Il riordino degli ospedali piemontesi. Quei “maledetti” standard
Trovo rischioso che ci si limiti ad un riordino ospedaliero senza accedere contestualmente ad un discorso più ampio di riforma del sistema nel suo complesso, dal momento che le concomitanze tra territorio e ospedale sono innegabili
04 FEB - Ancora non abbiamo imparato, prima di fare danni, a mettere in campo delle valutazioni di impatto socio-sanitario per saggiare gli effetti delle politiche sanitarie sulle popolazioni interessate. La giuntadel Piemonte è stata costretta dalla contestazione dei propri territori a rivedere la sua delibera sul riordino degli ospedali (
vedi articolo di QS con allegate le due delibere di novembre e gennaio)
.
A scrivere numeri sugli ospedali negli allegati delle delibere è facile ma prevedere i loro effetti reali, fisici, sulle persone che hanno bisogno nei loro svariati spesso complicati territori di vita è un altro paio di maniche. La mediazione che la Regione sta tentando con la nuova delibera di gennaio è di accontentare i territori in rivolta facendo sopravvivere alcune di quelle specialità considerate dalla precedente delibera “
non assegnabili”.
Ma l’operazione di fondo, che è sostanzialmente una operazione a tavolino di neo-standardizzazione del numero dei posti letto, resta invariata soprattutto nei saldi. Gli standard alla fine, come dimostrano le proteste del territorio, sono astrazioni statistiche che si danno arie di verità scientifiche ma senza esserlo. Il problema della sanità piemontese non è solo essere oltre i parametri di compatibilità finanziaria ma anche che la sua produzione è calata del 3% senza una proporzionale riduzione dei costi e per giunta è aumentata la mobilità passiva verso altre Regioni (30 milioni solo nel 2013).
Questo vuol dire due cose:
· vi è tanto un problema di
quantità di sistema e quindi di spesa ed è il problema principale della regione;
· quanto un problema di
qualità di sistema e
quindi di tutela ed è il problema dei cittadini.
La cosa difficile è conciliare le due cose. La riorganizzazione della rete ospedaliera, anche nella seconda delibera, è in pratica un intervento,
a sistema fondamentalmente invariante, di “
ospedalectomia”. Le indicazioni verbali delle due delibere sono eloquenti:
riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati a 3,7 posti letto per mille abitanti,
adeguamento delle piante organiche in rapporto ad un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti;
riduzione dei posti letto in eccesso,
soppressione di unità operative complesse,
riconversione dei ricoveri ordinari in ricoveri diurni e i ricoveri diurni all'assistenza territoriale quindi assistenza ambulatoriale residenziale e domiciliare. Quindi le due delibere ragionano come se all’ interno del sistema sanitario piemontese vi fosse una superfetazione di posti letto, di unità complesse, di unità operative da ridurre o rimuovere mettendo in atto poi tutti le operazioni ricostruttive del caso (hub spoke, ospedali graduati per bacini di utenza ecc)
La Regione Piemonte si è sforzata di rassicurare in vario modo tanto i propri cittadini che i propri operatori ma a giudicare dalle proteste dei territori non è stata così convincente.Le loro rassicurazioni derivano da cose che si dovranno fare in un secondo tempo e si danno per scontate ma che scontate non sono dal momento che la nuova standardizzazione del numero dei posti letto, dovrà essere sostenuta da tutta una serie di atti di riforma quali riconversioni, un nuovo governo della domanda, il ripensamento dell’assistenza primaria, ecc.
Cioè il presupposto perché tutto funzioni è la
contestualità tra la ridefinizione della rete ospedaliera e il riassetto dell’assistenza territoriale. Ma mentre tutta l’attenzione delle delibere è per la
ospedalectomia sull’assistenza territoriale per ora vi sono solo enunciazioni. Le delibere sanciscono vistosamente la differenza tra norme
performative e norme
indicative.Le prime tagliano e ricuciono il sistema ospedaliero in essere (con la norma performativa si compie quello che si dice di fare producendo un fatto reale).
