Per gli eventi imprevedibili, eccezionali e straordinari in sanità, esistono possibilità di giustificazione e di non punibilità per coloro che sono coinvolti direttamente o indirettamente a prestare soccorso e anche per i responsabili della “catena comando”.
Quale relatore al
webinar di Federsanità ANCI e CREA, tenutosi su questa tematica nell’ambito del Forum Risk Management di Arezzo, avendo ricevuto consensi e suscitato interesse tra i Direttori Generali ASL e AO collegati, ho ritenuto opportuno proporre una sintesi di alcune considerazioni e riflessioni esposte.
Basta approfondire qualche sentenza della Corte di Cassazione e soffermarsi sulla normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per rendersi conto degli spiragli che si aprono sia per gli operatori sanitari sia per lo stesso management.
Vale la pena segnalare in premessa la sentenza Cassazione 11546/2020 con la quale la Suprema Corte ha scagionato il Datore di Lavoro di una Azienda partecipata nazionale, giudicandolo non imputabile, a seguito di grave infortunio ad un lavoratore per caduta improvvisa di un grosso masso. Il danno subito è stata la conseguenza di una situazione francamente non valutabile per la sicurezza del prestatore d’opera di fronte ad un rischio imprevedibile. Al lavoratore sono state riconosciute le indennità assicurative, l’invalidità permanente ed i benefici di legge.
Anche la pandemia da Sars Cov-2 più volte è stata dichiarata istituzionalmente imprevedibile! Per gli operatori sanitari in scenari dove si presentano situazioni praticamente ingestibili può essere considerata la possibilità di ricorrere al “principio di precauzione” introdotto dalla Commissione Europea il 2 febbraio 2000, che può contribuire al confronto parlamentare in corso in queste ore per creare il cosiddetto “scudo” anti contenziosi proprio per gli stessi operatori professionali sanitari che hanno lavorato in condizioni estremamente precarie nel corso della prima ondata di pandemia da Sars Cov 2.
Questo strumento può essere invocato quando è necessario un intervento urgente di fronte a un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale, ovvero per la protezione dell'ambiente nel caso in cui i dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio. Esso non può essere utilizzato come pretesto per azioni aventi fini protezionistici. Tale principio viene soprattutto applicato nei casi di pericolo per la salute delle persone.
Scarseggiavano i sistemi di protezione personale e collettivi, quasi sempre non adeguati al pericolo incombente, si è rallentata la distribuzione di dispositivi medici necessari per interventi di emergenza, mancava una informazione chiara sui rischi cui si sono improvvisamente trovati di fronte i lavoratori della sanità, la carenza di personale, anche a causa delle conseguenze del nuovo coronavirus, ha generato turni prolungati con insorgenza di stress e stanchezza, abbassando in più occasioni l’attenzione necessaria richiesta nel comparto sanità: tutto questo ha dato luogo a ritardi, attese, indecisioni…
Lo scenario cui si è assistito e si sta assistendo è letteralmente sovrapponibile alle condizioni descritte nel provvedimento della Commissione: di fronte ad un dubbio scientifico, in sanità, per salvaguardare la salute di chi opera e non compromettere ulteriormente la salute di chi deve essere assistito, in carenza di mezzi, strutture e strumenti idonei, ci si è visti costretti nei casi estremi a “non fare”.
Per il management sanitario, invece va ricordato, prima di qualsiasi considerazione, il comma 4 dell’art.5 della Direttiva Europea 391/89 da cui sono state generate le normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’ultima vigente il D.Lgs. 81/2008, che, se valutato positivamente dagli Organi di Governo, potrebbe agevolare la soluzione di non pochi problemi:
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4. La presente direttiva non esclude la facoltà degli Stati membri di prevedere l'esclusione o la diminuzione della responsabilità dei datori di lavoro per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata.
Gli Stati membri non sono tenuti ad esercitare la facoltà di cui al primo comma”
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Ai datori di lavoro pubblici e privati, anche del comparto sanitario è riservato l’art.29bis della legge 5/2020: “
Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19” in cui si fa riferimento all’art. 2087 del Codice Civile, che tratta dell’obbligo della tutela delle condizioni di lavoro.
