Ricapitoliamo:
Maurizio Mori,
su QS, affronta la questione dei diversi criteri di priorità stabiliti per la vaccinazione anti covid rispetto a quelli utilizzati nel documento della SIAARTI. I criteri seguiti per somministrare il vaccino non hanno sollevato grandi dissensi contrariamente a quelli proposti dalla SIAARTI, sui quali si è aperta una amplissima discussione che ha trovato eco in altri consimili documenti in diversi paesi.
I criteri della SIAARTI sono prevalentemente clinici ma anche extraclinici tra i quali l’equità distributiva e l’età, che ha rilevanza negativa. Nella somministrazione dei vaccini prevalgono invece criteri extraclinici, prima i professionisti della sanità poi gli anziani e i malati; i giovani sani saranno gli ultimi, quindi l’età anziana è un criterio positivo.
Al contrario, in caso di naufragio si salvano prima le donne e i bambini e, per ultimo, l’equipaggio (i professionisti del mare). In tre situazioni diversissime ma ugualmente drammatiche si seguono criteri diversi dettati da un istintivo buon senso.
Nei casi citati sussiste una differenza fondamentale. Le vaccinazioni si offrono a soggetti non malati di covid e valutano un rischio generale di subire, qualora ci si ammali, gravi conseguenze. In reparto di rianimazione, al contrario, si affrontano singoli casi clinici corrispondenti a singole persone nelle quali il rischio di morte è estremo e di cui si deve valutare la possibile speranza di vita in buone condizioni.
Il differenziale di probabilità del danno tra chi rischia di ammalarsi perché ha ricevuto in ritardo il vaccino, rispetto al rischio di morte alla soglia della rianimazione, richiede di per sé valutazioni diverse e non comparabili. Tuttavia la questione è sensata per una ragione di fondo.
Quale che sia il grado di preparadness raggiunto dal servizio sanitario, il problema delle scelte in carenza (scarsità, inadeguatezza, mancanza, penuria, difetto, insufficienza) di risorse si porrà sempre più spesso all’agire medico. Nessun servizio medico potrà rispondere all’incremento della domanda e all’esplosione dell’offerta tecnologica innovativa che si aggiunge agli strumenti già disponibili. E’ sempre stato così e non c’è nulla di nuovo se non la maggiore consapevolezza dei cittadini di fronte all’aumento delle disuguaglianze.
Allora, per non introdurre i criteri del triage di guerra nella prassi quotidiana della medicina, i medici debbono rendersi conto che occorre render conto e che una qualche dose di amministrazione è indispensabile.
Prima di entrare nel merito dei criteri bisogna quindi essere d’accordo su alcune preposizioni conseguenziali. Tanto più che nessuno potrà moltiplicare i respiratori come fu fatto per i pani:
• Il problema delle scelte tragiche esiste e non si risolve con nessun buonismo, men che mai con gli auspici.
• Compito dei medici è tentare di attenuare queste situazioni, renderle meno drammatiche, protestare contro qualsiasi carenza del servizio.
• Tuttavia, quando il problema si manifesta, la soluzione non può essere affidata al singolo secondo scienza e coscienza
• Occorrono criteri espliciti, trasparenti, pubblici, duttili, sia clinici che extraclinici, e decidibili caso per caso.
• La proposta può scaturire da singole Associazioni, meglio se dall’Ordine professionale nel qual caso assume valore deontologico.
• Il decisore ultimo dovrebbe essere un organo politico per quanto la norma deontologica possa essere sufficiente.
A questo punto occorre proporre i criteri. Al di là dei principi basilari della medicina, il rispetto della vita e della dignità della persona, ciascuno può invocare valori e credenze differenti. Penso che una sintesi tra utilitarismo ed etica delle conseguenze rispetti la realtà. I criteri non possono che variare caso per caso all’interno del tentativo di eliminare le disuguaglianze; si tratta di decidere da che angolatura le si guardano. In conclusione è indispensabile introdurre uno specifico articolo nel Codice Deontologico.
Antonio Panti