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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Studi e Analisi

I Forum di QS. La sanità e la sinistra. Geddes: “Se i ‘nemici’ di Cavicchi stanno solo a sinistra”

di Marco Geddes da Filicaia
immagine 11 aprile - Possibile che Sindacati, Regioni “rosse”, amministratori locali, politici, tutti coloro che hanno operato nell’ambito dei “progressisti” siano, per l’autore, in blocco, o stupidi o controriformatori. E perciò “nemici”?
Ho avuto modo di leggere, in anteprima, il nuovo libro di Ivan Cavicchi: La Sinistra e la Sanità. L’autore  sollecita un confronto critico sul suo testo,  un dibattito che può risultare proficuo solo se effettuato con  schiettezza,  tenendo anche conto che Cavicchi esprime i propri punti di vista con  - talora rude – franchezza.
 
Il libro è ricco di spunti e non toccherò tutti gli argomenti affrontati, che intendono coprire un ampio periodo storico, dalla Bindi a Speranza e in mezzo una pandemia, come recita il sottotitolo. Mi limito pertanto a individuarne i più rilevanti, con cui concordo e a focalizzarmi su tutto ciò che è assente o che, per come è formulato, ritengo non condivisibile
 
Cavicchi denuncia giustamente, fin dall’inizio di questo testo - che rientra a buon diritto nella categoria dei pamphlet - l’assenza di un pensiero riformatore vero nella Sinistra che è, conseguentemente, intellettualmente impreparata ad affrontare le sfide in ambito sanitario (e non solo). Sfide che la pandemia ha con forza evidenziato, ma che erano presenti in questi decenni. Riprende questo problema nell’ultima pagina del libro con una proposta, o un auspicio, che sottoscrivo pienamente: “La sinistra organizzi centri studi, riviste per discutere, promuova dei responsabili per lo sviluppo del pensiero riformatore. Apra dibattiti, discussioni. La sinistra studi”.
 
La Sinistra, che è l’oggetto della riflessione dell’autore, ha accolto le idee neoliberiste; a tale “vento” non ha contrapposto adeguate riflessione, anzi – a mio parere – in alcuni casi e attraverso alcuni suoi leader (tale devo definire ad esempio Matteo Renzi, essendo egli stato segretario del Pd e Presidente del Consiglio), se ne è fatta portatrice, accogliendo acriticamente l’ideologia della compatibilità e le politiche di contenimento della spesa.
 
Rientra in questa ottica, per fare un esempio puntuale, la non rimozione (neanche la richiesta!) del vincolo, introdotto nel 2009, che impone un tetto di spesa per il personale pari al 2004, meno l’1,4%.
 
Venendo alla situazione attuale l’autore afferma che non è sufficiente il rifinanziamento della sanità, ma è necessaria una politica capace di riformare e di governare i consumi, cioè la domanda. Si tratta di un’occasione da non perdere e l’arrivo delle risorse potrebbe illuderci che, unicamente con un incremento della spesa, si risolvano i problemi.
 
L’autore sottolinea il pericolo che la Casa della salute non sia altro che un cambio di denominazione dei vecchi poliambulatori; fa presente  la necessità di valorizzare la Comunità (ma su questo tema vi è un importante movimento, che ha preso avvio con il documento “Prima la Comunità”, a cui questo testo non fa alcun riferimento); sollecita il recupero del ruolo dei Comuni e invita il Ministro Speranza a richiedere all’Università un diverso orientamento e impegno nella formazione del personale sanitario.
 
Le proposte, come si usa in un pamphlet, sono sommarie e l’autore rimanda sostanzialmente a un suo precedente testo: “La quarta riforma”, che non è oggetto di questa breve disanima.
 
Mentre oggetto di questa mia riflessione è la ricostruzione che Cavicchi offre della sanità italiana, fin dal sottotitolo, che non è coerente con il contenuto del libro; infatti il testo tratta solo di Bindi e Speranza, ma non del ventennio che separano queste due esperienze ministeriali (come si dedurrebbe dal sottotitolo). In tale periodo si alternano nove Ministri della Sanità appartenenti a diversi schieramenti politici e caratterizzato  dalla lunga permanenza in tale Dicastero, per 1.858 giorni, di Beatrice Lorenzin; una durata superiore a quella del Ministro Mariotti nei suoi vari mandati e della somma della dei dicasteri Bindi e Turco.
 
Sottolineo questo fatto perché, pur presentandosi l’autore come un attento lettore dei testi marxiani e marxisti, l’analisi della realtà è assente. Neanche evocata! Capisco che il libro si concentri sulla Sinistra, ma una, seppur sommaria analisi di quanto accaduto e di quanto dovrebbe accadere, risulta oggettivamente incomprensibile nel vuoto pneumatico in cui si calano le sue affermazioni.
 
Così il termine Sinistra appare nel testo (non tenendo conto di titoli e titoletti) 170 volte mentre la parola Destra non esiste né incontriamo il termine Capitalismo, che è presente invece nella bella introduzione a firma  di Alfonso Gianni.
 
La causa del fallimento  della Sinistra in sanità è imputabile, per Cavicchi, ai due ministri in questione, e in particolare alla Ministra Bindi, che viene citata 45 volte! Ora del personaggio è, da parte mia, impossibile assumere la difesa per “conflitto di interessi”, cioè per la stima e l’amicizia, ma anche perché coinvolto personalmente nella “revisionistica” iniziativa promossa dalla Associazione Salute diritto fondamentale, a cui Cavicchi fa criticamente riferimento nel testo.
 
