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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Studi e Analisi

Quale riforma per la sanità in Lombardia. Siamo proprio sicuri che non sia possibile trovare soluzioni condivise?

di A. Nobili, A. Barbato, M. Badinella Martini
immagine 22 luglio - Ecco alcune proposte su alcuni snodi della riforma sui quali, se si riuscisse a raggiungere un consenso di massima tra tutti coloro che sono interessati a sostenere una reale riforma del servizio sanitario in Lombardia, sarebbe possibile avviare un percorso virtuoso in questa direzione
Premesse
Il percorso di revisione della legge 23/2015 che regola il servizio sanitario in Lombardia è iniziato, come è noto, dalla lettera inviata dal ministro Speranza il 15 Dicembre del 2020 al Presidente di Regione Lombardia, in cui sollecitava i responsabili regionali a rivedere la legge sulla base di una relazione dell’AGENAS che ne indicava gli aspetti critici. Il Ministero dava quattro mesi di tempo per attuare i correttivi richiesti da AGENAS, suddivisi in necessari, che la Regione era tenuta a rispettare, e migliorativi, che erano raccomandati pur senza essere considerati obbligatori.
 
La Regione ha affrontato questo compito con estrema lentezza e la scadenza è stata superata senza aver completato i lavori. Ad oggi, di fatto, la Regione ha ottenuto, anche se in forma non ufficiale, una proroga che sposta i tempi di presentazione di un progetto per la revisione della legge all’autunno inoltrato.
 
Nel frattempo, come primo passo, la giunta regionale ha approvato il 31 Maggio un breve documento contenente le “Linee di sviluppo dell’assetto del sistema socio sanitario lombardo delineato dalla legge regionale 11 Agosto 2015, n. 23”, successivamente integrato con ulteriori dettagli il 14 Giugno.
 
A seguito di ciò, come era prevedibile su un tema così importante, si è aperto un ampio dibattito e sono stati prodotti numerosi contributi contenenti suggerimenti per la modifica della legge.
 
In particolare, tra le forze politiche presenti in Consiglio regionale:
- il Movimento Cinque Stelle ha depositato tre proposte di legge su aspetti specifici: ATS unica, Case della Comunità, contrattualizzazione dei privati accreditati;
- il PD ha predisposto un testo di riforma che però non è stato presentato come proposta di legge;
- il gruppo di Più Europa è intervenuto con alcuni suggerimenti di modifica sul documento del PD.

CGIL, CISL e UIL hanno prodotto un documento propositivo su alcuni punti della legge, come pure alcune associazioni della società civile, che si occupano dei temi della salute, come il Forum per il Diritto alla Salute e il Coordinamento regionale Dico 32.
 
Inoltre, in un Convegno organizzato il 29 marzo scorso dall’Istituto Mario Negri di Milano (la cui registrazione si può vedere a questo link con la partecipazione di diversi esperti del settore, è stato presentato e discusso un documento sulla riorganizzazione delle cure primarie e della medicina del territorio in Lombardia.
 
Successivamente, è stata diffusa una bozza di riforma dell’assistenza territoriale sottoposta da AGENAS alla cabina di regia per il Patto della Salute.
Purtroppo, come spesso accade, questa produzione di idee e proposte si è sviluppata in assenza di una sede condivisa che ne mettesse a confronto e ne valorizzasse i punti in comune.
 
La documentazione disponibile e gli obiettivi
Fatte queste doverose premesse e a partire da:
- la relazione di AGENAS inviata dal Ministero a dicembre 2020 a Regione Lombardia;
- le linee di sviluppo presentate dalla Giunta di Regione Lombardia;
- i contributi e le proposte presentate da forze politiche, sindacati e associazioni della società civile;
- il documento presentato dall’Istituto Mario Negri;
- la bozza di AGENAS su “Modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Sistema Sanitario Nazionale”...
...è possibile fare il punto della situazione e cercare di individuare alcuni punti essenziali e condivisi di una proposta per una nuova legge sanitaria in Lombardia?
 
Obiettivo di questo contributo è delineare una risposta articolata al quesito sopra posto.
 
