La popolazione invecchia. Ecco come cambiano le cure per il diabete
05 DIC - Di fronte al fenomeno dell'allungamento dell'età media, tutti i diabetologi hanno dovuto riflettere sulle competenze in ambito geriatrico cui sono e saranno chiamati a rispondere, per definire percorsi di cura adeguati e per attivare sinergie con la geriatria: infatti, oggi circa un anziano su due soffre di diabete. “È un dato di fatto, ormai, che l’età media delle persone trattate nei Centri di diabetologia italiani sia vicina ai 70 anni”, ha commentato
Carlo B. Giorda, Presidente AMD e Direttore della Struttura Complessa Malattie Metaboliche e Diabetologie Asl Torino 5. “Il diabetologo deve prestare particolare attenzione al trattamento di queste persone, spesso fragili, in cui verosimilmente sono già presenti complicanze, e che non sempre richiedono il raggiungimento di obiettivi terapeutici analoghi alla popolazione più giovane. La complessità della cura del soggetto anziano appare, inoltre, evidente laddove si consideri il numero dei farmaci assunti. La politerapia, con i rischi e le conseguenze ad essa associate, è una condizione tipica degli anziani e proprio per questo risulta difficile standardizzare obiettivi e schemi di trattamento. Emerge, dunque, la necessità di attuare scelte terapeutiche estremamente personalizzate, che permettano a noi medici di intervenire su ciascuno con un’associazione diversa di farmaci, in base alle caratteristiche di ogni singolo individuo”.
Ma quali sono gli obiettivi di un’analisi specifica del diabete nell’anziano? Nel particolare –spiegano da AMD – l’analisi aveva lo scopo di verificare come la diabetologia italiana gestisce il paziente anziano dal punto di vista della terapia e dello screening delle complicanze, oltre che di evidenziare se esistono modalità di trattamento diverse rispetto alla popolazione non anziana e, nello stesso tempo, l’appropriatezza della terapia rispetto alle linee guida. La persona anziana infatti, insieme al diabete, sviluppa spesso altre comorbilità che possono condurre a disabilità: gli anziani con diabete hanno un rischio più elevato di comorbilità e di conseguenza sono soggetti alle più comuni sindromi geriatriche, come le reazioni avverse da poli-farmacoterapia - si pensi che generalmente questi pazienti sono trattati con cinque o più farmaci -, depressione, decadimento cognitivo e demenza, traumi da caduta, compromissioni funzionali, e via dicendo. “Nel diabetico anziano è importante intervenire alla prima insorgenza dei sintomi della malattia, per correggere in maniera tempestiva eventuali errori nel suo stile di vita”, ha continuato Giorda. “Questo approccio ci permetterebbe di modificare le modalità di trattamento di questi pazienti e nel giro di qualche anno potremmo trovarci di fronte a persone meno complicate o, quanto meno, che vedono spostata in avanti l’insorgenza delle complicanze. Non dobbiamo inoltre dimenticare la vulnerabilità che caratterizza i soggetti anziani, che oltre a presentare patologie associate al diabete, sono spesso disabili e necessitano dell’assistenza di un caregiver, condizioni che impongono, a maggior ragione, cautele nell’utilizzo dei farmaci”.
Per la cura del diabetico anziano, centrale diventa poi il coordinamento tra centri diabete e Medico di medicina generale. “Per questa categoria di pazienti l’integrazione tra Centro di diabetologia e Medico di medicina generale rappresenta un valore aggiunto: è auspicabile una maggior condivisione diretta e veloce tra i professionisti delle informazioni cliniche”, ha concluso il presidente AMD. “Nel nostro Paese esistono programmi di collaborazione tra centri diabete e medici di medicina generale, anche se queste iniziative risultano meglio organizzate in alcune regioni e meno in altre. In quest’ottica, grande è l’attesa per il nuovo Piano nazionale diabete che, oltre a rappresentare una linea guida per l’implementazione di una pratica clinica uniforme sul territorio nazionale, definirà per la prima volta a livello nazionale come deve essere trattato il diabete, stabilendo in particolare che, per il tipo 2, il modello migliore da seguire sia proprio quello in cui esistono percorsi condivisi tra medicina generale e specialista”.
05 dicembre 2012
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