La sanità pubblica è stata scossa e messa dura prova dall'epidemia Covid-19. Ci sarà tanto da lavorare per concretizzare una buona exit strategy quantomeno dai pericoli più emergenti da coronavirus, dopo i tanti errori interpretativi e i confusi consigli al popolo sull'uso o meno delle mascherine che ancora oggi sono difficili da rintracciare.
Troppe le confusioni determinate dalle fughe in avanti di alcune Regioni. Tantissime, ma forse più salutari delle prime, anche le «tirate di giacca» funzionali ad assicurarsi maggiori cautele per la salute delle collettività protette, esposte spesso a rischio da irresponsabili comportamenti dei singoli.
Troppi i provvedimenti governativiadottati 27 in tutto, al lordo di una delibera del CdM (31 gennaio 2020) e di una ordinanza del ministro Speranza adottata il giorno prima.
Due provvedimenti che occorrevano, fatta salva qualche preoccupazione del mondo scientifico
Nel fine settimana la svolta: il decreto legge quadro n. 33/2020 (approvato nella tarda serata del 15 maggio e pubblicato il 16 scorso, grazie ad un tempestivo visto notturno del presidente Mattarella); il Dpcm di domenica notte. Due provvedimenti con i quali il Governo ha deciso di cambiare rotta. Di riaprire il Paese, di dettare le regole per farlo e di scandire le condizioni per realizzare il riavvio produttivo con il massimo delle cautele. Il tutto in stretta collaborazione con le Regioni.
Dunque, sono stati adottati il decreto legge 16 maggio 2020 n. 33 (il tredicesimo in epoca di coronavirus, di cui tre senza più efficacia) e il Dpcm 17 maggio 2020 (il dodicesimo, dei quali otto senza efficacia).
Con il decreto legge il Governo ha fissato i principi fondamentali posti a guida di tutti gli interventi, legislativi e amministrativi, che saranno eventualmente assunti a livello regionale, così come pretesi dal Capo dello Stato. Ha fissato i termini e le regole da valere sul territorio nazionale, salvo (ri)attribuire alle Regioni e ai sindaci (art. 1, comma 9) la facoltà di adottare liberamente ulteriori restrizioni e qualche accortezza in più a tutela delle loro rispettive collettività. Al riguardo, ha previsto una clausola di salvaguardia che consente l'esercizio sostitutivo del Governo in caso di inerzia delle Regioni in presenza di obiettivi peggioramenti epidemici.
Una previsione per molti versi ultronea, atteso che reca una attribuzione di competenza già contemplata dalla Costituzione e da vigenti provvedimenti legislativi ordinari. Non solo. Ha posto alle Regioni, quasi a «corrispettivo» del maggiore grado di autonomia concessa, l'obbligo per le medesime di assicurare (art. 1, comma 16) il monitoraggio quotidiano dell'andamento dell'epidemia sui loro territori.
Una scelta legislativa, introduttiva di una sorta di «libertà di ordinanza» già esercitata da parte di quasi tutti i Governatori, con limitazioni cautelative da parte di Piemonte e Sicilia (che hanno differito la generale riapertura) e Sardegna (viaggi da e per), con la Campania che ha, però, contestato l'impianto dell'Intesa accusando il Governo di «scaricabarilismo».
Con il successivo Dpcm, il presidente del Consiglio dei Ministri ha scandito - facendo proprie nella premessa e riportandole pedissequamente in un allegato da ritenersi parte integrante e sostanziale del suo Dpcm (art. 2) le linee guida redatte dalle Regioni nel loro insieme - tutto ciò che occorrerà fare per tutelare la popolazione nazionale dall'espandersi dell'epidemia in atto.
Finisce così la brutta esperienza caratterizzata da corse in avanti dei governatori più audaci, da stop della magistratura - tipo quello sancito dal Tar della Calabria all'ordinanza n. 37/2020 della presidente Santelli - e da errate premature aperture di esercizio che hanno causato non pochi inutili esborsi economici da parte di imprenditori già in crisi.
Una svolta decisiva nella politica
Un decreto legge che, fatte salve scongiurabili forme di recrudescenza epidemica, pone le basi - in una allo spirito e ai contenuti del successivo Dpcm - per una politica improntata alla leale collaborazione, alla più produttiva concertazione e all'unità nazionale. Una modalità di governo della Repubblica sulla quale potere altresì investire - con opportune azioni manutentive (anche di tipo costituzionale) da effettuare sull'attuale sistema - anche in termini di attuazione del regionalismo differenziato (del quale in questa occasione si è sentito in giro il «profumo»), ovviamente avviato a seguito dell'intervenuta entrata a regime delle regole di finanza territoriale introdotte dal federalismo fiscale, garante dei livelli essenziali delle prestazioni.
Una conclusione, questa, che - per dirla alla
Ilvo Diamanti su
La Repubblica del 18 maggio maggio scorso - è frutto di una rigenerazione della politica interistituzionale in senso più presenzialista. Un modus agendi che ha favorito la concretizzazione della «Repubblica dei Presidenti», atteso il dominate ruolo nella vicenda e il condizionamento del risultato che hanno rispettivamente esercitato i governatori regionali, in primis Bonaccini, Zaia e De Luca.
Ettore Jorio
Università della Calabria