Nel settore pubblico e privato, tale obbligo si può considerare adempiuto con l’adozione di tutte le misure contenute nel Protocollo condiviso per la regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dal Governo con le parti sociali, sottoscritto il 24 aprila 2020 e successive modificazioni e integrazioni e negli altri protocolli di cui all’art.1 del DL 16.5.2020 n.33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure previste.
Nella sentenza n.3282/2020 la Corte di Cassazione ha ribadito, poi, che l’art.2087 cc. “
Non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioi del danno per il lavoratore.
Né può desumersi dall’indicata disposizione un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero” quando di persè il pericolo di una lavorazione o di una attrezzatura non sia eliminabile, neanche potendosi ragionevolmente pretendere l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’interità psico-fisica del lavoratore, ciò in quanto, ove applicabile, avrebbe come conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile ed inevitabile.
Non si può automaticamente presupporre dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto.”
E’ importante sottolineare il discorso delle deroghe previste in caso di ristrutturazioni, insediamenti di nuovi manufatti e riorganizzazione degli spazi in strutture sanitarie pubbliche e private esistenti fino al 31 gennaio 2021, data in cui è stata estesa la proroga dello stato emergenziale, salvo ulteriori prolungamenti.
L’art. 4 del D.L. 17.3.2020 n.18 spegne qualsiasi polemica in corso anche attraverso i media sulla non osservanza dei requisiti strutturali, tecnocolgici e organizzativi, dettati da norme legislative o linee guida, da parte di non pochi direttori generali proprio su tali questioni:
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1. Le regioni e le province autonome possono attivare, anche in deroga ai requisiti autorizzativi e di accreditamento, aree sanitarie anche temporanee sia all'interno che all'esterno di strutture di ricovero, cura, accoglienza e assistenza, pubbliche e private, o di altri luoghi idonei, per la gestione dell'emergenza COVID-19, sino al termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020. I requisiti di accreditamento non si applicano alle strutture di ricovero e cura per la durata dello stato di emergenza. 2. Le opere edilizie strettamente necessarie a rendere le strutture idonee all'accoglienza e alla assistenza per le finalita' di cui al comma 1 possono essere eseguite in deroga alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, delle leggi regionali, dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi locali, nonche', sino al termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei Ministri in data 31 gennaio 2020, agli obblighi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151. Il rispetto dei requisiti minimi antincendio si intende assolto con l'osservanza delle disposizioni del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. I lavori possono essere iniziati contestualmente alla presentazione della istanza o della denunzia di inizio di attivita' presso il comune competente. La presente disposizione si applica anche agli ospedali, ai policlinici universitari, agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, alle strutture accreditate ed autorizzate.”
L’occasione del Webinar Federsanità-CREA è servita, infine, per chiarire le eventuali perplessità ed indecisioni, nel caso ancora esistessero, sull’obbligo dell’aggiornamento (rielaborazione) del DVR sul rischio biologico collegato al nuovo coronavirus da parte delle strutture sanitarie.
Non avendo precise indicazioni in merito dai tre documenti istituzionali disponibili che hanno trattato la questione, seppure marginalmente: l’Interpello del Ministero del Lavoro n.19841 del 25.10.2016, le Circolari del Ministero della Salute n.3190/2020 e 5443/2020, con la pubblicazione in GU del DL 7.10.2020 con cui viene recepita la Direttiva UE 2020/739 che riconosce al Sars Cov-2 l’appartenenza al 3° gruppo della classificazione dei microrganismi da cui proteggersi sul posto di lavoro, viene reso obbligatorio anche nel comparto sanità, senza approfondimenti o distinguo, la rielaborazione del DVR sul rischio biologico.
Per i datori di lavoro c’è la possibilità di adempiere a questo obbligo entro 90 giorni e quindi entro l’8 gennaio 2021 rispettando le disposizioni dell’art.29 del D.Lgs. 81/2008.
Domenico Della Porta
Presidente Osservatorio Nazionale Malattie Occupazionali e Ambientali Università degli Studi - Salerno