In questi giorni si stanno registrando due sensazioni, entrambe negative, nella lotta per la sopravvivenza agli attacchi da coronavirus.
La prima riguarda il privilegiare l'immagine del Covid-19 che avanza piuttosto che constatare che è la comunità che arretra irresponsabilmente nelle sue difese. Un'inadeguatezza, questa, che caratterizza l'immaginario collettivo.
Che rintraccia le sue cause:
- nelle autorità governative che hanno fin troppo tollerato dall'estate in poi, salvo poi offrire l'impressione (ma solo questa!) di ricominciare, oggi, a fare sul serio. Forse perché impaurite dai presagi di quei saggi doc, assurdamente esclusi dai comitati tecnici, che prevedono il necessario ripetersi del lockdown prenatalizio;
- nella cultura popolare che consente quelle irresponsabili fughe in avanti, soprattutto dei giovani, nel rifiutare le barriere difensive limitative delle loro libertà personali, mascherine in primis.
La seconda afferisce alla confusione concettuale generata dalla brutta abitudine conseguita di parlare troppo (e spesso abbondantemente male) nei media di coronavirus. Ciò mettendo in chiara contrapposizione le idee degli uni e quelle degli altri. Specie in tv, oramai appesantita di occasioni ripetitive e spesso contraddittorie, si assiste ad una lotta più politica che tecnica.
Quanto a quella politica, si è concretizzato un assurdo agonismo che ha diviso - da un verso - il sostegno senza limiti alle categorie economiche in ansia di prestazioni lavorative, ai sostenitori di comportamenti sregolati, ai coraggiosi senza coraggio ma pieni zeppi di inutile folclore e - dall'altro - i catechisti delle tutele. Quanto a quella tecnica, pare che si sia finalmente ridotta ai benpensanti, meglio a quelli che sanno cosa dicono e dicono ciò che sanno, con consequenziale ritorno dietro le quinte di chi è stato in cerca di scoop inopportuni e acchiappa consensi.
A «centrocampo» si contendono la palla i sostenitori del Governo e gli altri. I primi a sostenere le scelte a prescindere dalle utilità e dai frequenti «fuori gioco» fischiati dai risultati negativi che le scelte dell'Esecutivo hanno collezionato. Gli offside sono stati diversi, a cominciare dalla liberazione delle notti danzanti ad una scuola aperta più per scommettere e dimostrare muscoli costruiti con gli analabolizzanti. Il tutto, con la inaudita gravità di non avere pensato a garantire agli utenti bisognosi (ma anche a quelli desiderosi) tamponi diagnostici senza obbligarli a quelle penose file di attesa, cui gli stessi sono (ahinoi) abituati, concepibili solo negli stati di guerra. Per non parlare dei vaccini, distribuiti ai medici di famiglia in quantità inferiori ai fabbisogni e concessi in vendita alle farmacie in entità inadeguate alla consistente istanza.
I secondi a frequentare un corretto «catenaccio», consapevoli che occorre finire la partita con meno goal possibili. Troppo forte il Covid-19. Riesce ad andare in rete da tutte le angolazioni. Occorre che le difese, quelle occorrenti, siano sfoderate tutte e mai dimenticate nell'uso quotidiano.
Relativamente ai «calci di punizione», attenzione alle barriere, che non lascino spazi utilizzabili da questo brutto fenomeno, che sta cambiando il mondo.
Al bando ogni concessione gratuita. La ricetta, meglio lo schema, che sia il migliore. Ma soprattutto non affatto permissivo di allargamento delle maglie della sicurezza, le uniche cui aggrapparsi.
Ettore Jorio
Università della Calabria