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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Studi e Analisi

Scientismo ed economicismo, due facce della stessa medaglia (seconda parte)

di Ivan Cavicchi
immagine 25 marzo - La Siaarti nel bel mezzo di una epidemia di coronavirus, con le sue raccomandazioni di etica clinica, ha tentato di garantire agli anestesisti una certa copertura morale, ma la vera copertura morale, per me non viene dall’uso di un criterio deciso a tavolino dagli anestesisti, ma dalla fiducia sociale cioè dalla gente che si fida degli anestesisti e delle loro virtù approvandone caso per caso l’operato
Defaillances
Mi ha colpito che per gli anestesisti di cui ho letto i commenti ciò che è teorico o peggio filosofico, per loro che intubano malati, in fin di vita, non abbia nessun valore pratico.
 
In questa pandemia terribile, non riesco a dare loro torto, ma devo far notare che nel loro documento, nei loro criteri di accesso alle cure, c’è più teoria di quello che si immagina. Il criterio dell’età ad esempio poggia come ho già detto il suo razionale sulla teoria conseguenzialista e fa gola al peggio neoliberismo.
 
Questa teoria entra automaticamente in conflitto con quella rappresentata dal presidente della Fnomceo cioè con il deontologismo che al contrario si fonda sul principio del dovere di chi agisce moralmente.
 
Un’altra cosa che mi ha colpito è la sua totale separatezza dall’elaborazione Siaarti da quella che la Fnomceo ha messo in piedi per la ridefinizione del medico al fine di trovare una risoluzione alla crisi della professione. Mi riferisco alle 100 tesi. Come dire che la mano sinistra non sa quello che fa la mano destra.
 
Nelle 100 tesi viene sviluppata  la critica epistemica all’uso dei criteri e quindi una serie di proposte volte a mediare tra il conseguenzialismo della Siaarte e il deontologismo della Fnomceo quindi tra valori da difendere e risultati da conseguire.
 
God’s eye view
Ma perché un criterio, qualsiasi esso sia, non garantisce mai da solo una completa e efficace copertura morale al medico costretto a fare delle scelte difficili?
 
La risposta è che purtroppo non esiste nessun criterio o evidenza, compreso l’età del malato, capace di essere “l’occhio di Dio”. “God’s-Eye View” è l’espressione usata da Putnam nel suo libro “realismo dal volto umano” (1995) per indicare quel sapere scientifico che pretenderebbe di raggiungere un “punto di vista” assolutamente obiettivo.
 
Dando per scontato che la medicina si regge su delle evidenze e su dei criteri, che abbiamo bisogno delle prime e dei secondi, ciò che non funziona, soprattutto nel dilemma morale, non è il criterio in quanto tale, ma è la sua pretesa di assicurare da solo la massima obiettività e quindi la massima giustizia.
 
E’ del tutto evidente che, nel dilemma morale, il criterio dell’età è un buon criterio per orientare le scelte del medico ma è altrettanto evidente che per quanto obiettivo esso sia, alla fine risulta piuttosto sommario e approssimativo nel senso che non riesce da solo a giudicare la vera complessità reale del malato individuale.
 
Cioè la giustizia che questo criterio assicura vale per approssimazione dal momento che il suo uso comporta tanto un grado di giustizia verso qualcuno che un grado di ingiustizia verso qualcun altro. Dipende dai casi. Trovo inutile, come ho letto in alcuni commenti, paragonare il malato senza nessuna ragionevole aspettativa di vita al malato giovane con una alta aspettativa di vita.
 
In questo caso, lo dico sempre al mio archiatra preferito Bruno Ravera, il dilemma morale alla fine non c’è. Il dilemma morale come Bruno sa bene è più frequente nei casi controversi e nasce in primo luogo nel definire prima di tutto il valore dell’età. Che differenza c’è tra un uomo di 70 anni e un uomo di 71 anni? Fino a 70 anni il malato è ammesso alle cure e da 71 in poi no?
 
Meta-criteri
Il punto di fondo quale è: se, in un dilemma morale, un criterio qualsiasi come l’età del malato da solo non è in grado di garantire una scelta veramente giusta, viene da pensare che la soluzione sia usare più criteri cioè affidarsi ad una analisi multifattoriale, ma così facendo il criterio dell’età perderebbe di cogenza cioè diventerebbe un criterio tra i tanti criteri.
 