Le seconde invece, quelle che riguardano il territorio, si limitano ad asserire in modo non condizionale quello che si dovrebbe fare senza subordinare ciò che si dice di voler fare a degli standard, indicatori, criteri metodologici. Per cui tanto nella delibera che negli allegati la
definizione del territorio all’indicativo ha il limite di essere molto... troppo generica. La questione viene rimandata ad atti successivi ma questo vuol dire che salta il principio di contestualità dichiarato con il rischio di creare una dolorosa fase di transizione fatta da abbandono, disfunzioni, tribolazioni per la gente, diseguaglianze di trattamento e soprattutto problemi di accesso ai servizi.
L’operazione quindi è concepita con la logica dei due tempi, prima si taglia e dopo si vedrà. “
Contestualità”, non significa solo che il riordino dell’ospedale deve coincidere con il riordino del territorio ma sottolinea ontologicamente che ospedale e territorio sono due sottosistemi di un comune sistema sanitario e che quindi non vi può essere un
riordino della parte senza
una riforma del tutto.
Contestualità quindi vuol dire
concomitanza riformatrice nel senso delle “
variazioni concomitanti” di Stuart Mill:
si dia un obiettivo di compossibilità diritti/risorse e l’ospedale e il territorio quale sistema di diritti e di spesa....tutti i problemi di compossibilità causano variazioni nel primo e nel secondo e viceversa....dando forma ad un processo riformatore.
Trovo rischioso che ci si limiti ad un riordino ospedaliero senza accedere contestualmente ad un discorso più ampio di riforma del sistema nel suo complesso, dal momento che le concomitanze tra territorio e ospedale sono innegabili. La riduzione degli standard ospedalieri avviene a modello invariante di ospedale (
l’hub spoke non è una riforma dei modelli ma solo la riproposizione di una classificazione che per altro pur con nomi diversi risale al 1968 cioè alla riforma Mariotti) per cui è probabile che parte della domanda sarà scaricata sul territorio ,a dicotomia invariante nei confronti dell’ospedale, senza che vi sia un territorio adeguato.
Il punto di fondo, che non va mai dimenticato, è che qualsiasi standard di posti letto è funzione del territorioper cui se il territorio non viene ripensato qualsiasi riduzione di standard rischia di essere una banale riduzione di assistenza. Se non si risolve questo problema di concomitanza, presumibilmente i problemi di mobilità cresceranno. Quanto al territorio (
prima delibera punto 4,linee di indirizzo per lo sviluppo della rete territoriale) non c’è solo un problema di genericità, si intravedono vistose contraddizioni come quella tra l’idea di “
rete territoriale” e il distretto definito come “
macrostruttura” (sui limiti di questa concezione rimando alla parte 3 de “
i mondi possibili della programmazione sanitaria(...) Mc Graw Hill 2012). Sorvolo le questioni che riguardano il lavoro, le professioni, le organizzazioni che ancora una volta sono visti come fantasmi incorporei come se non fossero “
il servizio” che sono.
Concludo con quattro amichevoli suggerimenti:
· invertite l’ordine applicativo del riordino cioè partite dalla riorganizzazione del territorio al fine di rimodulare la funzione ospedaliera per non creare situazioni di abbandono;
· scrivete subito una nuova delibera performativa “
adeguamento della rete territoriale a sostegno della rimodulazione della rete ospedaliera”;
· mettete mano ad un disegno di riforma complessivo del sistema che vada oltre la logica del riordino, dell’adeguamento, della rimodulazione e che affronti i problemi dei modelli, dei modi di essere, delle prassi, dei metodi, del lavoro… perché la sanità è fatta soprattutto da persone e non da cose;
· fate in modo che le persone...a partire dai cittadini....non siano “
riordinati” nei loro bisogni di salute ma siano soggetti di riforma.
Buon lavoro.
Ivan Cavicchi
Ps: analoga analisi vale anche per il decreto n° 14 gennaio 2015 “riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera-territoriale della regione Sicilia” (QS 26 gennaio 2015) per cui applicando la regola transitiva sussistono analoghi dubbi e valgono analoghe proposte.
04 febbraio 2015
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