“Le aree geografiche che dimostreranno, mediante indicatori adeguati, di essere in grado di tenere sotto controllo in modo efficace la trasmissione del virus, potranno uscire dalle attuali misure collettive di restrizione e mantenere solo l’isolamento selettivo dei casi, oltre alle altre misure di contrasto, come ad esempio l’uso di dispositivi di protezione individuale, ma per le altre è incauto”.
È quanto mette nero su bianco
l’Associazione Italiana di Epidemiologia (Aie) in una lettera aperta - indirizzata ai direttori generali della programmazione e della prevenzione sanitaria presso il Ministero della Salute, al Presidente del Comitato Tecnico Scientifico Covid-19, al presidente del Consiglio Superiore di Sanità e del Coordinamento Interregionale Prevenzione e Sanità Pubblica.
“È necessario subordinare l’uscita dal lock-down, alla capacità di risposta di ogni singola area geografica circa l’identificazione e l’interruzione della catena dei contagi, al fine di limitare la circolazione virale e contenere ulteriori diffusioni epidemiche – sottolinea Aie – In base ai dati finora raccolti è stimato che solo una piccola parte della popolazione nazionale (al massimo il 10%) ha contratto l’infezione da Sars-Cov-2 e, quindi, esiste ancora un ampio margine per il verificarsi di nuove infezioni e di una nuova ondata epidemica. L’obiettivo ora perseguibile è quello di ridurre la circolazione epidemica alle dimensioni di endemia controllata. L’isolamento generalizzato e quello domiciliare dei casi diagnosticati non intaccano i contagi che si determinano in ambito domestico tra conviventi e i contagi tra i lavoratori dei comparti in funzione, quota non trascurabile della popolazione. La trasmissione in atto, altresì, viene mantenuta e amplificata dai focolai epidemici in comunità ristrette, quali le strutture sanitarie e le Rsa”.
Per la seconda fase della gestione emergenza Covid19, Aie propone di costruire indicatori - per ogni area del Paese - della capacità di risposta a controllare la catena dei contagi sul territorio e così valutare l’idoneità ad allentare le misure generalizzate.
Gli epidemiologi raccomandano di:
1) focalizzare l’analisi dei dati di sorveglianza sui casi, con insorgenza di sintomi recenti e identificare quelli diagnosticati a causa di una maggiore intensità di accertamento, anche senza sintomi. Occorre quantificare la quota di trasmissione intrafamiliare, in modo da considerare in futuro di ricorrere a isolamenti non domiciliari. L’attività lavorativa dei casi identificati può, inoltre, permettere di individuare ambiti lavorativi a rischio;
2) descrivere i focolai di infezioni e la quota di casi associata. È importante che il numero di focolai identificati venga segnalato per interpretare in modo corretto l’attuale andamento del numero di nuovi casi;
3) rafforzare le capacità operative sul territorio su tre aspetti prioritari: il contact tracing (rintracciare contatti) dei nuovi casi confermati e l’ampliamento degli accertamenti virali agli asintomatici; l’identificazione tempestiva e l’analisi dei focolai epidemici; l’adattamento della strategia di accertamento dei casi positivi nelle comunità ristrette, ad esempio anche mediante indagini PCR multiplex su pool di campioni biologici in gruppi a basso rischio.
La sorveglianza dei casi e dei loro contatti dovrà essere facilitata dalla disponibilità di strumenti tecnologici che dovranno essere in grado di mettere in rete i medici di medicina generale, gli assistiti e i servizi di prevenzione. “È – conclude Aie – che sistemi diversi siano in grado di fornire lo stesso tipo di dati e alimentare la stessa base di dati. La capacità di intervenire tempestivamente sui nuovi casi e sui loro contatti attraverso protocolli omogenei e adeguate risorse umane rappresenta l’unica reale possibilità per bloccare le catene di contagio”.
Come ulteriore misura della frequenza di malattie respiratorie, gli epidemiologi raccomandano di mantenere e potenziare, nei prossimi mesi, l’attuale rete di sorveglianza delle sindromi influenzali.