita. Tale declino varia da persona a persona in base allo stile di vita e alla storia medica di ognuno. “Con l’avanzare delle età aumenta il rischio di infezioni ma anche le conseguenze di tali infezioni sull’organismo”, commenta Piyali Mukherjee, Vicepresidente e Capo globale Medical Affairs di GSK Vaccines. “Negli Stati Uniti, gli adulti con più di 65 anni contano per il 50-70% delle ospedalizzazioni dovute all’influenza, per il 80-90% delle morti correlate all’influenza e per il 50% dei casi di malattia pneumococcica invasiva”. La situazione, negli anni, rischia di peggiorare visto l’invecchiamento generale della popolazione: “Dobbiamo essere preparati, e i vaccini in questo svolgono un ruolo fondamentale”.
Sullo studio Piyali Mukherjee afferma: “questa indagine ci ha mostrato che il contributo delle vaccinazioni a una buona salute è generalmente ben compreso sia dagli operatori sanitari che dai loro pazienti adulti, ma purtroppo, a parte le vaccinazioni iniziali Covid-19, i tassi di vaccinazione degli adulti rimangono cronicamente bassi. Un migliore dialogo tra i pazienti e la comunità sanitaria su quali vaccini siano necessari e perché potrebbe aiutare, insieme ad altre abitudini salutari come una buona dieta e l'esercizio fisico”. Ed espone i tre punti su cui intervenire: “Bisogna assicurarsi che i pazienti abbiano maggiori informazioni sulla vaccinazione e che incontrino il minor numero di difficoltà possibili nel percorso per vaccinarsi; occorre migliorare la conversazione tra operatori sanitari e pazienti sui vaccini e la vaccinazione dell’adulto deve diventare una priorità: i vaccini devono trasformarsi in vaccinazioni”.