Dipartimenti di prevenzione, infermieri di comunità, medici di famiglia, pediatri, specialisti ambulatoriali, continuità assistenziale, i Distretti, Usca, Case della Salute, farmacie, psicologi, assistenza domiciliare, riabilitazione territoriale, servizi socio-sanitari, assistenti sociali, Rsa e chi più ne ha più ne metta.
Che l’assistenza territoriale fosse un campo dove intervengono molte professionalità e dove l’offerta di servizi è notevole è cosa nota ma i provvedimenti messi in campo durante l’emergenza, non da ultimo col Decreto Rilancio, rischiano di rendere l’ambito delle cure primarie un settore ancora più affollato dove, invece di porre il paziente al centro, ognuno coltiva il proprio orticello seguendo quella logica dei silos che tanto a parole viene criticata quanto poi nella realtà portata avanti.
L’esigenza di una riforma complessiva dell’assistenza territoriale è cosa nota ben prima della pandemia che ha travolto il Paese, ma quello che manca è una visione organica del settore che renda veramente funzionale il lavoro di tutti gli attori in campo. L’Ocse, seppur con tutti i limiti di dover tracciare una linea guida tra Stati che hanno modelli differenti, una rotta l’ha tracciata, ma è chiaro che l’impasse italiano va superato.
Sul settore il Governo si è mosso prima dell’emergenza Covid mettendo a disposizione dei medici di famiglia e dei pediatri oltre 200 mln per dotazioni strumentali di diagnostica di primo livello. Nel Patto per la Salute siglato lo scorso dicembre si prevede poi la stesura di nuove linee d’indirizzo per integrare le risorse in campo. Poi è arrivata la pandemia che ha travolto tutto e il territorio è finito in cima alla lista dei ‘colpevoli’ con i dipartimenti di prevenzione delle Asl che hanno mostrato tutta la loro impotenza, i medici di famiglia che sono stati abbandonati al loro destino, gli ambulatori che hanno chiuso e le farmacie che hanno dovuto combattere per accaparrarsi le mascherine, solo per fare alcuni esempi.
Il dibattito, come riportato ampiamente sul nostro giornale si è incentrato esclusivamente sul portare a dipendenza i medici convenzionati, sul creare la nuova figura dell’infermiere di famiglia (prevista anche nel Patto per la Salute), su attivare le Usca e sul potenziare i dipartimenti di Prevenzione. In questo senso il decreto Rilancio stanzia oltre 1,2 mld di euro per nuove assunzioni. Ma il punto è che, oltre al Dl Rilancio, manca proprio una visione organica, anche di ciò che è stato messo in campo durante l’emergenza e che potrebbe essere utile domani.
Quello che si è visto in questi mesi, duole dirlo ma è così, è che si sono realizzati una miriade di interventi a pioggia senza aver chiaro l’obiettivo.
In queste settimane, sotto traccia, è partito un tavolo di confronto al Ministero della Salute sull’assistenza territoriale e su come per esempio far interagire i medici e gli infermieri nell’ambito delle cure primarie.
Allo stato attuale una proposta da Lungotevere Ripa ancora non è stata presentata ma è chiaro che quello che realmente servirebbe è un’idea vera di riforma, anche digitale, da mettere sul tavolo e su cui confrontarsi con la miriade di attori che affollano il territorio.
Questa è certamente la sfida di programmazione più ardua che ha di fronte il Governo sulla sanità perché per il futuro non basterà più dire di aver stanziato miliardi e fatto migliaia di assunzioni senza aver gettato le basi per una seria riforma che non faccia più impazzire il cittadino, che invece di essere guidato si trova ogni giorno travolto da una miriade di servizi che non si parlano tra loro.
Luciano Fassari