L’infermiere di famiglia e di comunità è finalmente legge di Stato; vorrei ricordare che anche se in questo maledetto anno 2020 c’è poco da festeggiare, in un
precedente articolo scrissi che il miglior modo per lo Stato italiano di celebrare l’anno dedicato dall’OMS all’infermiere ed all’ostetrica sarebbe stato anche, ma non solo, l’attuazione della normativa per l’istituzione dell’infermiere di famiglia: primo obiettivo raggiunto.
Certo già il fatto era stato solennemente anticipato e sancito dal Patto per la Salute 2019/2021 secondo il quale nelle cure primarie deve essere prevista “l’assistenza infermieristica di famiglia/comunità, per garantire la completa presa in carico sanitaria integrata delle persone” e che aggiunge anche la necessità della “valorizzazione delle professioni sanitarie, in particolare di quella infermieristica, finalizzata alla copertura dell’incremento dei bisogni di continuità dell’assistenza, di aderenza terapeutica, in particolare per i soggetti più fragili, affetti da multi-morbilità” .
Ora questa innovazione, tanto attesa, anche se anticipata nelle realtà da alcune Regioni, viene messa in sicurezza dalla legificazione avvenuta tramite l’art. 1, comma 5, del decreto-legge 19 maggio 2020, n.34 (recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19) convertito nella Legge 17 luglio 2020, n. 77 che prevede tra, l’altro, “…di rafforzare i servizi infermieristici, con l’introduzione altresì dell’infermiere di famiglia o di comunità, per potenziare la presa in carico sul territorio dei soggetti infettati da SARS-CoV-2 identificati come affetti da COVID-19, anche coadiuvando le Unità speciali di continuità assistenziale e i servizi offerti dalle cure primarie, nonché di tutti i soggetti di cui al comma 4…”
Ottimo lavoro i miei complimenti a Governo, Parlamento, Regioni, FNOPI e Sindacati che con un’eccezionale sinergia hanno raggiunto questo risultato storico, necessario ed indispensabile per la ricostruzione dei servizi e presidi sanitari e sociosanitari territoriali secondo le idee forza della legge 833/78, ovviamente contestualizzate al quadro epidemiologico e demografico attuale, idee forza disattese per troppo tempo.
Stabilito che l’infermiere di famiglia/comunità è legge di Stato sarebbe quanto mai opportuno che venissero indicate sia le sue competenze sia la sua formazione che non può che essere successiva alla laurea nonché le modalità di attribuzione dell’incarico, il suo rapporto di lavoro normativo ed economico.
Al Senato della Repubblica è iniziato l’iter di esame dei disegni di legge depositati e, non lo nego, mi pare più che convincente
quello presentato dalla senatrice Paola Boldrini che ha
registrato già consensi ma in parallelo e non in contraddizione o surroga, come già realizzato con la vicenda dell’implementazione delle competenze avanzate e specialistiche dell’infermiere, risolta per via contrattuale, approfittando dei lavoro della Commissione Paritetica che in virtù dell’art.12 del vigente CCNL del Comparto Sanità dovrebbe rivedere il sistema di classificazione professionale del personale del SSN.
In quella sede si potrebbe descrivere, con dovizia di particolari, le ulteriori competenze complesse e specialistiche, diverse da quelle di base dell’infermiere al quale viene attribuito l’incarico professionale, come prevede il CCNL, di infermiere di famiglia/ comunità, il requisito formativo post laurea richiesto, le modalità di conferimento, verifica, conferma o, speriamo mai, revoca in caso di ripetuta valutazione negativa.
Perché, a mio giudizio, si tratterebbe, di norma, di un incarico di alta professionalità di infermiere di famiglia e di comunità che presuppone un’ulteriore formazione complementare successiva alla laurea in grado di abilitare il professionista a svolgere funzioni con assunzione diretta di ulteriori elevate responsabilità più complesse e specialistiche rispetto a quelle previste dal profilo professionale DM 739/94 non svolgendo solo assistenza esclusivamente prestazionale, bensì realizza integralmente la presa in carico, per quanto di sua competenza, è parte integrante della comunità, ne conosce i bisogni di salute, le risorse e le potenzialità sommerse per rispondere a questi bisogni, garantendo, inoltre, una presenza continua e costante nel proprio territorio di riferimento.
Per questo sarebbe quanto mai opportuno, a mio giudizio, che le Aziende Sanitarie Locali attivino all’interno dei loro distretti sanitari incarichi professionali di infermiere di famiglia e di comunità i quali siano parte integrante del Servizio Aziendale per l’Assistenza Infermieristica, nella augurabile articolazione distrettuale; la quantificazione numerica ottimale di questi incarichi professionali da attivare nel singolo Distretto dovrebbero essere cura della Direzione Generale dell'Azienda sanitaria di riferimento insieme agli obiettivi di salute da raggiungere, perseguire e mantenere tenuto dello condizione demografica ed epidemiologica del territorio assegnato. e con gli obiettivi di salute definiti.
La contrattazione collettiva dovrebbe, quindi, disciplinare le ulteriori modalità attuative nonché il trattamento economico e normativo dell’infermiere al quale viene attribuito l’incarico professionale di infermiere di famiglia, incarico che per l’enorme rilevanza strategica all’interno delle politiche di salute del Paese, non potrebbe essere, a regime, uno spot di un incarico temporaneo con modalità retributive straordinarie ed anomale bensì attribuito, salvo verifica negativa, a tempo indeterminato, secondo la graduazione contrattualmente prevista, proprio per apprezzare e valorizzare la maggiore competenza professionale, frutto di un progressivo investimento scientifico, relazionale e conoscitivo da parte del professionista incaricato.
Per quanto riguarda le competenze da attribuire, proprio per il rilievo di innovazione che questo incarico professionale presuppone e assume nel quadro della ricostruzione del SSN, che tutti dicono non dovrà essere quello di prima, sarebbe quanto mai auspicabile ed che vengano già indicate dai documenti che saranno licenziati dalla Commissione Paritetica di revisione dell’impianto di classificazione professionale del personale del SSN e, a tal proposito il ricordato Atto Senato 1751 https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato8675803.pdf, ritengo che possa costituire una base di riferimento in quanto fa proprie descrizioni di competenze condivise e verificate sia sulla base della letteratura scientifica e professionale in materia che sulla base delle positive esperienze di alcune Regioni per alcune di alcuni anni ma per il Friuli Venezia Giulia addirittura per vent’anni.
Se così fosse la Contrattazione Collettiva Nazionale in Sanità, avrebbe, di nuovo ed ancora, un ruolo da protagonista propositivo e positivo nella riforma dell’organizzazione del lavoro nelle Aziende Sanitarie più funzionale all’attuazione del diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione Repubblicana, dando certezze valide su tutto il territorio nazionale contribuendo al superamento di 21 modelli di sanità regionali diversi tra loro.
Saverio Proia