La pandemia non ha fermato, ma solo rallentato la sempre maggiore propensione all’utilizzo della TAVI, la tecnologia che consente di impiantare una valvola aortica trans-catetere in caso di patologie cardiovascolari molto gravi come la stenosi aortica degenerativa. Evitando cioè gli interventi a cuore aperto. Negli ultimi cinque anni, infatti, il numero complessivo di interventi in Italia è quasi raddoppiato, da 4.500 a 8.200, pur con un calo nel primo anno di Covid.
Sul podio Lombardia (con ben 1.674 interventi) seguita da Veneto (859) e Campania (con 797). Nel solo 2020 gli interventi sono stati 7.592, più della metà dei quali (circa il 52%) al Nord, quasi un terzo al Sud (circa 31%), il resto nel Centro del Paese. Il dato è in lieve flessione (-8,73%) rispetto all’anno precedente, verosimilmente per effetto della pandemia che ha inciso in modo profondo sull’attività di tutte le strutture sanitarie del Paese. Ma resta comunque il secondo più alto degli ultimi cinque anni a livello nazionale, a conferma della costante tendenza all’aumento della procedura TAVI.
Sono questi solo alcuni dei dati che confermano l’importanza di questi interventi, diffusi nel corso del convegno nazionale “La TAVI nel paziente low-risk”, che si è tenuto oggi a Napoli sotto l’egida della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise).
“Nella seconda fase del Covid, l’impatto della pandemia è stato minore – ha aggiunto Emilio Di Lorenzo, Direttore del Dipartimento Medico-Chirurgico del Cuore e dei Vasi presso l’Ospedale S. Giuseppe Moscati di Avellino – soprattutto per quelle patologie per cui sono disponibili tecnologie, come la TAVI, che consentono interventi poco invasivi in grado di evitare il ricorso alla terapia intensiva e ridurre al minimo la degenza in ospedale, offrendo una sponda importante anche sul piano della sostenibilità economica”.
Le ultime linee guida hanno ampliato notevolmente il gruppo di pazienti che può beneficiare di questa metodica: “Con un’indicazione alla TAVI per gli ultra 75enni anni, senza dimenticare i pazienti più giovani con controindicazioni alla cardiochirurgia”, ha concluso Paolo Golino, Direttore Uoc Cardiologia, Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’.