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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Studi e Analisi

Suicidio assistito. Il “pastrocchio” della Fnomceo

di Maurizio Mori
immagine 7 febbraio - Seguendo in pieno la linea dell’Associazione Medici Cattolici, la Fnomceo ha mantenuto intatto l’art. 17 (“Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte”), limitandosi a prevedere l’eccezione circa la non punibilità deontologica nei casi previsti dalla Sentenza della Consulta. A pelle sembra sia l’ennesimo “pastrocchio” escogitato per far finta che non sia successo nulla, nella speranza di riuscire a assorbire il colpo senza troppi traumi
In un precedente intervento (QS, 19 dicembre 2019) ho sostenuto che la Sentenza 242/19 della Corte Costituzionale aveva “aperto un’autostrada al diritto di morire”. Rilevavo come l’Italia fosse di colpo balzata all’avanguardia nel mondo, ma il nuovo grande passo non avesse suscitato né grosse polemiche né aspri contrasti.
 
Per esempio, il vice Presidente dell’Amci, dr. Giuseppe Battimelli, si era limitato a rilevare con tranquillità e pacatezza che la Sentenza “indubbiamente […] cambia il paradigma dell’arte medica ma nello specifico non cambia la sua deontologia e neppure il codice deontologico”, forse perché l’assistenza al suicidio per ora è consentita solo “per casi particolari e rari”.
 
La morte, però, riguarda tutti e ciascuno: l’introduzione del diritto di morire cambia l’intero paradigma medico più di altre modifiche limitate solo a alcuni (es. l’aborto). Per questo, mi risultava incomprensibile che si riconoscesse il radicale cambiamento del paradigma medico e che, allo stesso tempo, si dicesse che tuttavia non era richiesto alcun cambiamento delle norme morali che regolano il paradigma.
 
Per cercare di spiegare questa palese contraddizione, avevo avanzato un’ipotesi psicologica: di fronte a un fatto fortemente sgradito capita che si reagisca negando la realtà e facendo come se nulla fosse successo. Riconoscevo che la “negazione di realtà” è reazione a volte comprensibile sul piano personale, ma auspicavo che i medici evitassero quell’atteggiamento e rispondessero alle sollecitazioni della storica Sentenza “con la stessa apertura di pensiero”.
 
Il richiamo al contributo del dicembre scorso si è reso necessario perché il 6 febbraio 2020 il Consiglio nazionale della Fnomceo ha approvato gli “Indirizzi applicativi all’art. 17 ai sensi della Sentenza 242/19 della Corte Costituzionale”, aggiungendo al Codice di Deontologia Medica (CDM) 2014 il seguente testo: “La libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Corte Costituzionale e relative procedure), va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora sussistano tutti gli elementi sopra indicati, la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare”.
 
Seguendo in pieno la linea dell’Amci (Associazione Medici Cattolici Italiani), la Fnomceo ha pensato di non modificare in nulla il CDM 2014, di mantenere intatto l’art. 17 (“Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte”), e di limitarsi a prevedere l’eccezione circa la non punibilità deontologica nei casi previsti dalla Sentenza.
 
In breve, cambia tutto il paradigma medico, ma non si modifica nulla del Codice! A parole si afferma il divieto generale e assoluto di non accogliere mai la richiesta del malato e di mai “effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte”, e poi in pratica lo si annulla dicendo che si può fare diversamente in alcuni casi. A pelle sembra sia l’ennesimo pastrocchio escogitato per far finta che non sia successo nulla nella speranza di riuscire a assorbire il colpo senza troppi traumi: qualcosa di simile a quando si nasconde la cenere sotto il tappeto per rimediare a un guaio improvviso.
 
Può darsi che in effetti per un po’ qualcuno non si accorga di nulla, e che nel frattempo si consolidino i già buoni rapporti tra l’attuale dirigenza Fnomceo e il fronte cattolico (cfr. Avvenire, è vita, 30 gennaio 2020, p. 14).
 
Ma prima o poi le difficoltà emergeranno, e salterà fuori che gli Indirizzi applicativi all’art. 17 sono un pastrocchio: aspetto che emerge con chiarezza non appena si confronti quel testo con le dichiarazioni del Presidente Fnomceo dr. Filippo Anelli fatte qualche mese fa (“I dottori salvano vite. All’eutanasia preferiamo Ippocrate”, La Verità, 17 aprile 2019). Allora Anelli affermava:
1. quand’anche il legislatore avesse ritenuto non “più sussistente la punibilità del medico che agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione del suicidio, restano valide e applicabili le regole deontologiche attualmente previste dal Codice” che da 2.400 anni vietano “arti a favore della morte, di conseguenza noi medici siamo sempre stati considerati custodi della vita”;
 
2. pur avendo il Codice subito alcuni cambiamenti (esempio l’aborto), sul morire “noi non intendiamo rinunciare ai nostri valori, […] riteniamo il Codice deontologico esaustivo dell’argomento […] La soluzione non è mai la morte”;
 
3. come medici e “uomini di scienza” non vogliamo “radicalizzare lo scontro”, ma piuttosto “capire per dare risposte alle persone. Crediamo di essere in grado di darle”, e le diamo essendo “al servizio dei cittadini e […] recuperando in pieno l’identità di medici”;
 
4. un eventuale permesso di suicidio assistito sarebbe vano perché “dare la morte a una persona è esattamente il contrario del motivo per il quale il 100% dei medici ha scelto questa missione o professione che sia”.
 
