Anche io come Vittorio Agnoletto (
QS, 6 settembre) sul “patto di Roma” (Global Health Summit) appena concluso, e significativamente votato dal G20 all’unanimità, ho delle perplessità.
Per questa ragione:
• sono meno ottimista dell’onorevole Angela Ianaro (QS 7 settembre) che vede nel patto di Roma il primo passo verso la sospensione dei brevetti;
• non capisco coloro che applaudono al patto di Roma parlando di accesso universale ai vaccini. Magari fosse. (QS 6 settembre);
• mi sorprendono coloro che pur giustamente auspicavano dal summit a proposito di distribuzione dei vaccini il rispetto della giustizia, direbbe Rawls, come equità;
• mi fa sorridere infine l’entusiasmo esagerato di Speranza che al grido “nessuno deve restare indietro” comprensibilmente si vende politicamente l’evento ascrivendoselo come merito ma che nello stesso tempo azzarda previsioni molto poco credibili come quella di vaccinare il 40% della popolazione globale entro il 2021, cioè entro natale, o di portare, “la produzione di vaccini in tutti gli angoli del mondo” ma a regime brevettuale invariante.
Da dove nascono le mie perplessità?
Divise in gruppi esse nascono principalmente da tre cose:
• dal ruolo e dalla funzione delle dichiarazioni intese quali strumenti politici
• dalle scelte strategiche che emergono dal testo della dichiarazione
• dalla inconsistenza culturale dei suoi slogan
Cominciamo dal ruolo e dalla funzione della dichiarazione quale strumento di politica internazionale.
La dichiarazione finale vale a dire il testo approvato dal G20 in realtà è un elenco sterminato di buone intenzioni e di nobili disposizioni d’animo, di enunciati ipotetici, di petizioni di principio, ma senza avere mai per iscritto nessuna certezza sulla loro attuazione.
Quindi le mie prime perplessità nascono da quel vecchio problema definito enforcement quello tipico che accompagna ogni dichiarazione internazionale come quella appena approvata a Roma. Tutte le dichiarazioni internazionali che fino ad ora hanno avuto a che fare con la salute (Alma Ata 1978, la Carta di Ottawa 1986, Carta di Bangkok 2005, la Salute in tutte le politiche 2016, Salute 2020, ecc.) si sono dimostrate aimè scarsamente self-enforcing finendo per restare, per buona parte, sulla carta.
Se tutte le dichiarazioni fatte fino ad ora fossero state attuate la pandemia di sicuro non esisterebbe. Non solo ma se ad esempio avessimo applicato Alma Ata (Art. 1, “
Il raggiungimento del più alto grado di salute richiede l'intervento di molti altri settori sociali ed economici, oltre al settore sanitario”) oggi avremmo one health già da mezzo secolo e risolto tutti i problemi previsi nel PNRR (missione 6) quindi territorio, cure primarie e un mucchio di altre cose.
Per cui mi chiedo, pensando al patto di Roma, come si fa a perseguire degli obblighi se nelle dichiarazioni, sempre approvate all’unanimità esistono solo petizioni di principio? Cioè se nelle dichiarazioni non ci sono obblighi come si fa ad attuarle? E mi chiedo ancora siccome questa dichiarazione di Roma, sostanzialmente è esattamente come le altre, perché mai essa dovrebbe essere più plausibile delle altre? Solo perché Speranza è di art 1?
Proprio perché abbiamo una pandemia tra i piedi francamente non mi sarebbe dispiaciuto che il patto di Roma istituisse una authority per garantire il pieno enforcement della dichiarazione stessa.
Ma nessuna autorità è prevista anzi al contrario nella dichiarazione si dà luogo ad un gigantesco processo di centralizzazione delle decisioni. Gli aiuti al mondo non possono che essere gestiti dal l’economia che finanzia le istituzioni internazionali. Dal documento si evince che ad essere davvero rafforzato e rifinanziato, OMS in testa, sono tutte le organizzazioni internazionali che hanno a che fare con la salute, ma questo, che secondo me ai fini di un maggior coordinamento potrebbe anche essere necessario, non è mai compensato con un altrettanto sviluppo dei governi locali. Nella dichiarazione si parla del ruolo di leadership delle istituzioni internazionali e niente altro il che equivale per metonimia a rimarcare il ruolo di leadership dei finanziatori delle istituzioni internazionali.
L’Oms ad esempio, come ha dimostrato Trump, dipende dai finanziamenti dei paesi aderenti.
Ora passiamo al contenuto della dichiarazione cioè alle perplessità che mi vengono dalla sua lettura e quindi dalla strategia in essa implicita cioè quella che sta dietro le sue commoventi buone intenzioni.
Per comprendere questa strategia basta contare nel testo finale della dichiarazione il numero delle volte in cui ricorre l’acronimo SDG cioè “obiettivi si sviluppo sostenibile”. Davvero una ossessione.
Nel punto 4 si dicono due cose che:
• la pandemia ha innescato “rischi enormi” per gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell’occidente
• il conseguimento di tali obiettivi da parte dei paesi ricchi resta il vero obiettivo politico da raggiungere con il summit
L’intera dichiarazione finale infatti ruota intorno a questo problema e fornisce una chiave di lettura importante che da parte nostra sarebbe ingenuo ignorare: l’occidente non è preoccupato per la salute del mondo e quindi per la sorte dei paesi più sfortunati e per la povera gente che muore ma è preoccupato per se stesso, per la propria salute e per la propria economia, per cui è “costretto” ad aiutare il resto del mondo.