Ma il problema è un altro.
In primo luogo è sbagliato aver confuso, da parte dell’autore, Rosy Bindi con Rosa Luxemburg!
L’azione politica della prima, (non affronto quella della seconda), in cui mi riconosco,  è quella basata sulla pazienza del riformista, che non ha nulla di moderato o di opportunistico e parte dal presupposto che sono “…irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza - per usare le parole di Federico Caffè -che si riassumono nell'espressione dello Stato garante del benessere sociale; che affidi all'intervento pubblico una funzione fondamentale nella condotta economica".
 
Una politica che comporta quindi una gradualità, come quella di rimettere nella carreggiata pubblica e universale, con il decreto 229 del 1999, il nostro Servizio Sanitario Nazionale, spinto, negli anni precedenti, verso un’aziendalizzazione esasperata e la competizione tra pubblico e privato dalle controriforme, prima fra tutte quelle dell’ex Ministro De Lorenzo. E chi volesse venire a conoscenza delle elaborazioni in ambito sanitario, degli ostacoli e degli scontri di quegli anni, durante i Governi dell’Ulivo (Prodi e D’Alema), con Sindacati, Ordini professionali e Forze politiche può avvalersi della attenta analisi pubblicata da Francesco Taroni  in Politiche sanitarie in Italia. 
 
Ora per l’autore tutto ciò non solo non ha peso, ma non esiste, non c’è un prima, non un dopo, manca un riferimento  a come si sia sviluppata la globalizzazione, al ruolo egemone assunto dal neo liberismo, perché si sostiene che in sanità la struttura sia rappresentata (solo) dal ruolo della spesa sanitaria pubblica, e quindi non dalla produzione (privata) di beni e servizi, dal possesso, a livello internazionale, di brevetti,  dalla finanza internazionale…
 
Non si può qui neanche invocare la critica di Friedrich Hegel, espressa nell’Introduzione alla Fenomenologia dello Spirito, con il detto “la notte nera delle vacche nere”, critica alle concezioni che interpretano la realtà come "altro" da quella in cui viviamo.
 
Nel caso specifico si va oltre: il Decreto 229 del 1999 è “Il grande male” (per citare un titolo di Simenon); tutto viene fatto sotto la pressione delle Regioni rosse, cioè dell’Emilia – Romagna (le politiche sanitarie della Lombardia non sono citate perché forse non hanno influenza nella sanità e nella economia del Paese!) e l’alternativa utile nella sanità basta concepirla per renderla possibile.
 
Da tale presupposto deriva che non tanto gli avversari, ma gli antagonisti, i rivali, anzi i “nemici” (così definiti dall’autore) sono prevalentemente quelli di sinistra.
E io mi domando se è quindi per tale ragione che il termine “Destra” in tutto il testo non appaia? 
 
Concludo queste riflessioni con una considerazione sul testo, poiché si tratta dell’oggetto libro, che viene offerto alla lettura. Cavicchi ama una terminologia spesso complessa con uso di termini arcaici, o neologismi, o sinonimi desueti: riformazione, bluffer, compossibilità, inconseguenza…  Da me (per mia ignoranza) non immediatamente comprensibili o quantomeno non familiari e non sempre graditi. 
 
Credo non sarebbero stati graditi a Umberto Eco che scriveva: “L’asserzione nebulosa/non compete alla mia prosa/e la lascio in fede mia/alla libera poesia/che incantare sa i fresconi/con le pseudo affermazioni”.
 
Tuttavia trattasi, pare, di una scrittura non priva della capacità di coinvolgere una categoria di lettori.
Il  libro vuole trasmettere indignazione. Un sentimento nobile perché chi non si indigna mai ha perso la capacità di sperare; un moto dell’anima utile anche allo scrivere, che facilita l’eloquio. Qui tuttavia emerge sostanzialmente altro: il risentimento, anche circostanziato. Può darsi che sia motivato, ma è poco interessante per il lettore e scarsamente efficace per sostenere e argomentare le proprie asserzioni.
 
Leggendo il libro mi sono chiesto come sia possibile non esaminare i condizionamenti, le possibili alleanze, la necessaria progressività per tappe delle iniziative politiche; cosa che risulta inspiegabile considerando che Cavicchi non è un  - mi si consenta l’espressione – accademico puro, ma persona che ha avuto un ruolo primario nel Sindacato (CGIL) e in Farmindustria, entità che portano necessariamente avanti interessi della propria parte, che tengono conto delle realtà economiche e contrattuali, che praticano l’arte (nobile) del compromesso per chiudere alleanze, accordi e vertenze, che quindi operano nella realtà economica, politica e sociale di cui è indispensabile tenere conto.
 
Possibile che Sindacati, Regioni “rosse”, amministratori locali, politici, tutti coloro che hanno operato nell’ambito dei “progressisti” siano, per l’autore, in blocco, o stupidi o controriformatori. E  perciò “nemici”?
 
Mi sono tornate alla mente, completata la lettura, le parole che scrisse Voltaire a Rousseau nel 1754, avendo ricevuto il suo ultimo libro:  “Ho ricevuto il vostro nuovo libro contro la razza umana e ve ne ringrazio: mai fu operata tanta intelligenza per provare che siamo tutti stupidi. Leggendo la vostra opera vien voglia di camminare a quattro zampe; ma avendo perduta questa abitudine da più di 60 anni, sento purtroppo l’impossibilità di riprenderla. Né posso mettermi alla ricerca dei selvaggi del Canada, perché i miei malanni rendono necessario un medico europeo, perché in quelle regioni c’è la guerra e perché il nostro esempio ha reso quei selvaggi cattivi quanto noi”.
 
Marco Geddes da Filicaia
 
 
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11 aprile 2021
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