Le linee di sviluppo del sistema socio-sanitario rese pubbliche dalla Giunta regionale ribadiscono la validità dei principi di fondo della politica sanitaria lombarda, ovvero:
1. la libertà di scelta, che dovrebbe consentire ai cittadini la possibilità di scegliere a parità di condizioni l’erogatore dell’assistenza all’interno del sistema pubblico e del sistema privato;
2. la separazione delle funzioni di programmazione, erogazione e controllo;
3. il riconoscimento, su un piano di parità coi soggetti pubblici, degli erogatori privati che mantengono la propria autonomia giuridica e amministrativa, ma sono parte integrante del sistema, contribuendo all’offerta di prestazioni, in concorrenza tra loro e coi servizi pubblici.
 
Nella legge regionale lombarda 23/2015 questi principi sono stati tradotti in un modello organizzativo basato sulle Agenzie di Tutela della Salute (ATS) col ruolo di governo di grandi aree inter-provinciali e le Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST), articolate in un Polo Ospedaliero, comprendente gli ospedali pubblici, e una Rete Territoriale. Le ASST, insieme ai soggetti privati accreditati, erogano le prestazioni comprese nei Livelli Essenziali di Assistenza.
 
Le risposte di Regione Lombardia alle richieste di Agenas
Partiamo dalle risposte della Regione Lombardia alle indicazioni dell’AGENAS, precisando che nella premessa delle Linee di Sviluppo viene affermata chiaramente l’intenzione di sviluppare solo alcune indicazioni di miglioramento, compatibili con l’assetto del sistema socio-sanitario lombardo, considerando esclusivamente i correttivi necessari e ignorando quelli migliorativi non obbligatori.
 
Queste, in sintesi, erano le indicazioni obbligatorie di AGENAS:
1. istituire i Dipartimenti di Prevenzione come articolazione delle ASST;
2. istituire i Distretti, con un adeguato coinvolgimento dei sindaci;
3. assegnare alle ASST l’attuazione degli atti di indirizzo, di pianificazione e di programmazione regionali con le connesse attività di coordinamento ed organizzazione dei servizi a livello locale, sulla base della popolazione di riferimento;
4. assegnare alla Regione, tramite un’Agenzia di controllo oppure a un’ATS unica, funzioni di vigilanza e controllo degli erogatori privati accreditati di valenza regionale o extraregionale con cui sono stati stipulati accordi contrattuali.
 
Queste invece erano le indicazioni migliorative, ma non obbligatorie:
- istituire un'ATS unica;
- assegnare all’ATS unica o in alternativa alla Regione la negoziazione e la contrattazione con gli erogatori privati;
- assegnare all’ATS unica o in alternativa alla Regione le attività di controllo sul rispetto degli accordi contrattuali con gli erogatori privati accreditati;
- assegnare alle ASST, previa valutazione del fabbisogno locale, l’incarico di stipulare gli accordi contrattuali con gli erogatori privati accreditati di prestazioni ospedaliere, ambulatoriali e sociosanitarie per attività in ambito locale;
- valutare la possibilità di ridefinire le dimensioni delle ASST.
 
Un’analisi attenta delle Linee di Sviluppo presentate dalla Giunta rivela che non era previsto che le raccomandazioni obbligatorie fossero interamente implementate.
 
In particolare:
1. la ricomposizione unitaria della prevenzione nell’ambito dei servizi territoriali non è stata considerata e le ATS dovrebbero conservare le funzioni di programmazione e di indirizzo delle attività di prevenzione verso l’ASST. Fra l’altro, tra i suoi compiti figura solamente la prevenzione individuale, mentre non si accenna alla prevenzione collettiva. Infine alcune attività appartenenti all’area della prevenzione, come l’igiene degli allevamenti, delle produzioni zootecniche e degli alimenti di origine animale rimangono affidate all’ATS. La separazione della salute animale dal settore della prevenzione smentisce e riduce a mera questione formale l’adesione al principio “One health”, a cui il documento si riferisce come “approccio complessivo alla salute per le persone, gli animali e l’ambiente”;
 
2. riguardo all’attivazione dei Distretti, il documento rimane vago sul coinvolgimento dei sindaci, di cui non indica le modalità operative, parlando solo di “raccordo” e di “rapporto con i Sindaci”;
 
3. per la programmazione dei servizi a livello locale in nessun punto viene indicato che questa funzione spetta all’ASST e non è chiaro come sotto questo aspetto l’ASST debba rapportarsi con l’ATS;
 
4. infine, non è prevista un’ATS unica e non viene fornita alcuna indicazione sullo svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo sui contratti dei privati accreditati, in quanto l’attuale Agenzia di Controllo del Sistema Socio-sanitario sembra destinata ad essere abolita.
 
