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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Studi e Analisi

Il dibattito sull’Ebm. Oggi bisogna fare i conti con la  complessità della medicina

di Antonio Panti
immagine 6 ottobre - Proseguiamo il dibattito sollevato dall'ultimo libro di Ivan Cavicchi sulle evidenze scientifiche in medicina con Antonio Panti. “La medicina deve prendere coscienza di due questioni: che la salute non può più essere meramente antropocentrica ma deve considerare in un unica visione la biodiversità, il rispetto dell'ambiente, la vivibilità del mondo anche per le future generazioni e che la preparazione alle calamità, la promozione della salute, la medicina preventiva e sociale sono una faccia della medicina moderna”
Gentile Direttore,
ho seguito con interesse il dibattito sull'ultima fatica di Ivan Cavicchi. Non ho letto il libro ma l'importante l'articolo di Ivan e i successivi commenti mi inducono a qualche riflessione. Il ragionamento di Cavicchi ricorda la definizione di medicina data da Cosmacini: un'arte che si avvale di scienze e agisce in un mondo di valori: le evidenze scientifiche consentono al medico di uscire dal variegato mondo delle opinioni personali o popolari tuttavia, nella prassi quotidiana, l'approccio alla persona non può non tener conto della personalità e del contesto, della famiglia, del lavoro, della società circostante e, fondamentalmente, dell'organizzazione sanitaria cioè degli strumenti di cui dispone la medicina.
 
La diagnosi e la prognosi sono fenomeni complessi e qualsiasi medico sa che spesso la persona non è né sana né malata ma "qualcos'altro", come dice Cavicchi, il che apre l'ulteriore mondo dell'antropologia. Fin qui niente di nuovo e da Ippocrate a oggi i pratici che conoscono il loro mestiere sanno che il medico è la prima terapia.
 
Cavicchi non sembra affrontare "il discorso sul metodo", come approccio logico al ragionamento medico, bensì volge la sua attenzione alla fattualità della prassi; come ha ben scritto Benato è questo approccio pragmatico al paziente il modello che i medici apprendono prima a scuola poi sul campo.
Allora emerge un problema a monte. Perché sentiamo il bisogno di affrontare una siffatta discussione? E in effetti il bisogno sussiste e la discussione è appropriata.
 
La questione "dell'uso pragmatico della verità", come recita il titolo del libro, è essenzialmente formativo. Ebbene, il Prof. Familiari ci ha spiegato con abbondanza di riferimenti l'impegno costruttivo e costante dell'Università. Purtroppo la preparazione dei nostri giovani, profondissima sul piano scientifico ma assai carente su quello metodologico e pratico, contraddice questa visione e dà ragione a Cavicchi: a questo livello c'è molto da lavorare.
 
Tuttavia la questione è più complessa. Vi è una forte contraddizione nella prassi medica sia nel servizio sanitario che nella sanità privata. Da quando la sanità è parte prevalente della cosiddetta white economy, cioè di un complesso di servizi e di produzione che muove oltre il 10% del PIL delle nazioni avanzate e che di continuo si incrementa in ogni parte del mondo, è chiaro che la medicina, intesa come relazione tra singolo paziente e singolo medico, deve fare i conti con altri valori e altre forze spesso più potenti dello stesso desiderio di curarsi.
 
Ecco perché si discute della professione, non per proseguire un dibattito culturale aperto da sempre sulla logica del ragionamento del medico, ma perché si avverte la divaricazione tra la medicina come prassi volta all'interesse del singolo e la sanità organizzata che deve contemperare questo interesse con i costi economici e sociali del servizio, se questo vuol essere universalistico e ugualitario.
Aggiungendo che la pandemia ha portato nuovamente alla ribalta l'aspetto sociale della medicina, cioè i limiti tra diritti del singolo e diritti della collettività: la solidarietà è un valore costituzionale come la autonomia della persona.
 
A me sembra, in sintesi, che il discorso sul valore delle evidenze al fine dell'uso pragmatico della verità (termine ambiguo benché "du degré de la certitude de la medicine" sia del 1788) rappresenti un aspetto fondamentale dell'evoluzione della medicina ma non tocchi la sequenzialità delle questioni sulle quali esercitare la discussione per accrescere la consapevolezza della società sul futuro della tutela della salute.
 
Inoltre ogni metodologia rischia di non riuscire nell'opera futuribile di immaginarne l'evoluzione indotta dallo sviluppo della tecnica che la modifica in progress e basti pensare a quanto il ragionamento medico all'inizio del novecento ha subito l'influsso delle scoperte della diagnostica chimica, della radiologia, della microbiologia. Anche il metodo sta all'interno della logica della learning economy in cui il sapere consiste nella continuità adattativa all'evoluzione della scienza e della tecnica.
 
A monte della discussione sul valore euristico delle leges artis, che di questo si tratta di come coniugare scienza e artigianato, forse merita mettere in ordine i problemi, al di là di ogni valutazione storicistica.
 
Prospettando una continuità logica delle questioni penso che:
a - nessun dubbio sui fondamenti scientifici, in particolare biologici, della medicina;
b - nessun dubbio che la pratica medica è un'arte che deve comporre molteplici conoscenze e valori individuali e sociali;
c - la medicina vede il medico di fronte sia alla persona singola che alla comunità dei cittadini;
d - la risposta ai bisogni sanitari richiede oggi complessi percorsi diagnostico terapeutico assistenziali;
e - di conseguenza i servizi medici necessitano di costosissime e complicatissime organizzazioni che implicano amministrazioni capaci e una forte e esplicita base sociale e politica;
f - la conseguenza è che il punto di vista clinico e deontologico del medico assai spesso non collima con quello di chi gestisce il servizio sanitario in nome dei cittadini i cui interessi divergono se sono pazienti o soggetti fiscali.
 
La medicina non è soltanto storia della relazione coll'individuo e della tutela dei suoi diritti (la centralità del paziente) ma anche storia dei grandi interventi sociali che si fondano sulla centralità della comunità dei cittadini anzi dell'intera umanità: la sanità é un bene comune perché fruibile da chiunque.
La medicina deve prendere coscienza di due questioni: che la salute non può più essere meramente antropocentrica ma deve considerare in un unica visione la biodiversità, il rispetto dell'ambiente, la vivibilità del mondo anche per le future generazioni; che la preparazione alle calamità, la promozione della salute, la medicina preventiva e sociale sono una faccia della medicina moderna che deve trovare sintesi tra la tutela della salute individuale, nel rispetto dei diritti della persona, e gli interessi della collettività.
 
Insomma vi è una complessità ulteriore rispetto a quella di ogni singolo essere umano. La singolarità non esaurisce la problematica, ne è parte essenziale ma, come la stessa pandemia dimostra, le questioni sono assai più intrecciate.
 
Richard Horton su Lancet (396/sett.26.2020) cita un antropologo, Merrill Singer, che sostiene che la pandemia da Covid si può affrontare e vincere solo se la si inquadra in modo più vasto, come una "sindemia". E' solo la visione complessiva dell'infezione virale considerata nella compresenza di patologie croniche e di quelle sociali derivanti dai rischi primari che ci consente un approccio vincente.
 
In conclusione vi sono diversi elementi che incidono sul discorso: il modello di "razionalità duttile" del medico, i bisogni dei cittadini, l'architettura politico sociale della sanità che condiziona entrambi. Cambiare il metodo è impresa difficile ma possibile e senz'alto necessaria: l'epoca presente è caratterizzata dalla complessità e ben venga ogni stimolo al confronto.
 
Antonio Panti
 
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6 ottobre 2020
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