Il commissariamento ad acta della sanità calabrese registra un generale interesse critico, per la precaria assistenza che si vive ad una siffatta latitudine. Tanti gli anni di sofferenza, tantissimi i diritti lesi.
I drammi che si denunciano sono gli stessi che nel 2007 portarono il Governo dell’epoca a commissariare la sanità calabrese perché colpevolmente “omicidiaria”. La sanità regionale, a suo tempo, si rese infatti protagonista di due morti innocenti, assurde e incomprensibili, che costrinsero la ministra Turco a lasciar tutto e correre in Calabria.
Due figli di questa sfortunata terra, maledetta più che da Dio dagli uomini, perdettero la vita per colpa della politica distratta dal grave fenomeno che affliggeva i calabresi da anni. Federica Monteleone, di Vibo Valentia, morta all’età di 16 anni a seguito di un black out nella sala operatoria vibonese, per un intervento di appendicite, sprovvista di generatore. Fabio Scutellà, di anni 12, praticamente ucciso da un sistema incapace di soccorrerlo che lo ha costretto a girovagare per le strade della provincia di Reggio Calabria.
Non solo. Anche perché all’epoca incapace, come oggi, di rendicontare il deficit patrimoniale. Un risultato conseguito in soli quattro mesi dal commissario di protezione civile, Vincenzo Spaziante, cui i successivi nominati ex art. 120, comma 2, della Costituzione non sono stati capaci di dare corretto seguito e di mantenerlo aggiornato, tanto da arrivare con i saldi nel buio più profondo.
Alla Calabria, serve altro, ma proprio altro: soluzioni soprattutto. Prima di tutto le occorre una politica, intesa come esercizio legislativo, che cominci a fare bene il proprio dovere. Che eviti di usarla come sadico esperimento. Uno assurdo, il “decreto Grillo”, il n. 35/2019; un altro, a fare da pendant al primo, quello “Speranza”, il D.L. n.150/2020, che hanno imposto alla martoriata terra di Bernardino Telesio e Tommaso Campanella la reiterazione del dramma assistenziale per altri quattro anni, come se la stessa fosse il laboratorio ove esercitare la più sacrilega inesperienza.
Un decreto legge, il primo, scritto con i piedi da chi ha confuso le capre con i cavoli, imponendo applicazioni di norme poi disconosciute con il successivo. Cui ha fatto seguito il secondo che, ancorché aggiustato degli errori più grossolani (peraltro da me sollecitati ampiamente qui il 13 maggio e il 22 giugno 2019), ha preso a calci la Calabria e i calabresi. E’ sufficiente leggerlo per capire le colpe e il danno.
Basti pensare che, ancorché in presenza della pesante aggressione del Sars-CoV-2, impone (art, 1, c. 1) come obiettivo primario al neonominato commissario ad acta la «prosecuzione» di un Piano operativo (2019/2021), peraltro generativo di inenarrabili danni, come se il legislatore del novembre 2020 (si legga qui 12 e 17 novembre 2020) di coronavirus non ne sapesse nulla!
E ancora. Dimostrando in ciò una inconsapevolezza del problema, tanto da imporre allo stesso la redazione dopo trenta giorni del “Programma operativo Covid”, rendendolo così un tale indispensabile strumento anti-pandemico completamento avulso da quello operativo generale (tant’è che a tutt’oggi non risulta neppure condiviso dalla burocrazia ministeriale). Stesso trattamento riservato dall’anzidetto decreto al previsto Piano triennale straordinario dell’edilizia sanitaria senza che vi fosse così imposto il minimo adeguamento strutturale del Ssr in relazione a quanto sarebbe servito subito e nel triennio a fronte della tempesta epidemica ancora in atto.
Quindi, altro che commissariamento! Alla Calabria occorrono: a monte, un legislatore nazionale che sappia il fatto suo; a valle, riforme legislative regionali e nocchieri degni di questo nome. Dunque, ciò che occorre per un corretto ritorno alla gestione ordinaria è una intelligente e accorta exit-strategy dal dannoso commissariamento sopportato per 13 anni.
Il tutto, corredato da una perequazione infrastrutturale dal risultato significativo e un’altra perequazione sul debito pregresso, magari con ricorso ad anticipazione di liquidità, senza oneri, da restituire ben oltre i soliti 30 anni. Ma soprattutto sgravati da quei pesi enormi (Advisor e Agenas) che costituiscono la peggiore combinazione di corresponsabili del disastro. In una a quei tavoli romani, che sembrano interessati solo a protrarre il problema e dare così la stura a chi in siffatte situazioni guadagna borse milionarie.
Ettore Jorio
Università della Calabria