Quanto alle indicazioni migliorative c’è poco da dire, visto che la Regione aveva già esplicitato la sua volontà di ignorarle. Pertanto non è stata presa in considerazione la possibilità di istituire un’unica ATS a cui affidare la contrattazione con i privati, che dovrebbe rimanere suddivisa tra le varie ATS senza criteri definiti. Di conseguenza, alle ASST non è attribuita nessuna funzione in tal senso in ambito locale. Infine, non vengono fornite indicazioni sulle dimensioni e il numero delle ASST, né sui criteri per definirne il territorio e la popolazione di riferimento.
 
Aspetti chiave di una proposta condivisa
Se la risposta della Giunta regionale alle esigenze di modifica della legge 23/2015 non può considerarsi soddisfacente, si possono individuare alcuni punti fondamentali, anche se non esaustivi, per una proposta condivisa di revisione.
 
1. Il principio della libera scelta
Nella premessa la libera scelta (tra pubblico e privato) del cittadino riguardo alle strutture socio-sanitarie è ribadita come uno dei pilastri del sistema. Secondo il nostro parere, il concetto di libera scelta del cittadino nell’identificare e intraprendere il proprio percorso di diagnosi e cura, sia nella scelta delle strutture sanitarie e sociosanitarie (pubbliche o private che siano), sia nella scelta del personale sanitario, declinato in modo assoluto senza ulteriori specificazioni, è molto distante, per non dire contraddittorio, a quello di prossimità delle cure e di presa in carico da parte di un servizio in un momento di bisogno e rende poco rilevante, per non dire superfluo, il ruolo della programmazione socio-sanitaria territoriale.
 
2. Governo pubblico
L’esigenza di un forte governo pubblico del sistema è un’assoluta priorità, soprattutto nel contesto lombardo, dove il settore privato con una presenza massiccia intercetta il 35% dei finanziamenti regionali per le attività ospedaliere e oltre il 40% per la specialistica ambulatoriale.
 
A questo scopo è necessaria una programmazione sanitaria basata sui dati epidemiologici e sui determinanti sociali e di genere, con definizione di obiettivi specifici in relazione all’analisi dei bisogni di salute e all’individuazione delle risorse umane, strutturali e tecnologiche, che va attuata dall’Assessorato regionale al Welfare, tramite il Piano Socio-Sanitario Regionale.
 
Nel quadro degli obiettivi definiti a livello regionale, le ASST devono effettuare la programmazione a livello locale, individuando i bisogni di salute e definendo le risorse necessarie attraverso il Piano Socio-Sanitario Territoriale.
I comuni devono partecipare con parere vincolante all’elaborazione del Piano Territoriale, nonché al monitoraggio e alla verifica dei servizi, istituendo anche forme di partecipazione dei cittadini.
 
Le strutture pubbliche e private vanno autorizzate e accreditate dalla Regione in base a criteri legati alle necessità di assistenza definite dalla programmazione regionale. Perché ciò possa avvenire in modo efficace vanno potenziati l’assessorato e la direzione centrale del Welfare, con controllo delle procedure d’acquisto, nonché i servizi di epidemiologia e i sistemi informativi.
 
I dati del monitoraggio epidemiologico delle condizioni di salute della popolazione e gli obiettivi della programmazione regionale devono regolarmente essere resi pubblici. Va infine effettuato un regolare monitoraggio delle dotazioni tecnologiche dei servizi pubblici e privati, col controllo degli appalti di fornitura e di utilizzo.
 
