La reingegnerizzazione del SSN deve necessariamente tenere conto degli obiettivi di policy per l’accesso ai fondi europei NGEU, relativi alla programmazione 2021-2027. I cinque obiettivi di policy sono un’Europa più intelligente, attraverso l’innovazione e la digitalizzazione; più verde; più connessa; più sociale; più vicina ai cittadini.
Per la sanità obiettivo specifico è garantire la parità di accesso all’assistenza sanitaria e promuovere la resilienza dei sistemi sanitari, comprese le cure primarie e la promozione della transizione dall’assistenza istituzionale a quella basata sulla famiglia e sulla comunità.
Per la sanità sono previste quattro aree tematiche: Digitalizzazione, per favorire l’accessibilità sul territorio; Transizione energetica-ambientale (le strutture sanitarie sono energivore); Contesto salute (prevenzione,
one health, invecchiamento attivo, integrazione socio-sanitaria); Reti, ricerca, innovazione.
Nel disegno complessivo del nuovo SSN è urgente: riprogettare, secondo la
vision di prevenzione, prossimità, iniziativa, equità e sostenibilità, i processi di produzione, accompagnati da un
assessment dello
skil mix change tra medici e altre professioni sanitarie e delle nuove competenze, necessarie ad affrontare la rivoluzione organizzativa per transitare il sistema verso i nuovi bisogni; stabilire i fabbisogni, eliminando ogni imbuto formativo indotto dalla carenza di risorse; pensare a nuovi modelli organizzativi e a nuovi strumenti di reclutamento, formazione e promozione del lavoro e delle necessarie forme di flessibilità (es.: team multidisciplinari itineranti); progettare una reale integrazione socio-sanitaria, attraverso professionalità specifiche, in grado di creare una reale sinergia tra organizzazioni sanitarie ed enti locali; operare un processo di
community building con reti di pazienti, volontariato, terzo settore,
care giver, enti locali, anche attraverso una politica di
people engagement.
Allo stato attuale abbiamo una classe dirigente di middle management, formatasi negli anni, che deve ancora ulteriormente cambiare pelle per essere adeguata alle nuove sfide. E’ il caso dei direttori di Farmacia, Sviluppo patrimonio immobiliare, R.S.P.P., Ingegneri clinici, Procurement, Sviluppo risorse umane, Direttori di distretto, Direttori delle professioni sanitarie, Mmg, Responsabile qualità, ICT. Per ognuno di loro, lo
skill di ieri va profondamento rivisto ed arricchito. Si pensi, per tutti, al direttore di distretto o allo stesso responsabile dell’ICT, per immaginare come le competenze di oggi vadano arricchite secondo moduli innovativi, per progettare e realizzare quanto contenuto nel PNRR.
Abbiamo, poi, altri profili la cui formazione è in itinere ma, anche qui, occorre una robusta implementazione formativa. E’ il caso di
Risk manager e del Comitato valutazione sinistri, degli
Operation managers per le piattaforme di logistica, aree ambulatoriali, blocchi operatori, Esperti di Teleassistenza, Responsabili unici del procedimento e direttori esecuzione dei contratti per la gestione dei servizi, esperti di Hta, Energy manager.
Abbiamo, infine profili quasi totalmente assenti: esperti di Intelligenza artificiale,
Data manager, Ricerca e selezione di innovazioni digitali, Esperti di transizione digitale di processi sanitari, Progettazione fondi europei, Politiche di comunicazione e
people engagement, Case manager per le fragilità sociali, sanitarie e continuità di cura.
In primis, occorre un assessment delle nuove professionalità necessarie e di come formarle, secondo modelli omogenei per tutto il SSN, differenziati per nuovi assunti, middle e top management. E’, inoltre, ormai improcrastinabile una formazione specifica per professionisti di confine, che facciano da cerniera per l’assistenza a persone con vulnerabilità sanitaria e sociale, come pure per tutti i professionisti che insistono sulle cure territoriali, con diverse tipologie contrattuali, diversi profili professionali e, dunque, con diversa formazione.
E, sicuramente, vale la pena di riflettere anche su nuovi programmi per le scuole di specializzazione mediche, per le professioni sanitarie e per i MMG, per i quali è forse ormai necessario costruire un percorso specialistico universitario sulle cure primarie che metta insieme le necessarie competenze cliniche, indirizzandole però all’assistenza a domicilio e nella comunità, anche se trattasi di percorso non facile in Italia dove le università non hanno, a parte poche eccezioni, storia e competenze per la gestione di malattie e persone al di fuori del contesto ospedaliero.
Ma, soprattutto, senza una riforma del lavoro sanitario pubblico sarà difficile rispondere alle sfide che l’Europa ci sta chiedendo. Ad oggi, i meccanismi di reclutamento, di percorsi di carriera, di definizione delle competenze, di retribuzione rispondono ad esigenze organizzative che datano oltre un ventennio e che appaiono irrimediabilmente superate. Il settore pubblico, oggi, ha scarsa possibilità di attrarre i profili necessari o le professionalità più performanti, perché offre retribuzioni basse e scarse prospettive di carriera, non essendo in grado di costruire un vivaio di giovani talenti o di formarli secondo modelli innovativi.
La situazione è particolarmente grave perché è necessario arruolare risorse con professionalità tecniche, quasi inesistenti negli attuali assetti organizzativi, per le quali il mercato privato offre, di norma, prospettive molto migliori. I percorsi di carriera in ambito pubblico, oltre ad essere lunghi, tortuosi e a volte inaccessibili, risultano strutturalmente inadeguati in quanto prevalentemente ancorati a posizioni e trame organizzative (la responsabilità di strutture complesse) superate, non adeguatamente sostituite da tipologie di incarico maggiormente funzionali al governo e presidio delle reti e dei processi, attraverso i quali dovrà necessariamente articolarsi il nuovo SSN.
Sarebbe necessaria, più in generale, una più coraggiosa e innovativa politica contrattuale per garantire ulteriormente la qualità del sistema, schiacciato su livelli retributivi che non riescono a valorizzare, premiare e differenziare adeguatamente il livello di impegno e
capacity e, dunque, a garantire la competitività con il settore privato che, anzi, attinge alle migliori risorse formate a carico del mondo pubblico. Inoltre, le risorse migliori vengono attratte dai sistemi sanitari più forti, acuendo, in modo ormai insostenibile, l’
urban-rural divide.
Peraltro, questo è un momento importante, poiché siamo alla vigilia dei rinnovi contrattuali. Fa ben sperare il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale firmato dal Governo con le parti sociali. Sarebbe, però, utile un tavolo tecnico di esperti, che supporti il Comitato di settore, per arrivare ad una riforma di quegli aspetti del lavoro pubblico in sanità che impediscono di tenere il passo con i nuovi processi organizzativi e di innovazione tecnologica, rimuovendo così il rischio di sciupare imperdonabilmente la fondamentale “occasione storica” offerta dall’imminente attivazione del PNRR.
Tiziana Frittelli
Presidente di Federsanità