Dietro la dichiarazione (ma neanche tanto dietro) vi è il più classico utilitarismo economico-capitalistico travestito di solidarietà quello che si potrebbe chiamare con una battuta il “crowdfunding dell’opportunismo”.
L’occidente, legittimamente avendo di mira soprattutto il proprio tornaconto, ritiene conveniente fare la carità, come ha sempre fatto nella sua storia, soprattutto al fine di non rinunciare ai propri scopi.
Essere costretti ad aiutare gli altri significa solidarietà ob torto collo cioè solidarietà non del tutto disinteressata.
Non è un caso quindi come giustamente ha rilevato Vittorio Agnoletto che il summit abbia ignorato del tutto “la proposta di moratoria per i brevetti sui vaccini, come da più parti a livello mondiale ed europeo richiesto”.
Certo è innegabile che si vuole aiutare il mondo ma la proprietà intellettuale proprio perché “proprietà privata” non si tocca anche se muoiono milioni di persone. La pandemia non basta per riconoscere il bene pubblico specialmente se il bene pubblico danneggia gli interessi privati.
Il summit si è dichiarato disponibile a fare la carità ma niente altro. Quindi a fare una dichiarazione di intenti ma non a sottoscrivere degli impegni.
Il punto è che dati alla mano il sistema della carità in generale nel campo della salute non funziona, poi con una pandemia tra i piedi rende ancor più tragica la situazione. Equità e carità non vanno d’accordo. La carità diventa una specie di merce di scambio che segue le logiche della convenienza economica non quelle della giustizia e della morale. Per avere equità ci vogliono i diritti e i diritti alla salute sono dichiarati per l’appunto solo nelle dichiarazioni cioè solo in qualità di petizioni di principio. Ma in nessun modo possono ambire a prescrivere all’economia dell’occidente degli obblighi o peggio una giustizia distributiva basata sull’equità.
Agnoletto parla giustamente di “bufala della filantropia ” e citando l’OMS ci ricorda che proprio la carità produce ingiustizie: 10 Paesi, tra i quali l’Italia, hanno acquistato il 75% delle dosi di vaccino prodotte a livello mondiale mentre in Africa i vaccinati non superano al 2%”.
Quindi alcune mie perplessità nascono dall’opportunismo egoistico che proprio come un imprinting sta alla base della dichiarazione di Roma e che poco concede a dire il vero alla vera solidarietà, all’umanità, al tema del diritto e quindi al tema della giustizia.
Questo imprinting alla fine finisce per deformare tutto e per caratterizzare concetti importanti come ad esempio resilienza.
Altro concetto ossessivamente ricorrente nel testo della dichiarazione.
Come tutti sanno resilienza ha due significati:
• la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi
• la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
Siccome l’economia è ormai globalizzata si tratta al fine di salvaguardare i famosi SDG di aiutare il mondo ad essere resiliente cioè a “non rompersi” e a “reagire alla pandemia. Ma essere resiliente in nessun modo significa aiutarlo a svilupparsi, a crescere, ad essere più libero, più giusto. La resilienza di cui parla la dichiarazione serve a salvaguardare i mercati e a ribadire lo status quo del mondo ma non a cambiarlo.
Infine gli slogan cioè la fuffa che si nasconde dietro la loro insopportabile millanteria. Questa volta tocca a “one health” (punto 16) che prende il posto di un altro slogan “la salute in tutte le politiche” che a sua volta sostituisce quello dell’Oms (la salute per tutti come massimo benessere individuale). Nella dichiarazione finale si parla addirittura di “costruire la resilienza one Health”.
A parte il fatto che se dovessimo passare in rassegna le tante definizioni di salute che fino ad ora sono state proposte dalle tante dichiarazioni internazionali bisognerebbe ammettere che quella oggi di moda “one health” implicherebbe prima di ogni cosa una sua riforma, cioè una riforma della nostra idea classica di prevenzione, che però oggi non c’è. Speranza che con il PNRR ha dimostrato di non essere un ministro riformatore si riempie la bocca con “one health” ma nella sua proposta di potenziamento della prevenzione nel PNRR egli si limita a proporre il potenziamento di quello che c’è che se si pensa solo alla divisione che ancora esiste tra ambiente e salute è esattamente la negazione di one health.
Ma sul serio Speranza uomo convenzionalmente definibile di sinistra pensa che si possa aiutare il mondo messo in ginocchio dalla pandemia con gli slogan e non con un vero serio autentico pensiero riformatore?
In conclusione. Personalmente l’unica parte del testo della dichiarazione che ho apprezzato è quella che riguarda il personale necessario a far funzionare la sanità. Ma anche in questo caso non posso non rilevare la contraddizione tra gli auspici della dichiarazione con il PNRR.
Nonostante le mie perplessità non posso negare che il patto di Roma abbia una sua rilevanza politica internazionale. Resta non c’è dubbio comunque un fatto politico importante. Esattamente come tutte le dichiarazioni (Alma Ata, Ottawa, Bangkok, ecc.) che lo hanno preceduto esso probabilmente non sarà self-reforcing per cui servirà a sgravare la coscienza dell’occidente e a fare da soprammobile per la letteratura in tema di sanità.
Il punto tragico è che una pandemia come quella che ci sta travagliando l’esistenza non si combatte con l’egoismo degli interessi con gli slogan degli ignoranti, con la falsa solidarietà degli ipocriti e meno che mai con i soprammobili.
Ivan Cavicchi