3. Assetto organizzativo
Le ATS sono uffici decentrati della regione che si frappongono tra la Regione e i servizi, contribuendo alla frammentazione del sistema e alla moltiplicazione dei centri decisionali. Per questo sono enti inutili e vanno abolite.
Le ASST devono avere il compito di coordinare la rete dei servizi pubblici e privati territoriali ed ospedalieri in un bacino di utenza omogeneo e definito, corrispondente al massimo al territorio di una provincia. I servizi pubblici che ad esse afferiscono vanno organizzati in Distretti, Dipartimenti e Presidi Ospedalieri, garantendo unità e globalità delle attività di prevenzione, diagnosi e cura, riabilitazione, promuovendo l’equità di accesso alle cure con politiche atte a superare le differenze determinate da fattori economici e sociali.
 
Le ASST devono adottare piattaforme tecnologiche per valutare la domanda sanitaria e sociosanitaria, adeguando l’offerta pubblica e privata dei servizi a esigenze della popolazione con particolare attenzione alle patologie croniche, alle condizioni di fragilità e deprivazione socioeconomica.
 
L’integrazione socio-sanitaria va assicurata da protocolli di collaborazione coi comuni. Il bacino di utenza delle ASST va diviso in Distretti che servano un’area con una popolazione variabile tra 50 e 100.000 abitanti secondo le caratteristiche del territorio.
I Distretti devono avere un Direttore con la qualifica di Direttore di Struttura Complessa.
 
4. Rapporto Pubblico-Privato
Rimane problematico e irrisolto il rapporto pubblico-privato, con un’asimmetria che non consente di subordinare il privato ai bisogni e alle eventuali carenze del pubblico, ma lascia libero spazio alla concorrenza tra gli erogatori pubblici e privati intesi come fornitori di prestazioni. Ciò consente al privato, non gravato dalle restrizioni burocratico-amministrative del pubblico, di occupare ampi settori di servizi e prestazioni, senza un governo e una programmazione regionale.
 
La Regione deve autorizzare e accreditare le strutture private, stipulando accordi contrattuali con gli erogatori la cui attività ha un ambito regionale, mentre i contratti con le strutture ad attività locale sono effettuati dalle ASST. I rapporti tra Servizio Sanitario Regionale e soggetti privati accreditati vanno regolati da contratti di fornitura delle prestazioni concordate su obiettivi della programmazione regionale e locale, con indicazioni sui risultati attesi.
 
I contratti di fornitura vanno verificati annualmente in base ai risultati raggiunti e possono essere temporaneamente sospesi per inadempienze, fatturazioni improprie e irregolarità verificate in sede giudiziaria. Tuttavia, i contratti devono essere stipulati per singole strutture e non, come suggeriscono le Linee di Sviluppo, attraverso un contratto unico regionale per gruppi, con definizione del case-mix da parte del committente, nel rispetto della struttura d’offerta di ciascun erogatore e degli investimenti effettuati. Questo potrebbe comportare che la Regione debba acquistare un pacchetto di prestazioni a scatola chiusa perché la struttura d’offerta dell’erogatore privato prevede una certa tipologia di servizi.
 
Inoltre, non è chiaro cosa siano i gruppi con cui stipulare il contratto unico. Se questo vuol dire che i contratti non devono essere fatti per singole strutture, bensì per l’intera offerta dei grandi gruppi della sanità privata, si tratta di una proposta a nostro avviso inaccettabile.
 
I gestori di più di due unità d’offerta in rapporto contrattuale con la Regione devono pubblicare bilanci e prospetti dei conti, in analogia agli enti pubblici, distinti dai costi e dalle entrate provenienti da attività al di fuori dei contratti. I cambiamenti di ragione sociale, le cessioni della proprietà o i cambi di gestione devono essere comunicati per un riesame dell’accreditamento e del rapporto contrattuale.
 
Periodicamente l’organico dei privati accreditati deve essere comunicato, indicando la dotazione di personale e aggiornando i carichi di lavoro rispetto a quanto dichiarato in accreditamento. Gli erogatori privati devono fornire conti separati per Livelli Essenziali di Assistenza, con dettaglio delle risorse utilizzate. Per i finanziamenti pubblici superiori a una certa soglia dei ricavi complessivi, le informazioni devono essere date secondo le norme dell’amministrazione trasparente.
 
