Nelle prime settimane dell’epidemia eravamo molto dispiaciuti di non poter calcolare “in casa” l’indice di contagiosità, il famoso Erre con zero (R0) che poi diventa erre con t (Rt) al tempo t delle misure di contenimento dei contagi (cioè quando l’indice viene calcolato al tempo t nel corso della progressione dell’epidemia).
E’ l’indice più importante nell’epidemiologia della malattie infettive perché calcola quanti soggetti vengono mediamente contagiati da un paziente infetto. Più l’R0 è elevato e più l’agente infettivo risulta contagioso, mentre più si riesce a ridurre i valori dell’Rt, e più significa che le misure di contenimento hanno avuto efficacia. Se l’Rt è >1 significa che l’epidemia è in espansione e se è <1 invece significa che l’epidemia si sta restringendo.
Il problema è che per calcolare in modo corretto l’Rt servono diverse cose: la frequenza dei contagiati, ma non con la data di certificazione della loro positività, bensì con la data dell’inizio sintomi che dipende dall’azione del virus e dalla suscettibilità del malato, e non dall’azione dall’organizzazione sanitaria.
E’ poi necessario stimare i cosiddetti “tempi di generazione”, cioè la distribuzione di frequenza dei giorni che incorrono tra l'inizio sintomi del contagiante e l'inizio sintomi del contagiato. Questa distribuzione, che si presume sia ben rappresentata dalla “Funzione Gamma”, deve essere però rilevata su un campione di soggetti determinandone almeno la media e la varianza dei loro tempi di generazione, per ottenere un dato il più vicino possibile al vero andamento del fenomeno, escludendo l’influenza di singoli eventi giornalieri. Infine, il calcolo dell’indice Rt non è un calcolo difficile ma sarebbe troppo oneroso farlo “a mano” o utilizzando un semplice foglio di calcolo e quindi occorre utilizzare uno strumento statistico come ad esempio il linguaggio “R” molto diffuso tra gli statistici, ma certo non tra i semplici cittadini.
Per questi motivi, chi non aveva disponibilità di tutto quanto occorreva non ha potuto calcolare l’Rt, che è stato quindi elaborato solo dall’Istituto Superiore di Sanità o da alcune Regioni limitatamente ai dati di loro competenza. Questa mancanza di trasparenza e non semplice riproducibilità ha fatto sì che l’indice Rt apparisse come qualcosa di magico e di misterioso, ela cui credibilità è rimasta legata alla credibilità di chi l’ha elaborato.
Rifacendoci agli studi di analisi delle serie storiche, abbiamo ritenuto che si potesse utilizzare un altro strumento, simile all’Rt nei valori prodotti, e diverso nella sua formulazione.
Questo indice, che abbiamo chiamato “indice di Replicazione Diagnostica”, RDt, misura quanto crescono le diagnosi di positività dopo un certo numero di giorni (
M.T. Giraudo et al., 2020, Rt or RDt, That is the question, Epidemiol Prev; 44 (5-6) Suppl 3, in corso di pubblicazione).
E’ un indice simmetricamente uguale ad un altro indice utilizzato per valutare l’andamento dell’epidemia, cioè l’indice dei giorni di duplicazione dei casi. Se dopo sette giorni i casi raddoppiano, l’indice di duplicazione vale 7, ed invece l’indice RDt calcolato dopo 7 giorni (o come tecnicamente si dice a lag 7 e per lag intendendosi i giorni di intervallo temporale) vale 2.
Per calcolare l’RDt innanzitutto si trasforma la serie dei dati con le loro medie mobili centrate a sette giorni (cioè la media di un giorno più i tre precedenti ed i tre seguenti), e questa operazione elimina il ciclo intrasettimanale dipendente dai ritmi di lavoro, che notoriamente si riducono nei fine settimana. Sui dati così “lisciati”, cioè più aderenti all’andamento reale dell’epidemia, si calcola il rapporto tra la frequenza dei casi di un giorno e quella dei casi di alcuni giorni prima, cioè a determinati lag. Il calcolo dell’RDt a lag 6 o a lag 7 sono i calcoli che più si avvicinano ai valori dell’Rt in quanto la media dei tempi di generazione del Covid-19 e appunto compresa tra i sei ed i sette giorni.
Questo indice RDt si può calcolare su qualsiasi evento e, a differenza dell’Rt, considerando i nuovi contagi non utilizza le date di inizio sintomi, bensì le date di certificazione della positività.
Queste informazioni sono di totale disponibilità di chiunque su internet anche a livello Regionale e Provinciale, nel
sito della Protezione Civile. Il calcolo dell’RDt è veramente elementare e può essere fatto, ad esempio, anche con Excel o con altri semplici strumenti di calcolo.
Abbiamo usato questo indice per sottolineare che mentre l’andamento dei dati di incidenza giornaliera mostrano la “velocità” di crescita (o di decrescita) dell’epidemia, i valori dell’RDt ne misurano la “accelerazione” (cioè la variazione della velocità).
Qui di seguito riproduciamo l’andamento di questo indice che adesso, a metà novembre, sta lambendo la soglia zero, il che indica una stazionarietà dello sviluppo. In altri termini, nell’intervallo temporale di 7 giorni ad ogni diagnosi segue una sola altra diagnosi.
Quando la situazione è stazionaria l’indice RDt ha gli stessi valori a qualsiasi lag, il che significa che ogni giorno ci sono più o meno lo stesso numero di casi. Nel grafico si osserva invece come si sia superato il valore 2 sia a Ferragosto che a metà ottobre.
La stazionarietà dell’indice di replicazione diagnostica non deve indurre a pensare che la totalità dei casi o dei ricoverati non aumenti: se rimangono costanti i casi giornalieri questi, accumulandosi giorno dopo giorno, creano un aumento della cosiddetta “prevalenza”, cioè la totalità dei soggetti contemporaneamente infetti. Ed allora può essere utile elaborare un indice simile sui dati di incremento delle prevalenze: ad esempio dei ricoveri (RHt), dei ricoveri in terapia intensiva (RTIt), dei decessi per Covid-19 (RMt). La figura qui riportata illustra l’andamento di questi indici.
Si osserva che l’andamento degli indici di replicazione dei ricoveri, dei ricoveri in terapia intensiva e dei casi di positività sono tra di loro molto simili ed ora, a metà novembre, si attestano a lag 7 ad un valore di circa 1,25. In altre parole, ogni settimana si verifica una crescita del 25%.
Questi indici possono essere molto utili per valutare la sostenibilità del sistema assistenziale perché indicano quale è l’intensità di crescita della domanda di assistenza.
Concludiamo dicendo che l’indice RDt qui proposto non vuole sostituire l’indice Rt ma vuole affiancarsi ad esso, offrendo la possibilità di trasparenza e di riproducibilità da parte di chiunque lo voglia ricalcolare. Riteniamo quindi che questi indici possano risultare molto utili nella valutazione dei rischi di crescita dell’epidemia allo scopo di determinare la severità delle misure di contenimento, e possano utilmente affiancarsi, se non sostituirsi, ad altri strumenti si analisi.
Cesare Cislaghi, in collaborazione con il “Blog Sanità”
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