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QS Edizioni - giovedì 26 dicembre 2024

Studi e Analisi

La riforma dell’assistenza territoriale e quella ‘quadra’ che non si riesce a trovare

di Luciano Fassari
immagine 29 luglio - Ci hanno provato in tanti negli ultimi 20 anni non da ultimo il Ministero della Salute con un tavolo che doveva approntare le linee guida per la stesura dei Piani di riorganizzazione del territorio ma che non ha sortito effetti. Forse in autunno partirà il tavolo previsto dal Patto per la Salute sul tema. Sta di fatto che ad oggi l’applicazione del Dl Rilancio, con l’infermiere di famiglia sarà affidata alle singole regioni senza un disegno organico a livello nazionale
Il tema della riforma dell’assistenza territoriale è ormai all’ordine del giorno della politica da 20 anni. Ma nonostante i vari tentativi succeditisi la ‘quadra’ ancora non si trova.
 
Da ultimo ci ha provato il Ministero della Salute presso cui negli ultimi 2 mesi era stato attivato un tavolo allo scopo di redigere delle linee guida per la stesura da parte delle Regioni dei Piani di riorganizzazione territoriale (in analogia a quanto fatto per i Piani di riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera) in applicazione delle norme contenute nel Dl Rilancio.
 
Il Decreto infatti ha messo sul piatto 1,25 miliardi e al suo interno vi sono molte novità, a partire dall’istituzione dell’infermiere di famiglia con l’assunzione di 9.600 infermieri, passando per il prolungamento dell’esperienza delle Usca allargate anche a psicologi e specialisti ambulatoriali, la possibilità di assumere con contratti di lavoro autonomo gli assistenti sociali e la sperimentazione delle strutture di prossimità per la promozione della salute e per la prevenzione, nonché per la presa in carico e la riabilitazione delle categorie di persone più fragili, solo per citare le principali.
 
La mission del Ministero, di trovare una proposta condivisa per la redazione di questi piani, era certamente molto ardua anche perché mettere d’accordo gli attori in campo non è questione facile.
 
E infatti il tavolo sembra proprio si sia arenato e la circolare che doveva dettare gli indirizzi non è mai stata pubblicata, nonostante vari tentativi del Capo di Gabinetto di Lungotevere Ripa Goffredo Zaccardi (il cui incarico scade a settembre anche se pare che resterà in sella per qualche altro mese) che ha gestito in prima persona la partita.
 
Ma perché non si è giunti ad un accordo? Il nodo, gira che ti rigira è sempre lo stesso: la governance del territorio. Da un lato i tecnici del Ministero e i consulenti di Speranza hanno in mente un potenziamento del Distretto (che nonostante ci sia da anni non marcia come dovrebbe e il Covid ne ha messo a nudo tutte le difficoltà) cui far convergere la gestione di tutti gli attori del territorio. E in questo senso anche gli infermieri di famiglia andrebbero inquadrati come dipendenti delle Asl e le Usca diverrebbero il braccio armato del Distretto. Dall’altro lato i medici di famiglia che rivendicano il loro status libero professionale e propongono un microteam (stabilito tra l’altro per legge con il Dl Calabria nel 2019) con il medico di famiglia a far da regista.
 
Sta di fatto, che questo nodo, che va oltre lo status contrattuale, non si scioglie. Anzi negli anni si è attorcigliato sempre di più e chiunque abbia provato ad intervenire si è ritrovato con un pugno di mosche in mano anche perché, vuoi o non vuoi, in Italia si vota sempre (a settembre per esempio andranno alle urne Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche, Puglia e Valle d’Aosta) e mettersi contro le categorie non è mai una buona idea. Ed ecco che negli anni, invece di un intervento organico, sono state elaborate norme su norme, inseriti servizi su servizi ma senza una regia ben definita. Esempio lampante è la realizzazione a macchia di leopardo del Progetto Case della Salute.
 
Il punto è che manca un disegno politico di riforma del territorio e così succederà che l’applicazione delle norme del Dl Rilancio saranno lasciate in mano alle singole regioni. E questo varrà soprattutto per l’infermiere di famiglia, che sì, è stato istituito e ne sono state finanziate le assunzioni, ma che non è ancora stato inserito in un quadro normativo chiaro per una sua discesa in campo omogenea a livello territoriale. Il Ddl che ne prevede l'istituzione è ancora all’inizio del suo percorso parlamentare e così a far da apripista saranno le Regioni, con il Veneto (con il suo Dg Domenico Mantoan che occupa anche il ruolo di commissario di Agenas e presidente Aifa) in testa e la cui delibera sul tema sta già facendo scuola tra le altre Regioni sollevando al contempo la protesta dei medici. Diciamolo, lasciare la palla alle Regioni non è un male di per sé salvo però poi non lamentarsi se la sanità italiana non va alla stessa velocità.
 
La partita ora slitterà inevitabilmente verso l'autunno quando potrebbe riprendere il lavoro per l’applicazione del Patto per la Salute, che a causa del Covid non è mai decollato. Infatti al punto 8 è prevista la stesura di nuove linee d’indirizzo per le cure primarie.
 
Mi si perdoni lo scetticismo ma dubito che si arriverà ad una sintesi anche su quel tavolo (se mai partirà) con il rischio di ritrovarci, come scrivevamo già lo scorso mese, con tante risorse, tanti attori e senza un’idea di riforma da portare avanti con coraggio. Con buona pace del cittadino che sempre più si ritroverà al centro, ma di una baraonda di servizi.
 
 
Luciano Fassari
29 luglio 2020
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