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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Studi e Analisi

Il dibattito sull’Ebm. Se le evidenze in medicina sono “verità paraconsistenti”

di Giovanni Brandi
immagine 7 ottobre - Proseguiamo il dibattito sollevato dall'ultimo libro di Ivan Cavicchi sulle evidenze scientifiche in medicina con Giovanni Brandi. “Ecco perché penso che bisogna puntare decisamente verso una coraggiosa rivisitazione del convenzionalismo che ancora oggi caratterizza la nostra medicina scientifica e che l'epistemologia moderna ha abbondantemente confutato in ogni aspetto, e, quindi, per questa strada ridefinire il medico del futuro”
“L’evidenza scientifica in medicina, l’uso pragmatico della verità” è l’ultima sfida di Ivan Cavicchi che seziona in maniera chirurgica il rapporto mutualistico/conflittuale tra scienza e medicina. Cavicchi analizza criticamente l’aspettativa, quasi metafisica, che si è voluto attribuire alla Evidenza in Medicina; ne evidenzia la fragilità costitutiva, propone non certo la sua eliminazione bensì una sua integrazione in una Medicina (più) Pragmatica, che non escluda nemmeno l’Intuizione Clinica non come aspetto oracolare ma come chiara inferenza razionale.
 
Corollario a ciò è la rimodulazione necessaria della formazione del medico contemporaneo, soprattutto nella formazione postlaurea, educando già gli studenti ma soprattutto gli specializzandi alla comprensione della complessità e del relativismo delle evidenze. L’alternativa, in un futuro più o meno lontano, sarebbe il rischio della consegna di interi blocchi della disciplina medica a strumenti di Intelligenza Artificiale, sicuramente più adatti non solo a creare ma anche a maneggiare algoritmi, quali punto di arrivo sia di evidenze che di super-evidenze ma anche di (pseudo) evidenze o di (pseudo) super-evidenze.
 
Esempi di storia extramedica ci insegnano quanto affidarsi integralmente ad algoritmi e (pseudo) evidenze possa essere rischioso: è il caso del disastro della finanza del 2008 guidata da algoritmi di cui più nessuno aveva contezza e incompresi fino al crack; all’opposto negli anni ’60 la disobbedienza di un controllore sovietico alla Evidenza dei dati dei radar missilistici ha salvato l’umanità dalla catastrofe nucleare. In medicina il danno potenziale sarebbe ovviamente più limitato ma più capillare.
 
Cavicchi valuta gli aspetti della Medicina Positivista (al fondo la nostra attuale), che raggiunge vette (o abissi) di monismo nella cd Medicina di Precisione (ogni cosa può essere riconducibile ad un unico principio; ogni paziente può essere riconducibile ad un cambiamento del suo genoma…particolarmente applicato al caso del cancro), e li confronta con la Medicina Pragmatica (auspicabile e futuristica ma tutta da costruire) che presuppone una coerenza indissolubile fra malattia e paziente, di cui il Nuovo Medico deve tener conto.
 
In quest’ultima, l’ascolto del malato non serve solamente al recupero della credibilità medica in quest’epoca di rapporto medico-paziente conflittuale, ma anche da supporto fondamentale alla diagnostica e perfino (aspettativa attuale) alla condivisione terapeutica. Non che queste caratteristiche siano poi meno solide dei solidi segni obiettivi su cui la medicina positivista basa le proprie uniche basi.
 
Vi sono, all’uopo, esempi clamorosi in medicina: la Fibromialgia (sindrome dolorosa cronica con molti sintomi e quasi assenti segni obiettivi) è stata tardivamente, ma infine riconosciuta come sindrome solo grazie all’ascolto del paziente; altro esempio e quello della cosiddetta “Sensibilità Multichimica” caratterizzata da solo sintomi, quasi impossibili da oggettivare, riconosciuta come tale in alcuni stati /regioni ed in altri no. Curiosamente non vi sono trattamenti né per l’una ne per l’altra condizione. E’ per questo che sono sindromi neglette?
 
