Secondo il ben noto principio di implicazione possiamo dire che Speranza sta alla missione 6 del recovery plan esattamente come il pasticcere sta ai bignè esposti in vetrina.
Se il pasticcere sa il fatto suo è impossibile che i bignè non siano buoni. Se sono davvero buoni dovrebbero piacere a tutti salvo naturalmente le eccezioni.
L'implicazione , ricordo, è un legame logico che mette in relazione almeno tre generi di valori di verità, quelli che riguardano Speranza come politico, ciò che egli propone nella missione 6 e i bisogni di questa società e di questo paese.
Non è facile fare in modo che i bignè piacciano anche al paese perché non è facile in questa pandemia rispetto ai bisogni della gente e alle difficoltà del paese, avere un pasticcere adeguato, strategie adeguate e proposte adeguate.
Come ho scritto lealmente in tempi assolutamente non sospetti Speranza per me come pasticcere non è un gran che.
Ho letto su questo giornale la delusione e le critiche di alcuni importanti sindacati medici sulla missione 6 del recovery plan. In tutta sincerità me l’aspettavo. Ma penso che i sindacati sbaglino a lamentarsi dei bignè senza considerare i problemi che derivano dal pasticcere e quindi della sua strategia.
Secondo me è un errore politico separare i loro interessi dalla strategia del governo. Solo attraverso una strategia di cambiamento si può riuscire a tutelare gli interessi in campo.
Invito i sindacati a vedere quindi i problemi del pasticcere.
Il primo grande errore politico e strategico che vedo dietro la missione 6 è stato quello di tradire proprio sulla sanità lo spirito riformatore del recovery plan, decidendo di non aggiungere la sanità alla pubblica amministrazione, alla giustizia alla concorrenza quale un ulteriore ambito di riforma.
Ma come è possibile che con tutte le magagne di ogni genere che la pandemia ha messo a nudo, con un numero incredibile di morti correlabile allo stato pessimo del nostro sistema pubblico, che il ministro Speranza sia convinto che la sanità va bene così, contraddizioni storiche comprese, che non serve riformarla, e che basti potenziare qualcosa qua e là?
Il secondo grande errore di Speranza è la conseguenza del primo e cioè la banalizzazione della sfida. Egli è convinto che per risolvere ogni cosa bastino quattro ambulatori nel territorio, rilanciare i servizi di prevenzione, un po’ di assistenza domiciliare, qualche casa della salute, e un mucchio di chiacchiere sulla prossimità. Il tutto senza parlare mai con la sanità e con i suoi lavoratori.
Ma si può decidere di spendere 20 mld sulla sanità senza parlare con la sanità?
Per descrivere la banalizzazione delle proposte di Speranza vorrei richiamare due interessanti articoli e metterli in relazione a due questioni importanti previste dalla missione 6: la prevenzione e la digitalizzazione.
Il primo è di
Lorenzo Piemonti che ci spiega, citando un editoriale di
Richard Horton su Lancet, che la nostra pandemia è anche una sindemia (
Qs, 30 aprile 2021) e che una visione sindemica a differenza di quella riduttivamente pandemica di Speranza, impone un vero e proprio cambio di approccio, nuovi orientamenti medicali e clinici, “nuove concezioni dei servizi sanitari” perfino un cambio “nell’idea di governance”, nuovi quadri teorici nuove concettualizzazioni, ecc.
La missione 6 sulla prevenzione si limita a dire che bisogna rafforzarla, ma cosa significa rafforzarla?
Secondo l’approccio sindemico scrive Piemonti si tratta “di sviluppare strategie di prevenzione multilivello efficaci che affrontino simultaneamente sia le malattie (endemiche) e i loro determinanti, sia i fattori specifici di COVID-19 e i suoi esiti permettendo l’identificazione delle vulnerabilità e delle disparità sanitarie nel tempo.”
Io ribadisco ciò che ho scritto nel lontano 1990 (
La nuova previsione, Editori Riuniti) che dobbiamo prima ridefinire il concetto di tutela della salute e dopo mettere mano in quel paradigma che riduttivamente chiamiamo prevenzione partendo dal postulato che una nuova strategia di salute non può oggi essere ridotta ad una metodologia qual è per l’appunto la prevenzione ma deve comprendere tutte le metodologie utili a costruire salute.
Si tratta di ripensare le metodologie utili alla luce delle complessità ambientali e sanitarie. Ribadisco quello che dico ormai da molti anni la salute non si difende ma si costruisce.
Secondo l’approccio di Speranza alla faccia di una strategia per costruire la salute si tratta di potenziare i dipartimenti di prevenzione per come sono. Punto e basta.
Insomma dice Piemonti: una sindemia necessita un approccio sindemico approccio che faccio notare con preoccupazione nella missione 6 e in quei commenti che ogni tanto ci ricordano la prevenzione è del tutto assente.
Il secondo articolo è quello di
Michelangelo Bartolo un medico esperto di telemedicina (
QS, 3 maggio 2021).
Nella missione 6 la digitalizzazione della sanità non è vista come un processo di conversione di un intero sistema ma molto più semplicemente come una allocazione di risorse tecnologiche nel sistema di servizi dato arricchito con un po’ di ambulatori ancora da definire.
Al contrario il dottor Bartolo a proposito di telemedicina ci avverte non solo che dobbiamo “dismettere gli errori del passato” ma che a parte i soldi “c’è bisogno” addirittura “di un pensiero nuovo”.
“In questi ultimi anni” scrive Bartolo, “la stragrande maggioranza dei servizi di medicina digitale sono falliti perché non è stata pensata alcuna riorganizzazione del servizio, non sono state dedicate risorse umane, si è pensato di appiccicare un po’ di tecnologia ad un modello sanitario vecchio”
“Non basta”, precisa Bartolo, “un’idea, un software, qualche dispositivo per far funzionare i servizi di telemedicina”.
Inoltre, ci spiega Bartolo c’è bisogno di una regia centrale, di definire “modelli operativi concreti” a cui tutte le regioni possano uniformarsi per evitare la frammentazione delle soluzioni e per evitare il paradosso di una telemedicina che per essere affidata troppo alla “genialità” dei singoli alla fine non comunica dentro il sistema. In Italia, si chiede Bartolo “abbiamo professionalità in tal senso. Sapremo affrontare questa sfida?”.
Dove è “il pensiero nuovo” di cui parla Bartolo nella missione 6?
Ciò detto torniamo ai sindacati.
Io credo due cose, che:
• la missione 6 sia sbagliata e culturalmente arretrata prima di tutto da un punto di vista strategico, essa nega a priori un bisogno di riforma e le soluzioni che propone sono essenzialmente banali;
• gli interessi del lavoro delle professioni dei sindacati fuori da una strategia riformatrice potranno essere solo mortificati. Se vogliamo davvero tutelare gli interessi di chi lavora dobbiamo creare le condizioni per retribuirli dando in cambio un valore aggiunto.
Per cambiare la strategia implicita nella missione 6 io credo che sia necessaria un’azione congiunta di tutti i sindacati senza escludere la possibilità di uno sciopero della sanità e che per questo servirebbe una piattaforma unitaria. Se ogni sindacato, ogni ordine, andrà per conto proprio alla ricerca di qualche benefit, la partita è persa.
Io propongo considerando attentamente la drammaticità del momento e le tante incognite che gravano sulla sanità pubblica, uno sciopero, naturalmente simbolico, contro la missione 6, quindi un atto politico rivolto a Draghi, che proponga di usare il nostro grande capitale professionale anche con il cambiamento per rispondere in modo adeguato tanto alla pandemia che alla sindemia.
Ivan Cavicchi