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Scienza & Vita: "Un parere contraddittorio"


30 LUG - Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha pubblicato un parere etico – su richiesta dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) – circa la possibile somministrazione, sotto stretto controllo medico, della molecola “triptorelina” (TRP) ad adolescenti affetti da Disforia di Genere (DG), allo scopo di procurare loro un blocco temporaneo (fino a un max di qualche anno) dello sviluppo puberale, con l’ipotesi che ciò possa “alleggerire” in qualche modo il travagliato percorso di definizione della loro identità di genere.
 
Il documento del CNB conclude (con 2 astensioni e 1 postilla critica tra i componenti) che, limitatamente ai casi in cui gli altri interventi psichiatrici e psicoterapeutici siano risultati inefficaci e con la supervisione di un’equipe medica specialistica, questa prescrizione “off label” (con indicazioni diverse da quelle autorizzate) della triptorelina è eticamente accettabile, mantenendo come punto di riferimento primario la reale e grave sofferenza delle persone (in questo caso, soggetti adolescenti) affette da DG.
 
Ma, come rileva lo stesso CNB, alcune importanti questioni legate al tema permangono irrisolte, suscitando dubbi e perplessità che Scienza & Vita desidera rimarcare, esprimendo la sua critica a questa valutazione etica.
 
Anzitutto per la sostanziale carenza di letteratura scientifica che attesti evidenze di sicurezza (bilanciamento rischi/benefici) ed efficacia di questo tipo di trattamento. Poi, per la difficoltà di diagnosi delle DG e il loro controverso inquadramento “clinico-antropologico” (patologia? condizione? libera scelta?).
Inoltre, esiste certezza che il blocco - seppur temporaneo - dello sviluppo puberale (livello corporeo) in un adolescente affetto da DG possa effettivamente costituire una condizione “favorevole” alla risoluzione del suo dissidio d’identità? Una risposta positiva presupporrebbe che la soluzione del problema debba necessariamente essere ricercata nella direzione del “riallineamento” del soma alla percezione psichica del soggetto. Ma, come ha scritto l’autrice dell’unico parere contrario tra i membri del CNB, «se si sopprime la spinta degli ormoni nativi, cosa avviene nelle relazioni con gli altri, in una pubertà così volutamente manipolata?».
 
Anche perché «sappiamo bene quanto contino fra i 12 e i 16 anni. Con un corpo bambino e una “mente” più adulta, per anni, confusi di per sé e fuori dall’evoluzione fisiologica ormonale: come possono questi ragazzi non sentirsi sempre più diversi dai compagni di banco?». Inoltre, «che dire delle esperienze di amore tipiche dell’adolescenza?». La soppressione della pubertà non rischia di impedirle o di danneggiarle?
 
Oltretutto (e anche per quanto appena detto), ci sono casi di ragazzi cosiddetti “detransitioner”, cioè con disforia di genere a cui è stato bloccato lo sviluppo sessuale e a cui i farmaci hanno prodotto seri problemi e gravi sofferenze, maggiori rispetto a quelli dello stato precedente al trattamento, e che perciò hanno fatto retromarcia, desiderando ritornare alla condizione iniziale. Per non parlare dei documentati casi di suicidio proprio tra coloro che hanno cambiato sesso.
 
Ancora, citando la medesima studiosa, «la DG viene presenta spesso come “sentirsi in un corpo sbagliato”, ipotizzando quindi corretta la percezione di sé, della propria identità di genere: l’uso della triptorelina lavora su questa ipotesi». Viene così «esclusa la possibilità inversa, cioè che è la percezione di sé ad essere inadeguata: mentre il corpo è “giusto”».
 
Rimane poi la problematicità dell’ottenimento di un vero consenso informato da parte dei soggetti da trattare con la triptorelina, ovvero adolescenti, peraltro in condizioni psicologiche spesso difficili e alterate.
E stante che chi vuole, poi, cambiare sesso si avvia forse, o probabilmente, verso una condizione di sterilità, c’è da domandarsi (ancora con le parole della studiosa): «veramente pensiamo che un dodicenne, o un sedicenne, specie in queste condizioni, sia consapevole di cosa significhi cambiare genere, e non poter avere bambini in futuro? O che, forse, potrebbe congelare i suoi gameti, per essere poi madre biologica e padre sociale al tempo stesso, o viceversa?».
 
Permane infine il timore che, in contrasto con i migliori ed esigenti auspici applicativi del trattamento, peraltro ampiamente raccomandati dal CNB, la pratica clinica quotidiana possa invece degenerare (anche per carenza di risorse), finendo per ridurre la soluzione ad un problema così complesso e decisivo per la persona alla banale somministrazione di una molecola, con un approccio del tutto insufficiente.
 
Per tutte queste ragioni, Scienza & Vita, mentre sottolinea l’opportuna impostazione globalmente “prudenziale” del documento del CNB, ne rileva al tempo stesso la parziale incoerenza tra premesse e conclusioni, esprimendo un giudizio globale critico.
 
Scienza & Vita
 

30 luglio 2018
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