In realtà Cavicchi, limitandosi alla indispensabile necessità di ascolto del paziente, è ancora prudente nel delineare i tratti di una Medicina (più) Pragmatica. Questa dovrebbe prevedere non una retrodatata limitazione bensì un allargamento della base conoscitiva del processo medico partendo dall’osservazione che pur avendo applicato le migliori evidenze disponibili si può avere insuccesso.
 
Questo non è da intendersi come sinonimo di errore ma del necessario e costante portato di ignoranza che ogni livello di evidenza veicola con se medesimo. Questo perché quando si passa dalla condizione malattia (oggetto principale dello studio dell’EBM) al singolo malato aumenta di molto il grado di complessità. Sino a raggiungere il concetto di Singolarità dove le evidenze raggiunte in modalità mediana (o statistica) spesso si infrangono non solo in medicina (concetto facilmente comprensibile) ma perfino nella fisica delle particelle (concetto meno comprensibile ma vero).
 
Da qui la necessità di un challenge costante a quei paradigmi che trasformano una conoscenza probabile in una certezza definitiva ed infine in una Evidenza apodittica. In realtà per dirla con Paul Feyerabend è necessario che teorie alternative vengano considerate contestualmente in modo che i nuovi dati smentiscano pratiche poco adeguate ( che in medicina per sua natura sono frequenti).
 
Due esperienze oncologiche ci illustrano come la messa alla prova delle Evidenze consolidate mediante atteggiamenti intuitivo-pragmatici ( ma basati su presupposti ben piantati nella razionalità) possano cambiare l’approccio clinico specifico, cambiando paradigmi.
 
Nel primo caso si tratta di gestione di pazienti con tumore della prostata metastatico: per lungo tempo lo standard è stata la terapia ormonale front-line (pur sapendo che invariabilmente si va rapidamente incontro a perdita di efficacia e a decadimento definitivo). Ho introdotto, per primo ( Brandi, Eur Urol 2006), l’uso della CHT frontline in un paziente metastatico, poi guarito, che aveva caratteristiche molecolari particolarmente adatte a rispondere al trattamento. Dieci anni dopo questo trattamento pioneristico è poi diventato standard di cura (Studio Charteed).
 
Il secondo esempio è stato la recente esecuzione di un OLT pioneristico per metastasi epatiche da CRC dove il fegato, al di fuori di ogni evidenza pregressa, è stato trapiantato al posto della milza in un paziente che non avrebbe avuto alternative clinico/tecniche. (Ravaioli , 2020).
 
Quindi, come si vede, bisogna essere sempre pronti a confrontarsi con evidenze consolidate (e nel caso superarle) e per dirla con Cavicchi sarebbe più produttivo puntare su delle belle teste pragmatiche (le “teste ben fatte” di Montaigne) piuttosto che su un esercito di “lineaguidari” acritici. Al di là dei picchi di innovazione sarebbe più auspicabile almeno una (più) diffusa analisi critica delle basi su cui sono fondate le evidenza in medicina.
 
Sicuramente il primo step stà nella modifica della formazione. Tuttavia il problema non stà solo qui ma anche nel quadro normativo che ci si è fatti costruire attorno che ad es lega la tutela assicurative/ legale all’esclusiva adesione alle linee guida (vedi legge Gelli). Deve essere ben chiaro che, perlomeno nella sua componente terapeutica, la gran parte dei dati prodotti, e poi tradotti a supporto di EBM, siano l’esito di sperimentazioni condotte dall’industria farmaceutica che ha, naturalmente, nella vendita del proprio prodotto l’obiettivo principale.
 
La ricerca di opzioni alternative nelle strategie terapeutiche dovrebbe passare dalla ricerca clinica spontanea, che è tuttavia un’arma spuntata avendo due piccoli difetti: il sotto- finanziamento e la iper-burocratizzazione. Chiunque abbia condotto una ricerca di questo tipo sa bene di cosa si sta parlando.
 
