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I Pfas alterano la coagulazione del sangue, la scoperta a Padova


L’International Journal of Molecular Sciences rende pubblica la ricerca dell’Università condotta dal gruppo del prof. Foresta. Lo PFOA sarebbe in grado di attivare le piastrine, rendendole più suscettibili alla coagulazione, predisponendo ad un aumento del rischio cardiovascolare. Test effettuati su 78 soggetti con diversi livelli di esposizione a PFAS.

24 GEN - Nuovo studio degli scienziati padovani sulle conseguenze sulla salute dell’uomo derivanti dall’esposizione ambientale ai composti perfluoroalchilici (PFAS): sarebbero capaci di alterare il profilo di coagulazione del sangue. In particolare, ciò che appare nell’ultima ricerca diffusa dall’Università di Padova è la capacità dello PFOA, il principale inquinante ambientale nel territorio veneto, di interferire con i meccanismi della coagulazione del sangue.
 
A diffondere i risultati il team del professor Carlo Foresta, professore ordinario di endocrinologia dell’Università degli studi di Padova, in collaborazione con il dottor Luca De Toni e il dottor Andrea Di Nisio, che hanno pubblicato gli esiti sull’importante rivista scientifica internazionale “International Journal of Molecular Sciences”.
 
Questa ricerca nasce dalle osservazioni epidemiologiche riportate sia in studi internazionali che dal Servizio Epidemiologico Regionale e indicative di un aumentato rischio cardiovascolare associato all’inquinamento da PFAS. Va precisato che la normale fluidità del sangue è mantenuta dall’equilibrio tra elementi che ne bloccano la coagulazione e altri che la stimolano. In questo delicato dialogo giocano un ruolo chiave le piastrine, microscopiche componenti del sangue capaci di percepire la presenza di danni ai vasi sanguigni e di innescare molto rapidamente il processo della coagulazione, al fine di impedire i fenomeni emorragici. Tutto questo avviene in condizioni di normalità, ma in presenza di fattori di rischio cardiovascolari quali il fumo di sigaretta, il diabete e l’eccessivo peso corporeo, l’equilibrio si rompe rendendo le piastrine molto più reattive e inclini ad innescare la coagulazione. Il risultato sono l’infarto cardiaco e l’ictus cerebrale.
 
“Stando alle nostre scoperte, lo PFOA sarebbe in grado di attivare le piastrine, rendendole più suscettibili alla coagulazione, anche in condizioni normali, predisponendo ad un aumento del rischio cardiovascolare”, spiega il professor Foresta. “Il meccanismo attraverso il quale lo PFOA si suppone alteri l’equilibrio della coagulazione sanguigna è complesso: sembra infatti che l’inquinante agisca modificando la struttura della membrana cellulare delle piastrine, ovvero la struttura che protegge le cellule ematiche e ne media l’interazione specifica con i diversi tessuti corporei. In sostanza, studi in vitro hanno documentato, oltre alla modificazione della struttura della membrana, parametri piastrinici che esprimono una maggior propensione all’aggregazione piastrinica e quindi alla coagulazione”.
 
Il significato clinico di queste sperimentazioni è stato poi approfondito eseguendo, in collaborazione col professor Paolo Simioni dell’Università di Padova, dei test di valutazione dell’attività piastrinica in 78 soggetti con diversi livelli di esposizione a PFAS. “I risultati emersi hanno confermato dei segnali di aumentata attivazione piastrinica con conseguente incremento della propensione all’aggregazione delle stesse”, precisa ancora Foresta. “Questi dati potrebbero spiegare l’osservazione epidemiologica tra PFAS e patologie cardiovascolari, soprattutto se sussistono altri fattori di rischio noti per queste patologie, come diabete, obesità, fumo e alcol”.
 
LA SCHEDA
I composti perfluorurati (PFAS) sono sostanze chimiche di sintesi che vengono utilizzate per rendere resistenti ai grassi e all’acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti, ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa; possono essere presenti in pitture e vernici, farmaci e presidi medici. I PFAS sono ritenuti contaminanti emergenti dell’ecosistema data la loro elevata resistenza termica e chimica, che ne impedisce qualsiasi forma di eliminazione favorendone l’accumulo negli organismi. In alcune regioni del mondo (Mid-Ohio Valley negli USA, Dordrecht in Olanda, e Shandong in Cina) ed in particolare in alcune zone della Regione Veneto è stato rilevato un importante inquinamento da PFAS nel territorio, soprattutto nelle falde acquifere delle Province di Vicenza, Padova e Verona.
 
GLI STUDI PRECEDENTI
Le caratteristiche degli PFAS, quali la loro elevatissima stabilità agli agenti chimici e alla temperatura, nonché la persistenza nell’ambiente, sono diventati concetti di dominio pubblico, così come la capacità di questi composti di interferire con il normale funzionamento degli ormoni sessuali sia nell’uomo che nella donna. I PFAS sono riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale come interferenti endocrini e correlati a patologie endocrine, come ad esempio le tireopatie, displipidemie, infertilità e poliabortività. In due studi americani su più di 10.000 soggetti queste sostanze sono state associate ad un aumentato rischio di patologie cardiovascolari, come coronaropatie, infarto, angina, ipertensione, indipendentemente dai fattori di rischio noti. Va infine ricordato che anche la ricognizione epidemiologica della Regione Veneto riguardo le manifestazioni cliniche riscontrate dall’analisi del Servizio Epidemiologico Regionale ha riscontrato nei 21 comuni dell’area rossa a massima esposizione da PFAS, un incremento della prevalenza di alcune patologie e condizioni cardiovascolari (diabete mellito, cardiopatie ischemiche, ictus, ipertensione) e dei corrispondenti indicatori di mortalità.

24 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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