Gli Indirizzi applicativi all’art. 17 sono in pratica una smentita di ciascuna tesi.
1a) Il Codice deontologico era stato dichiarato immutabile e prioritario rispetto alla normativa statale, ma ora vediamo che è modificabile e soprattutto che è subordinato al diritto. È inutile far finta di nulla o negare la realtà: gli “Indirizzi applicativi all’art. 17” del 23 gennaio hanno posto fine a 2.400 anni di storia! È di questo che si tratta!
 
2a) Non solo circa l’aborto e la riproduzione il Codice è mutato e si è rivelato essere non-esaustivo, ma lo è anche circa il morire: anche su questo i medici hanno rinunciato ai valori originari e millenari, e ora a riconoscono che qualche volta la morte è diventata la soluzione (non sanzionabile deontologicamente). Hanno aperto un forellino nella diga, e questo si allargherà: non sappiamo in che tempi, ma … ci sono solidi indizi per dire che capiterà.
 
3a) Ancor più importante, gli Indirizzi applicativi all’art. 17 rendono palese che i medici non sono stati in grado di capire le esigenze delle persone, e che l’appello alla “identità di medici” non ha dato risposte efficaci. Di fatto ora il Codice riconosce ai medici di avere identità diverse e consente a alcuni di non essere “i custodi della vita”.
 
4a) Anelli aveva affermato che il 100% dei medici sarebbe stato indisponibile a fornire assistenza al suicidio, mentre ora salta fuori che ci sono medici disposti a fornirla. Non sappiamo quanti siano, e sarebbe interessante cercare di conoscerlo. In ogni caso la presenza di questi medici mostra che Anelli o non aveva il polso della situazione o non ascoltava abbastanza i colleghi (o ne metteva a tacere la voce).
 
L’approvazione degli Indirizzi applicativi all’art. 17 per un verso si rivela essere una netta sconfessione della linea sostenuta dall’attuale dirigenza dei medici italiani, e per l’altro mostra come la stessa dirigenza continui a riproporre l’usuale stile di controllo dall’alto e ideologico limitandosi a individuare soluzioni-tampone per salvare capre e cavoli.
 
Invece di insistere nella direzione dei ritocchi minimalisti, la modifica dell’art. 17 CDM non avrebbe potuto essere un’ottima occasione per aprire sul tema del morire un dibattito pubblico ampio e aperto a tutta la società? Così facendo i medici avrebbero potuto, e forse ancora potrebbero, mettersi alla testa della riflessione e anche riuscire a riprendere la leadership intellettuale su questioni centrali del paradigma medico e della loro professione.
 
Perché una Presidenza che ha gli Stati Generali come fiore all’occhiello programmatico non ne ha convocato una specifica sessione al fine di far emergere il risultato da quella riflessione? Non è che si è preferito lasciare la decisione ai soliti pochi per paura che la convocazione degli Stati Generali sul problema avrebbe potuto portare a radicali sorprese e cambiamenti, come peraltro è già avvenuto altre volte nella storia?
 
La risposta a questi interrogativi comporterebbe la disamina di questioni difficili e non può essere data qui. Resta che di fronte agli Indirizzi applicativi all’art. 17 si ha l’impressione che siano un pastrocchio estemporaneo escogitato per intorbidare le acque, prendere tempo e stare a vedere che succede. L’attuale dirigenza Fnomceo ripropone l’“identità medica” di stampo ippocratico come risposta globale alle tante problematiche della “questione medica”.
 
Poiché la proposta non incontra grandi favori, si preferisce tirare a campare sperando che non capiti il peggio o forse presagendo che “dopo di me, il diluvio”. D’altro canto, nella nostra società l’esigenza di approfondire le ragioni della morte volontaria non è più rimandabile: l’auspicio è che i medici rompano gli indugi e affrontino di petto il problema, e sulla scorta di quella riflessione a tutto campo ripensino l’intero Codice e forse anche altri aspetti della professione. Se non lo faranno, altri provvederanno a farlo per loro, e ci sarà poi una qualche forma di adeguamento analoga a quella adottata ora.
 
Maurizio Mori
Ordinario di bioetica e filosofia morale, Università di Torino
Presidente della Consulta di Bioetica Onlus
Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica
Direttore di Bioetica. Rivista interdisciplinare
7 febbraio 2020
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