Donne medico in Piemonte. Rivetti (Anaao): “Medicina sempre più femminile ma non a tutti i livelli e non per tutte le attività”
I risultati della fotografia scattata dalla segretaria regionale Anaao Piemonte, Chiara Rivetti: più donne medico ma non nelle posizioni apicali, maggiore richiesta di part-time e minore attività libero professionale rispetto ai colleghi uomini. “La strada è ancora lunga”.
07 MAR - In occasione dell'8 marzo, la segretaria regionale dell'Anaao,
Chiara Rivetti, fotografa la situazione delle donne medico nella Regione Piemonte con un report dettagliato che prende in considerazione anche le normative e la loro effettiva applicazione.
"La medicina è sempre più femminile. Aumentano le laureate in Medicina. Aumenta la percentuale di dirigenti medico donne ospedaliere dipendenti del Ssn: passa dal 60% nella fascia d’età 40-44 al 27,6% nella fascia d’età 60-64".
"Questo ci induce due riflessioni:
1.
Con la curva pensionistica andranno in pensione gli uomini. Le corsie degli ospedali si tingeranno di rosa per un maggiore ingresso di donne medico e per una maggiore uscita degli uomini.
2.
Le norme che favoriscono il pre-pensionamento tra i medici favoriscono gli uomini. Quota cento sarà rivolta soprattutto ai baby-boomer maschi, che in buona parte andranno in pensione con il sistema contributivo.
Le donne sono presenti competenti, competitive. Ma ai livelli dirigenziali latitano. D’altronde, le donne che occupano posizioni apicali - sia in ambito economico che in ambito politico - sono decisamente poche.
La Legge Golfo-Mosca del 2011 prescrive una rappresentanza bilanciata di ambo i generi nei Consigli di amministrazione delle società quotate e delle partecipate: in particolare, a partire dal primo rinnovo del Cda successivo ad agosto 2012, la rappresentanza delle donne deve essere pari ad almeno un quinto dei membri del board, da aumentare a un terzo per i rinnovi successivi al primo".
Come siamo messi negli ospedali?
"In regione Piemonte la percentuale di donne direttrici di SC (Primarie) è del 18%. Ben meno del 33% previsto al secondo rinnovo dei Cda delle società".
Va ancora peggio se consideriamo i direttori generali: solo 2 dei 18 dg piemontesi sono donne.
Va un po’ meglio se consideriamo le responsabili di SS che in Piemonte rappresentano il 35% del totale dei direttori.
"Peccato. Perché le donne al vertice potrebbero essere più consapevoli degli ostacoli al lavoro femminile e quindi essere più attive negli ospedali per cercare di rimuoverli. Le primarie donne potrebbero essere più sensibili alla richiesta di part-time, tollerare meglio le assenze per malattia figlio, concedere magnanime il congedo parentale ai padri, chiedere con maggiore insistenza alle amministrazioni la sostituzione per maternità delle colleghe.
Peraltro, incominciano a essere riconosciuti i risultati positivi del diverso modo che le donne hanno di interpretare i ruoli professionali e nello specifico di comando: maggiore empatia, orientamento alla collaborazione e al sostegno reciproco, minore competizione conflittuale, attenzione al risultato e non alla vittoria sui colleghi. Il successo è vissuto dalle donne soprattutto in termini collettivi, più che come traguardo personale.
Ma perché così poche donne nei ruoli dirigenziali?
La carriera in Italia, ed in sanità, non si fa da giovani. Un primario cinquantenne è una rarità. Progredendo con l’età, l’incidenza femminile diminuisce, dunque la platea di medici tra cui scegliere un primario è una platea per lo più maschile. Ma ovviamente non è questo il problema.
Alle donne è ancora affidato il ruolo di cura. Dei figli, dei genitori, della famiglia in generale. Esiste inoltre un welfare non benevolo nei confronti delle donne. Persiste una diseguale distribuzione dei carichi di lavoro familiari a svantaggio delle donne. Esistono discriminazioni e diseguaglianze. Secondo la teoria delle piccole differenze, non è indispensabile attuare grandi discriminazioni per produrre grandi disuguaglianze. Le grandi disuguaglianze possono infatti nascere da comportamenti marginali che creano tanti piccoli svantaggi, che si cumulano nel tempo e fanno rallentare la carriera delle donne. La prima sconfitta inoltre le esclude dalla competizione per le posizioni più ambite e le orienta verso percorsi laterali.
A conferma del ruolo di cura riservato alle donne, le richieste di part-time provengono in circa il 90% dei casi da dottoresse.
E il problema è che il part-time viene concesso poco e a poche. Inoltre la donna che decide di lavorare in part-time firma, con la richiesta di tempo ridotto, anche la fine della propria progressione di carriera lavorativa".
Attività Libero professionale
"Leggendo i dati, i nostri direttori generali (uomini) dovrebbero essere molto riconoscenti alle dirigenti mediche donne, perché dimostrano un particolare
attaccamento all’Azienda. Pochissime fanno attività libero professionale, sia intra che extramoenia. Lavorano per il pubblico, per l’Azienda.
Il 3% delle donne direttori di SC ha scelto il regime in extramoenia, contro il 6% degli uomini".
E l'1,8% delle donne direttrici di SS ha scelto il regime in extramoenia, contro il 5,7% degli uomini.
Riguardo all’attività intramoenia, i dati in nostro possesso non includono tutte le Asl del Piemonte, per le difficoltà incontrate nel recuperarli, ma ci dicono che l’ALPI è per un terzo femminile e per 2/3 maschile.
Totale dirigenti medici in intramoenia
"Le donne probabilmente scelgono di dedicare il proprio tempo libero alla famiglia, o all’attività ospedaliera. Sarebbe interessante scorporare per genere anche i dati sulle ore extra lavorate.
Dunque: più donne medico ma non nelle posizioni apicali.
Maggiore richiesta di part-time e minor attività libero professionale rispetto ai colleghi uomini.
La strada è ancora lunga, sicuramente ci servirà un welfare più favorevole, un cambiamento culturale che riconosca le competenze femminili, una migliore distribuzione dei carichi di lavoro familiari - conclude Chiara Rivetti - e anche una maggiore consapevolezza di noi donne".
07 marzo 2019
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