In relazione al rapporto pubblico-privato, vanno infine considerati due aspetti:
1. la libera professione intramuraria va limitata e comunque subordinata al rispetto dei tempi massimi di attesa delle prestazioni, prevedendone la sospensione quando si superi una certa soglia di attesa, escludendo la possibilità, indicata nelle Linee di Sviluppo, che si possa svolgere nei distretti;
 
2. in una disposizione delle Linee di Sviluppo, con l’obiettivo di creare sinergie tra regione e attività produttive, si prevedono rapporti di collaborazione tra Direzione Generale Welfare e imprese su tre linee di indirizzo: welfare aziendale, ricerca biomedica e trasferimenti tecnologici. Questo potrebbe comportare un sostegno e una promozione della sanità integrativa gestita dai privati e dalle assicurazioni, col rischio di ampliare le disuguaglianze di accesso ai servizi. Inoltre, l’affidamento prevalentemente ai privati della ricerca, potrebbe favorire un orientamento non su priorità di sanità pubblica, ma sullo sviluppo di settori remunerativi per le imprese. Pertanto non è opportuno stabilire collaborazioni definite con queste modalità e con queste finalità.
 
5. Cure primarie
Le cure primarie devono essere erogate a livello distrettuale e organizzate nelle Case della Comunità. I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta vanno incentivati alla medicina di gruppo, per formare nell’ambito delle Case della Salute le Unità Complesse di Cure Primarie. I nuovi medici possono accedere alla convenzione col Servizio Sanitario Nazionale solamente nell’ambito delle Unità Complesse di Cure Primarie.
La Regione deve impegnarsi, nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, a sollecitare il passaggio alla dipendenza dei medici di medicina generale.
 
In ogni Distretto vanno previste Case della Comunità a gestione pubblica, secondo il modello presentato da AGENAS: 1 Casa della Comunità hub per ogni Distretto e almeno 3 Case della Comunità spoke (1 ogni 30/35.000 nelle aree metropolitane; 1 ogni 20/25.000 abitanti nelle aree urbane e sub-urbane; 1 ogni 10/15.000 abitanti nelle aree interne e rurali). Queste strutture devono essere luoghi facilmente riconoscibili, dove si concretizza l'integrazione dei servizi attraverso gruppi di lavoro multi- e inter-disciplinari, che comprendano medici (MMG, PLS e specialisti ambulatoriali), infermieri professionali, psicologi, fisioterapisti, operatori socio-sanitari e assistenti sociali.
 
Le Linee di Sviluppo indicano nella Casa della Comunità lo strumento per coordinare i servizi offerti ai malati cronici, ma non si pronunciano sul ruolo degli attuali gestori previsti dalla legge sulla presa in carico dei pazienti cronici, se non per dire che questo modello va “esteso”. La logica però vorrebbe che, se si crea un sistema costruito sulle funzioni del Distretto e delle sue emanazioni (Case della Comunità, Centrali Operative Territoriali, Ospedali di comunità), i gestori della cronicità, che costituiscono un settore privatistico parallelo non integrato con la sanità territoriale, siano superati e sia abolita la delibera X/6164 del 30.1.2017 e quelle successive che ne hanno disciplinato l’attuazione.
 
Nell’ambito delle Cure Primarie vanno promosse la digitalizzazione attraverso l’uso del fascicolo elettronico unico per gli assistiti, l’erogazione dei servizi a distanza e la possibilità di fruire delle prestazioni domiciliari, con la progressiva estensione della telemedicina, provvedendo ai necessari adeguamenti tecnologici.
 
Il fascicolo elettronico unico è un crocevia strategico essenziale per facilitare i flussi informativi dei dati sanitari dei pazienti tra tutti i soggetti coinvolti nel percorso di cura, garantendo un livello di cura elevato e il contenimento della spesa pubblica tramite l’abbattimento di ridondanze e sprechi.
L’iscrizione al servizio sanitario regionale e l’accesso alle cure primarie vanno garantiti a tutti coloro che si trovano di fatto nel territorio, indipendentemente dal possesso della cittadinanza o del permesso di soggiorno.
 
6. Distretti e Sanità territoriale
La Rete territoriale dell’ASST deve avere autonomia finanziaria e gestionale. I Distretti devono essere il centro motore della sanità territoriale e intervenire attraverso la Casa della Comunità e le strutture intermedie, come gli Ospedali di Comunità. Alla Casa della Comunità devono afferire i servizi territoriali, anche se non tutti sono fisicamente ubicati al suo interno. I Distretti devono altresì essere il riferimento primo per le RSA e RSA presenti nel suo territorio.
 
