Caso Venturi. “L’Ordine di Bologna ha agito in carenza di potere”. Ecco le motivazioni della sentenza della Consulta con cui è stata dichiarata illegittima la radiazione dell’assessore
di Luca Benci
La Corte costituzionale, nella sua motivazione, è chiarissima. La finalità di un procedimento disciplinare da parte di un ordine professionale non può essere quella di interferire con una pubblica funzione, in particolare con una pubblica funzione di carattere regionale costituzionalmente protetta. Il potere sanzionatorio dell’ordine ha interferito illegittimamente con l’esercizio delle prerogative dell’assessore. LA SENTENZA
11 DIC - E’ stata resa nota la motivazione della
sentenza della Corte costituzionale – Corte costituzionale, sentenza 6/12/2019, n. 259 - relativa al caso di
Sergio Venturi, assessore della Regione Emilia-Romagna, radiato dall’Ordine degli medici di Bologna in relazione a una delibera della giunta regionale.
I fatti sono noti.
La Regione Emilia-Romagna ha un “promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all’atto conclusivo dell’udienza disciplinare del 30 novembre 2018, consistente nella sanzione disciplinare della radiazione dall’albo dei medici, adottata dalla Commissione disciplinare medica dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, “nei confronti del dott. Sergio Venturi, all’epoca dei fatti e a tutt’oggi assessore alle politiche per la salute della Regione medesima”.
Il nodo del contendere, era per l’assessore Venturi, di “aver questi proposto e contribuito ad approvare la delibera della Giunta regionale 11 aprile 2016, n. 508 (Principi e criteri in ordine alla predisposizione di Linee guida regionali per l’armonizzazione dei protocolli avanzati di impiego di personale infermieristico adottati ai sensi dell’art. 10 D.P.R. 27 marzo 1992 per lo svolgimento del servizio di emergenza sanitaria territoriale 118), con cui è stato autorizzato l’impiego di personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza”.
Secondo la Regione Emilia-Romagna ”L’Ordine professionale a della avrebbe esercitato il potere disciplinare in assenza dei presupposti necessari, censurando non comportamenti del medico, rilevanti sul piano disciplinare, ma la condotta politico-amministrativa dell’assessore” e leso quindi “le competenze della Giunta stessa, in ragione del rapporto di immedesimazione organica dell’assessore con la Giunta, nella materia della «tutela della salute» e, in specie, dell’organizzazione dei servizi sanitari dell’emergenza.
La motivazione della Corte costituzionale
La Corte ha compiuto un’ampia disamina sulle novità della normativa ordinistica introdotta dalla legge 3/2018 e alla precedente giurisprudenza degli ordini professionali.
Gli enti ordinistici sono:
- enti pubblici ad appartenenza necessaria:
- rispondono all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico e la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso;
- hanno il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi;
- devono garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività.
Gli Ordini professionali, sostiene la Corte costituzionale, sono “organismi associativi a partecipazione obbligatoria cui il legislatore statale ha affidato poteri, funzioni e prerogative, sottoposti a vigilanza da parte di organi dello Stato-apparato”. Inoltre, la Corte, elenca pedissequamente tutte le novità introdotte dalla legge 3/2018.
In particolare la Corte si è soffermata sul potere disciplinare degli Ordini specificando che il legislatore ha voluto “delimitare un potere sanzionatorio che, se non ristretto entro confini ben precisi, potrebbe irragionevolmente invadere la sfera dei diritti dei singoli destinatari delle sanzioni”. Il potere disciplinare “può dunque essere legittimamente esercitato solo «tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro», nonché «secondo una graduazione correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità e alla reiterazione dell’illecito» e quindi può essere esercitato nei soli confronti dei «sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale».