Ma nel momento in cui entriamo nella logica dei meta criteri  scattano due questioni
- il concetto di criterio da un punto di vista epistemico perde di importanza mentre acquistano valore le competenze, le capacità, le abilità di chi giudica e che si serve di così tanti criteri. Già applicare un criterio come si deve è un problema ma per gestire tanti criteri bisogna essere bravi,
- la decisione sul malato non è più solo dell’anestesista ma diventa  multidisciplinare, l’anestesista deve condividere la sua decisioni con altri medici e questo pone un grosso problema di titolarità.
 
Alla fine, nel dilemma morale, ipotizzato dalla Siaarte:
- non è il criterio che garantisce la copertura morale all’anestesista ma è la sua bravura a giudicare e ad agire in una complessità,
- ma la bravura alla fine diventa, oltre quella del singolo, anche quella di un  gruppo di valutazione.
 
Meglio un buon anestesista che un buon criterio
Nel dilemma morale per me è l’anestesista non il criterio che diventa la prima garanzia per qualsiasi malato. E’ la persona la migliore garanzia per un’altra persona. Quello di cui tutti dovremmo preoccuparci è di avere dei bravi anestesisti non solo dei buoni criteri.
 
Anche questa idea ha dietro una teoria etica che è quella che  si riferisce alle virtù, cioè alle qualità del medico, alla quale molte delle 100 tesi si sono ispirate. Si tratta di un’etica che non assume solo i princìpi deontici come base della moralità, e nemmeno le conseguenze che derivano dalle scelte che si compiono, ma considera basilari le virtù le abilità le capacità del medico che agisce.
 
Ribadisco quello che ho detto tante volte: nessun atto medico è indipendente dal medico quale agente. Nelle 100 tesi si ripete ad ogni piè sospinto che per definire un nuovo medico le competenze non bastano più servono nuove capacità nuove abilità, cioè servono le virtù.
 
Per questo tipo di etica:
- i princìpi deontici derivano quindi dall’esercizio delle virtù, quello che un tempo si chiamava semplicemente e sinteticamente “scienza e coscienza”,
- la moralità non ha a che fare con l'obbligatorietà dell'azione come teorizza la Siaarti, ma con le qualità dell’anestesista che sceglie e decide anche con gli altri in scienza e coscienza cioè in modo morale.
 
Davanti al dilemma morale non si tratta tanto di cavarsela ricorrendo a dei criteri ma di essere virtuosi quindi competenti e saggi al fine di giudicare come si deve le situazioni e le contingenze reali usando anche ma non solo i criteri che si hanno.  
 
Personalmente, in un dilemma morale, al buon criterio preferirei un buon medico. Con il medico mi sentirei più garantito nelle mie complessità con il criterio molto meno. I criteri non guardano in faccia a nessuno mentre in medicina è obbligatorio guardare in faccia ogni singolo malato.
 
Più virtù e meno criteri
La mia idea di puntare sul medico e non sul criterio ovviamente, da al medico un forte potere decisionale e quindi anche una bella autonomia e una bella responsabilità. Si rende quindi necessario predefinire un sistema di garanzie sia per coprire giuridicamente l’anestesista che decide, sia per coprire l’interesse del malato sul quale l’anestesista decide.
 
Anche tra gli anestesisti esistono gli imbecilli dai quali come si sa i malati hanno solo da perdere e tra costoro, non si offenda nessuno, annovererei coloro che usano automaticamente i criteri a loro disposizione.
 
Mi rendo conto tuttavia che la mia idea del bravo anestesista si espone ad una obiezione: ma noi anestesisti più bravi di come siamo, come è possibile?  Siamo già bravi quale è il problema? Fateci solo lavorare.
 
In realtà gli anestesisti come tutti i medici sono bravi in relazione al loro paradigma formativo quindi rispetto alle loro competenze ma in una società che muta o nei dilemmi morali che sorgono, essi pur bravi sono costretti a diventare più bravi di quello che già sono. E’ così scandaloso diventare più bravi?
 