I servizi territoriali devono operare secondo il principio della sanità d’iniziativa e garantire l’assistenza domiciliare, in collegamento funzionale coi servizi sociali comunali e le associazioni del volontariato, prevedendo anche l’uso comune degli spazi.
 
I servizi afferenti al Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze devono fornire le prestazioni per la tutela della salute mentale, coordinando gli interventi in regime ospedaliero, ambulatoriale, domiciliare, residenziale e semiresidenziale.
 
I Consultori familiari devono gestire gli interventi legati alla salute riproduttiva della donna, alla promozione della maternità e della paternità responsabili, monitorando la corretta applicazione della legge 194/78 e garantendo l’educazione sessuale e l’accesso alla contraccezione.
I Distretti devono avere il compito di coordinare i servizi forniti dagli erogatori privati nel loro bacino di utenza, su cui esercitano funzioni di verifica e controllo.
 
7. Ospedali
I Presidi ospedalieri pubblici devono afferire alle ASST con autonomia finanziaria e gestionale nell’ambito della programmazione regionale e locale.
I presidi ospedalieri privati vanno coordinati dalle ASST secondo gli accordi contrattuali definiti in base alla programmazione territoriale.
 
A livello regionale gli ospedali devono essere organizzati nella rete regionale dei presidi ospedalieri, la cui programmazione è definita dal Piano ospedaliero periodicamente rivisto.
La continuità ospedale-territorio deve essere una priorità dell’ASST e va favorita attraverso il collegamento coi distretti, i poliambulatori specialistici, l’attivazione delle strutture intermedie coordinate con gli ospedali e le cure primarie, la digitalizzazione, la condivisione tra servizi del fascicolo elettronico unico e la telemedicina.
 
Gli ospedali che hanno i requisiti previsti dal D.L. 502/1992 possono essere costituiti in Aziende Ospedaliere. Anche se il documento regionale indica che agli erogatori privati in possesso degli stessi requisiti vengono riconosciute le medesime prerogative delle Aziende Ospedaliere, questo non appare opportuno perché significherebbe che la grande maggioranza degli ospedali privati diventerebbero Aziende Ospedaliere. Se si considera che, dei 19 IRCCS attuali in Lombardia, 14 sono privati e solo 5 pubblici, c’è il fondato rischio che la rete degli ospedali di alta complessità sia in larga misura a gestione privata.
 
Il Piano ospedaliero deve stabilire le modalità di coordinamento tra i presidi ospedalieri afferenti alle ASST e le Aziende Ospedaliere ad alto livello di complessità, non escludendo la possibilità che parte di aziende ospedaliere, storicamente presenti nel tessuto sociale e di cura delle città, possano comunque essere identificate come presidi ospedalieri, governati dalle ASST.
 
Attraverso la collaborazione tra poliambulatori specialistici gestiti dai distretti e presidi ospedalieri devono essere rese concrete le normative in vigore per la gestione delle liste d'attesa, in particolare legando gli obiettivi dei Direttori Generali e dei responsabili unici delle liste d'attesa, alla massima trasparenza e contenimento dei tempi d'attesa previsti.
I privati devono rendere pubbliche le liste d’attesa per ricoveri e prestazioni, garantendo contrattualmente lo stesso trattamento a utenti del Servizio Sanitario Regionale e non.
 
Conclusioni
Se sui punti indicati in questo documento si riuscisse a raggiungere un consenso di massima tra tutti coloro che sono interessati a sostenere una reale riforma del servizio sanitario in Lombardia, sarebbe possibile avviare un percorso virtuoso in questa direzione.
E’ chiaro che questo percorso implicherebbe anche un atteggiamento diverso da quello attuale della Regione Lombardia nell’ambito della conferenza Stato-Regioni e dei rapporti con lo stato centrale, a partire dal ritiro del progetto di autonomia legislativa differenziata.
 
Alessandro Nobili, Angelo Barbato, Marco Badinella Martini
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano
 
Gli Autori ringraziano la Dr.ssa Donatella Albini per la revisione dell’articolo.
 
Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano le posizioni degli autori e non necessariamente quelle dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano
22 luglio 2021
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