Si spera che gli imminenti investimenti in sanità (MES o non MES) non si limitino all’opere di muratura ed idraulica ma rafforzino il settore pubblico con più personale, meglio pagato, con più tempo a disposizione ( lo scarto con altri paesi europei non è più solo inaccettabile, ma penalizzante per il sistema Italia che forma medici e specialisti che poi si regalano ai paesi vicini più attrattivi per condizioni di lavoro ed economiche più adeguate e che così risparmiano circa 1 mln/testa sulla formazione che facciamo noi e poi generosamente doniamo). Ciò, assieme ad un moltiplicatore esponenziale dei fondi per la ricerca spontanea, è il passaggio prodromico ad avere una sanità pubblica adeguata ai tempi futuri.
 
Quello che possiamo fare al momento è mostrare le criticità della formazione delle evidenze in medicina, soprattutto nel campo dei trattamenti. Il percorso di approvazione di un trattamento secondo lo schema classico di studi di fase1, 2 e 3 è ormai sottoposto a torsioni metodologiche tali da facilitare al massimo l’approvazione, anche a costo di ridurre le tutele dei pazienti. Un tempo si approvava un farmaco sulla base di risultati congruenti di 2 trial di fase 3 (controllati vs placebo o standard). Poi ci si limitati ad un solo trial di fase 3. Del tutto recentemente FDA ha approvato in maniera accelerata immunoterapie per HCC sulla base di risultati di fase1 (poi nemmeno confermati in efficacia da studi di fase 3).
 
In generale un bias fondamentale è costituito da quali sperimentazioni vengono fatte e quali no; quali pazienti arruolare nei trial e quali no; quali pubblicare e come, e quali no; quali registrare e quali no. Avendo devoluto da 40 anni la ricerca dei trattamenti medici al privato (sulla base del reganiano Bayh-Dole Act che ha permesso a scoperte fatte dal pubblico e con fondi pubblici, di essere (s)vendute al privato (Marcia Angell, 2006) il corollario ovvio è legato al profitto.
 
Cosi rimangono Patologie Orfane di nuovi trattamenti (rare e quindi economicamente poco appetibili); cosi non si sperimentano adeguatamente pratiche cliniche non farmacologiche di scarso o nullo valore commerciale perché non brevettabili (es Cavicchi cita l’esercizio fisico che è efficace quanto i farmaci per il trattamento della depressione: Cochrane dixit); così nei trial si arruolano pazienti giovani e in forma quando poi il target reale è una popolazione più anziana e con comorbidità (in oncologia, che è un patologia che incrementa con l’età, fino a qualche anno fa il limite di età degli studi era <65 anni!); cosi un fino ad un terzo dei trial negativi non sono pubblicati …by by metanalisi! (dati FDA); cosi la pratica dei ghostwriters ( scrittori anonimi degli studi scientifici) si diffonde; cosi le companies possono decidere di non registrare farmaci in Italia che, pur avendo registrato efficacia e ottima tollerabilità, non garantiscono profitti adeguati sulla base della complessa normativa italiana di rimborso pubblico del farmaco.
 
Questi sono esempi di limiti “ambientali” della ricerca terapeutica, di bias sistematici che già di per sé rendono fragili le basi dell’EBM (cosi come si è strutturata).
 
Poi esistono limiti metodologici dell’EBM che esulano dai succitati aspetti mercantili, ma sono insiti nelle analisi del ruolo rivestito dal concetto di probabilità.
 
Il primo è il livello di confidenza accettabile fra caratteristica /trattamento A vs B. Convenzionalmente accettiamo che le differenze viste in medicina siano dovute al caso nel 5% dei casi (in fisica accettabile<1/10.000). E se vedessimo uno scarto enorme (quindi clinicamente molto stimolante) fra A e B, ma con la possibilità che sia dovuto al caso nel 6% dei casi (p<0.06)? Solo il buon senso può aiutare, dove i binari della cd evidenza porterebbero fuori.
 
Il secondo risiede nel tipo di disegno degli studi. Un esempio sta negli studi di non inferiorità nei quali (non avendo troppa fiducia nel proprio farmaco) si accetta di avere un risultato inferiore definito a priori e poi si dice che non è inferiore. E’ una filosofia accettabile solo se il trattamento “non inferiore” è più tollerato, meno costoso ecc. In realtà anche del tutto recentemente in Oncologia alcuni farmaci di questo tipo sono stati registrati e divenuti prescrivibili, pur non soddisfacendo i parametri di cui sopra.
 