Per me come ho spiegato nel mio libro “l’evidenza scientifica in medicina, l’uso pragmatico delle verità” (Nexus), diventare più bravi significa essere medici meno convenzionali cioè meno dipendenti dai criteri che decidono per nostro conto e più pragmatici cioè più abili nell’usare i criteri nelle complessità al fine di raggiungere comunque dei risultati.
 
Il medico pragmatico
“Il medico pragmatico” è l’ultimo capitolo di questo mio libro con il quale cerco di spiegare non solo la differenza tra un medico convenzionale e un medico pragmatico, cioè le diverse epistemologie, ma anche in cosa consiste dal punto di vista epistemico essere un medico pragmatico.
 
Io che insegno in una facoltà di medicina ormai da anni posso dire che ancora oggi la formazione di un medico è prevalentemente di tipo convenzionale e in nessun modo essa ha i caratteri del pragmatismo.
 
Sia chiaro il pragmatismo a cui mi riferisco è quello di Pierce, di James, Dewey, di Mead, e più recentemente di Rorthy di Putnam di Quine e in Italia di Papini Prezzolini Vailati, non la semplice pratica del buon senso che tutti i medici di buon senso praticano e hanno sempre praticato nel servirsi delle regole del loro paradigma. Ogni regola nella sua applicazione implica sempre un po di buon senso, cioè dei margini di interpretazione, ma questo non è quello che io intendo per pragmatismo.
 
Il medico pragmatico è formato per ragionare in modo diverso da un medico convenzionale:
- il primo si sforza di essere adeguato alla realtà complessa e per farlo  spesso naviga a vista,
- il secondo si sforza di essere appropriato alle regole che deve rispettare e quindi non fa nulla senza l’autorizzazione di un metodo.

Il medico pragmatico:
- non corre mai il rischio di essere appropriato o proporzionale alla malattia come dice la Siaarti  e nello stesso tempo di essere inadeguato nei confronti della complessità del malato e della situazione,
- nel dilemma morale per fare una scelta non si affida mai ad un solo criterio ma usa tutto se stesso quindi le sue competenze le sue esperienze e soprattutto  le sue virtù.

Non bastano i criteri a creare la fiducia nella gente
Da molti anni, come si sa, studio i gravi problemi che esistono tra la medicina scientifica e la società e da molti anni cerco di disincagliare la nostra medicina come se fosse un carro impantanato in una buca, e, la cosa che ho notato, è che essa più ha problemi di fiducia con la società e più cerca criteri per giustificare le proprie scelte e proteggersi dalla disapprovazione sociale.
 
La sensazione che ho, a naso sia chiaro, è che il ricorso ai criteri sembra aumentare in modo inversamente proporzionale con la diminuzione della fiducia sociale. L’esempio dell’ebm è emblematico come il trionfo del proceduralismo.
 
La ricerca dei criteri da parte della medicina, a partire da quello sommo dell’evidenza, vale ovviamente come il tentativo di accrescere il suo grado di scientificità, il che significa che al problema della sfiducia sociale la medicina cerca di rispondere offrendo più scienza, più procedure, più algoritmi. In realtà per tante ragioni, che non sto a dire, questa società vuole certamente una buona criteriologia medica, ma soprattutto vuole dei medici affidabili.
Per avere la fiducia sociale di cui i medici hanno bisogno, oltre le competenze, ovviamente indispensabili, servono anche le virtù, le capacità, le abilità, servono dei medici di cui fidarsi.
Definisco affidabilità non la certezza che il medico agisca in modo corretto, ma la certezza che egli, faccia sempre del suo meglio, in qualsiasi circostanza.
 
Conclusioni
La Siaarti nel bel mezzo di una epidemia di coronavirus, con le sue raccomandazioni di etica clinica, ha tentato di garantire agli anestesisti una certa copertura morale, ma la vera copertura morale, per me non viene dall’uso di un criterio deciso a tavolino dagli anestesisti, ma dalla fiducia sociale cioè dalla gente che si fida degli anestesisti e delle loro virtù approvandone caso per caso l’operato.
 
Ivan Cavicchi
 
(Seconda e ultima parte, leggi la prima parte)
25 marzo 2020
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