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Piani di rientro. Non hanno garantito la coesistenza tra riequilibrio della spesa e diritti delle persone

di Ivan Cavicchi

Per risolvere l’antinomia risorse/diritti dobbiamo essere prima di tutto consapevoli che essa, se non adeguatamente rimossa, alla lunga metterà in crisi la natura pubblica del sistema. Bisogna quindi porsi una domanda: quale sistema pubblico di tutela sanitaria garantisce una minore spesa? 

09 SET - Il ministero della salute, con un report sui piani di rientro, ci ha detto tre cose:
-sono alla prova dei fatti gli strumenti che più hanno funzionato per ridurre la spesa
-per come sono usati dalle regioni sono strumenti iniqui perché danneggiano il grado di universalismo del sistema
-nelle mani delle regioni hanno avuto prevalentemente la forma dei tagli alla spesa corrente per cui non hanno comportato particolari riorganizzazione del sistema.

Ciò conferma per intero le nostre analisi fatte in questi anni, soprattutto su questo giornale, e che ostinatamente abbiamo indicato con l’antinomia tipica delle politiche di compatibilità quella tra “risorse/diritti”. A tutt’oggi con i piani di rientro, ma non solo con questi, non siamo riusciti a far coesistere le politiche di riequilibrio della spesa con i diritti delle persone. Cioè non siamo riusciti a fare “compossibilità”. Governo e Regioni, anche con il recente Patto per la salute e il regolamento sugli standard ospedalieri, insistono nell’adottare politiche de-tutelizzanti a scapito dei diritti.

Ma il report del ministero ci fa riflettere anche sul significato politico dei piani di rientro. Essi non sono altro che atti di limitazione della sovranità regionale giustificati dall’ incapacità dei governi regionali ma che, anche se odiosi, ottengono di fatto innegabili risultati di contenimento della spesa. Anzi fino ad ora i piani di rientro sono stati gli strumenti più efficaci per piegare le regioni alle politiche di compatibilità.

Essi in pratica sono l’applicazione di quella norma di sovranità del governo compresa nella riforma del titolo V in discussione al Parlamento e che sino ad ora è stata usata per commissariare gli assessorati alla sanità. Ma con il commissariamento, si è badato solo al pareggio di bilancio, costi quel che costi, cioè il governo ha lasciato che le regioni, per riprendersi le potestà di governo perdute, facessero letteralmente “carne di porco”... ed ora vengono fuori le magagne.

Il report del ministero dice che le regioni per equilibrare i conti hanno sacrificato i diritti delle persone, ma non perché con i piani di rientro sia inevitabile, cioè colpa dello strumento in sé, ma perché le regioni hanno delle incapacità, delle volontà e degli interessi politici da tutelare e dei sistemi sanitari pieni di costose contraddizioni. Esse a parte ignorare le virtù della compossibilità, hanno accuratamente evitato di tagliare sugli i intrecci tra gestione e politica, e ancora meno di intervenire sulle grandi diseconomie del sistema e sui suoi altissimi costi di transazione (contenzioso legale, medicina difensiva, dequalificazione causata dal blocco del turn over ecc). In sostanza le regioni hanno tagliato sui diritti, in genere dei più deboli, ma per mantenere, attraverso una serie di diseconomie, i loro prevalenti interessi politico-clientelari.

Per cui non meraviglia se il report alla fine registra l’esistenza di differenze significative a proposito di Lea. Pur rilevando alcuni tendenziali miglioramenti per lo più legati alla deospedalizzazione e alla crescita dell’assistenza territoriale, sussiste, secondo il report, un problema politico di equità forte. Il rapporto tra “sistema salute ,deficit finanziario ed erogazione dei Lea” resta squilibrato.

C’è infine un aspetto che il report trascura e che secondo me è invece quello che più di ogni altro è alla base dell’iniquità: il grado di privatizzazione del sistema causato dalle politiche restrittive delle regioni in piano di rientro, ma non solo. Non si tratta di limitarsi a valutare, come fa il report, il grado di equità del sistema commisurandolo con l’accesso alle prestazioni pubbliche dei cittadini, ma anche di valutare il grado relativo di privatizzazione delle prestazioni pubbliche previste dai Lea ma erogate a pagamento.

Le regioni in piano di rientro hanno imposto ticket a tutto spiano, hanno usato espedienti per scoraggiare il ricorso al pubblico (tipico è il caso dei ticket che costano più delle prestazioni private), hanno creato barriere all’acceso dei servizi ed altro. Io credo da tempo che le politiche adottate in questi anni per raggiungere il riequilibrio finanziario implichino di fatto la privatizzazione di un pezzo dei consumi (basta vedere il peso della spesa out of pocket e l’enfasi posta sulle mutue integrative), quindi credo che di fatto sotto la spinta delle contraddizioni finanziarie sia in azione una contro riforma strisciante a danno dell’ordinamento pubblico.

Cosa fare? Il report suggerisce sostanzialmente una riorganizzazione dei Ssr, quindi non si allontana dalla vecchia linea marginalista del Patto per la salute e del regolamento per gli standard ospedalieri. Esso resta dentro una logica del “riordino quale compatibilità,” restando per questo ben distante da una difesa efficace della natura pubblica del sistema.

Ma le politiche marginaliste che il report insiste a definire di “razionalizzazione” sono in grado di risolvere una volta per tutte l’antinomia diritti/risorse? Quando il report dice che “è necessario rendere possibile equilibrio finanziario ed erogazione equa ed efficace dei livelli di assistenza” praticamente fa un discorso di compossibilità, ma le politiche di riorganizzazione che esso auspica, sono in grado di fare compossibilità? Personalmente e non da ora credo di no. Esse vanno bene per delle politiche di compatibilità fino a quando le compatibilità diventano incompatibili con i diritti come dimostrano proprio i piani di rientro.

Per risolvere l’antinomia risorse/diritti dobbiamo essere prima di tutto consapevoli che essa, se non adeguatamente rimossa, alla lunga metterà in crisi la natura pubblica del sistema e quindi cambiare la domanda: quale sistema pubblico di tutela sanitaria garantisce una minore spesa?
Cioè quale riforma e non solo quale riordino riesce a scongiurare la privatizzazione e quindi l’iniquità del sistema con un sistema meno costoso? Per fare compossibilità, cioè per rimuovere le contraddizioni strutturali del Sistema sanitario regionale, è necessario riformare i modelli, gli assetti organizzativi, le strategie assistenziali.

L’antinomia risorse/diritti che ci porta alla privatizzazione si rimuove solo con un discorso nuovo sull’equità. Il primo movente riformatore resta quindi lo scopo della giustizia ancor prima di quello della salute. Spesa, giustizia e salute non sono separabili. Senza giustizia non si fa né salute né della buona spesa, il che vuol dire che alla fine i piani di rientro restano strumenti che sparigliano i rapporti tra spesa giustizia e salute e in ragione di ciò inevitabilmente a scapito della popolazione più svantaggiata.
 

Ivan Cavicchi
 

09 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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