Altro esempio sta nella stratificazione dei pazienti. in ogni patologia (ben chiaro in oncologia) esistono fattori pre-terapeutici che guidano la sopravvivenza ( averlo o non averlo cambia anche di 10 mesi la sopravvivenza). Per es nell’epatocarcinoma sono almeno 12 questi parametri (spesso indipendenti), ma nel disegno degli studi se ne considerano al max 4. E’ quindi ben chiaro che i risultati di uno studio randomizzato che valuta la sopravvivenza ( parametro gold) può essere inficiato a priori , e che l’efficacia reale di quel trattamento lo si saprà solo dai dati di pratica clinica ,quando si disporrà dei dati di migliaia di pazienti, ed il potenziale bias annullato.
 
Una più adeguata valutazione del problema di confronto di efficacia fra due trattamenti risiederebbe nella (ancora poco diffusa) statistica bayesiana che recupera e tiene conto di tutti i dati su un trattamento e, correttamente, ne valuta l’efficacia in una ottica molto più ampia. Tuttavia si cerca di piegarne il respiro nei cosiddetti trial adattativi soprattutto di fase 1 (in cui si dovrebbe valutare solo la tossicità del nuovo trattamento) in cui si cambia di continuo il disegno dello studio, per arrivare ad ottenere molto precocemente risultati di efficacia già in questa fase (a scapito di un valutazione più robusta delle tossicità).
 
Ulteriormente, per il passaggio da evidenze a raccomandazioni si rientra in un terreno di soggettività di cui si deve essere ben coscienti quando viceversa si pensa di aver raggiunto il livello finale di oggettività assoluta. Esempio eclatante riguarda la diffusione aerea per COVID e le conseguenti raccomandazioni di distanziamento minimo: 1 metro in Italia, 2 metri in UK e USA. Inoltre il GRADE (che valuta solo alcuni di tutti questi studi) può, in certi casi, raccomandare comportamenti clinici che vadano anche contro le evidenze disponibili (JC Andrews; 2013).
 
Infine non è male essere ulteriormente relativisti sul peso che rivestono i trattamenti medici nella salute complessiva della popolazione. Vi sono dati robusti che ci dicono che i i vistosi miglioramenti prodotti nel dopoguerra dagli interventi della medicina nelle condizioni sanitarie della popolazione non si sono più ripetuti e, molto verosimilmente, non si ripeteranno. (D Callahan,2000)
 
Insomma di ragioni per le quali le evidenze sono da considerarsi delle "verità paraconsistenti" per usare la nuova definizione del libro di Cavicchi, come si vede ce ne sono tante, come tante sono quelle che spingono per aderire alla proposta strategica del suo libro vale a dire puntare decisamente verso una svolta pragmatica cioè verso una coraggiosa rivisitazione del convenzionalismo che ancora oggi caratterizza la nostra medicina scientifica e che l'epistemologia moderna ha abbondantemente confutato in ogni aspetto, e, quindi, per questa strada ridefinire il medico del futuro.
 
Prof. Giovanni Brandi 
Oncologo, Direttore Scuola di Specializzazione Oncologia Medica, Università di Bologna
Membro del Comitato Etico Emilia Centro

 
Bibliografia
- Paul Feyerabend; “I problemi dell’empirismo,” Lampugnani Nigri; Milano 1965
- Marcia Angell. “Farma&Co”; il Saggiatore 2006
- Brandi G, de Rosa F, Danesi R, Montini GC, Biasco G. Durable complete response to frontline docetaxel in an advanced prostate cancer patient with favourable CYP1B1 isoforms: suggestion for changing paradigms? Eur Urol. 2008 Oct;54(4):938-41
- Ravaioli M, Brandi et al Heterotopic segmental liver transplantation on splenic vessels after splenectomy with delayed native hepatectomy after graft regeneration: A new technique to enhance liver transplantation. Am J Transplant. 2020 Jul 26.
- JC Andrews et al “GRADE guidelines: Going from evidence to reccomendation” Journal of Clinical Epidemiology, 2013
- Daniel Callahan “ La medicina Impossibile” Baldini- Castoldi 2000

 
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7 ottobre 2020
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