Per la precisa individuazione di tali ipotesi di responsabilità, il Codice di deontologia medica, nel testo approvato nel 2014, chiarisce, all’art. 1, che le regole da esso poste impegnano «il medico nella tutela della salute individuale e collettiva vigilando sulla dignità, sul decoro, sull’indipendenza e sulla qualità della professione». Così circoscritto, il potere si rivolge a colpire comportamenti dissonanti rispetto a un corretto svolgimento dell’attività professionale, nonché i «comportamenti assunti al di fuori dell’esercizio professionale quando ritenuti rilevanti e incidenti sul decoro della professione». La genericità di tale ultima previsione – peraltro contenuta in una formula comune a tutti gli ordinamenti disciplinari – è di tutta evidenza.
L’Ordine dei medici ha agito in carenza di potere, poiché ha sottoposto a procedimento disciplinare e sanzionato un proprio iscritto per atti compiuti da quest’ultimo non nell’esercizio della professione di medico, ma nell’esercizio di una funzione pubblica, in qualità di assessore regionale. Tali atti, ascrivibili a un munus pubblico, non rientrano fra quelli sottoposti al potere sanzionatorio dell’Ordine.
In tal modo ha interferito illegittimamente con l’esercizio delle prerogative dell’assessore, tra le quali rientra la facoltà di proporre e di concorrere a formare e deliberare gli atti dell’organo collegiale di appartenenza.
Quanto alle attribuzioni regionali in discussione, occorre rilevare che la delibera n. 508 del 2016, proposta dall’assessore Venturi e approvata dalla Giunta regionale, ha autorizzato l’impiego di personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza, sulla base di appositi protocolli operativi, predisposti dal personale medico. Essa costituisce esercizio della competenza amministrativa regionale in materia di organizzazione sanitaria, parte integrante della competenza […] regionale in materia della tutela della salute.
Pertanto, va annullata la sanzione della radiazione dall’albo dei medici, adottata a conclusione del procedimento disciplinare prot. n. 2501/gp/pm, a carico dell’assessore alle politiche della salute della Regione Emilia-Romagna.
Commento
La Corte costituzionale, nella sua motivazione, è chiarissima. La finalità di un procedimento disciplinare da parte di un ordine professionale non può essere quella di interferire con una pubblica funzione, in particolare con una pubblica funzione di carattere regionale costituzionalmente protetta.
Le parole della corte sono durissime. L’Ordine dei medici di Bologna ha agito “in carenza di potere”, colpendo comportamenti dissonanti perché assunti al di fuori dell’esercizio professionale e che tali poteri non rientra tra quelli sottoposti.
Il potere sanzionatorio dell’ordine ha interferito illegittimamente con l’esercizio delle prerogative dell’assessore.
Tra l’altro il potere disciplinare degli Ordini, lo sottolinea la Corte, “può dunque essere legittimamente esercitato solo «tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro”, normative che talvolta gli ordini non hanno recepito o capito.
Il potere disciplinare nasce, quindi, limitato dal necessario rispetto delle garanzie degli iscritti, ma anche dalla natura dei codici deontologici, definiti dalla stessa CCEPS (decisione 7 luglio 2017, n. 80) atti di “soft law” vincolanti nei termini e nei limiti indicati dalla legge.
Abbiamo indicato il rischio, recentemente, che l’utilizzo dei codici deontologici venga usato come una “clava”. La Corte costituzionale argomenta che i codici deontologici non possono usare formulazioni generiche che mal si prestano all’esercizio disciplinare.
Bene ha fatto la Federazione Nazionale delle professioni infermieristiche - FNOPI - che nel recente codice - Art. 52, Ordini professionali e altri ruoli pubblici – ha specificato che l’Ordine Professionale non interviene nei confronti dell’Infermiere impegnato in incarichi politico istituzionali nell’esercizio delle relative funzioni.
È ora di attendersi, anche in questo caso, la modifica del Codice di deontologia medica (e di tutti i Codici delle professioni sanitarie).
Luca Benci
Giurista
11 dicembre 2019
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