Oggi come non mai è acceso in ambito scientifico e non solo, il dibattito sulla sostenibilità dei vari Sistemi Sanitari. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale è stato nel corso del tempo considerato da molte organizzazioni internazionali uno dei migliori, sulla base di tre indicatori:
• il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione;
• la risposta alle aspettative disalute e di assistenza sanitaria dei cittadini;
• la garanzia della tutela del diritto alla salute e alle cure sanitarie a tutta la popolazione.
Secondo un citatissimo studio di Bloomberg, ripreso a intermittenza nel nostro Paese dalla stampa di settore e generalista, la sanità italiana è da podio, la terza al mondo.
Secondo la classifica stilata dall’agenzia americana, infatti, rappresentiamo il top in Europa in termini di efficienza ed efficacia. A livello mondiale ci superano soltanto Singapore e Hong Kong.
Analizzando nel dettaglio lo studio si scopre che gli indicatori utilizzati per elaborare la classifica sono stati:
1) l’aspettativa di vita;
2) il costo del sistema sanitario in % sul Pil;
3) il costo del sistema sanitario pro-capite;
4) la variazione dell’aspettativa di vita rispetto al 2013 (in anni);
5) la variazione del costo della sanità pro capite;
6) la variazione del Pil pro-capite;
7) l’indice di inflazione.
Certamente classificare i sistemi sanitari in base all’efficienza (intesa come il raggiungimento dell’obiettivo prestabilito con il minor quantitativo possibile di risorse ovvero il raggiungimento dei più alti livelli di performance in relazione alle risorse disponibili) è un importante esercizio di tecnica, utilissimo agli addetti ai lavori per fotografare da una specifica angolatura la tenuta di un sistema complesso quanto quello sanitario, ma basta veramente per determinare chi meglio di altri rispetta il diritto alla tutela della salute, oggi e in chiave prospettica?
E rapportare l’efficienza del sistema all’aspettativa di vita, e non a specifici esiti di salute, siamo sicuri valuti realmente i risultati di un sistema sanitario? Oppure c’è il rischio di un bias di analisi, ovvero di fotografare risultati “ereditati” frutto di condizione genetica e tradizioni culturali che solo in parte (forse) dipendono dalle azioni di politica sanitaria, operate dalla nostra società?
È innegabile che anche l’Italia stia vivendo, come in realtà la gran parte dei Paesi europei, una profonda crisi economico-finanziaria che ci chiede di ripensare un modello di assistenza che sia compatibile e solidale con le esigenze dei cittadini, ma al contempo anche con quelle del contenimento della spesa, tale da assicurare, anche alle prossime generazioni, un’assistenza sanitaria pubblica e universale.
Un possibile aiuto potrebbe arrivare dalla comprensione dei meccanismi che oggi rappresentano, nel mondo, strategie vincenti di governance e sostenibilità dei sistemi sanitari dove sono operanti, attraverso un’analisi che sia tesa a cogliere quanto di buono c’è ed è stato fatto specie nella prospettiva di un miglioramento continuo, della gestione e dei risultati propri del Bene Salute.
Capire processi interni ed esterni per poi tracciare nuove vie verso Sistemi Sanitari universali, efficaci, integrati e di qualità rappresenta oggi un interesse comune improrogabile. La riflessione è tesa proprio a realizzare concretamente il tentativo di disegnare nuove vie per il nostro (e non solo nostro) SSN.
Nelle more di un cambiamento teso al miglioramento del Sistema Salute e che tenga conto delle prospettive future a partire proprio dai processi che ne hanno caratterizzato la forma attuale, confrontarsi con altri Paesi assume un valore strategico così come confrontarsi con l’evoluzione demografica, epidemiologica, culturale e sociale del nostro Paese.
Per rendere possibile il cambiamento, quindi, occorre mettere assieme tutte le energie, confrontare le buone pratiche, creare un rapporto sinergico fra tutti i protagonisti coinvolti, responsabilizzare tutte le istituzioni che operano a vari livelli e, soprattutto, (ri)realizzare un Servizio sanitario sostenibile, che abbandoni l’idea di sanità come semplice voce di costo per concentrarsi, invece, sul concetto di salute come valore e occasione di investimento per il nostro Paese, in grado di essere più vicino alle persone e ai bisogni di salute che esse esprimono.
Siamo arrivati al punto di svolta e il rischio è di disperdere i risultati raggiunti grazie al Servizio Sanitario Nazionale. Un tesoro inestimabile da difendere e supportare, soprattutto in un momento di generale difficoltà perché, come affermò Aneurin Bevan, padre del National Health Service inglese fondato negli anni del dopo guerra, “è nei momenti di difficoltà e preoccupazione, economica e sociale, che si misura la civiltà di una nazione”. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale rappresenta, ancora de per molti, un bene comune da difendere, potenziare, innovare ed è un dovere di tutti concorrere al raggiungimento di questo obiettivo.
L’evoluzione dei modelli sanitari internazionali a confronto è utile per costruire il Servizio sanitario nazionale del futuro. “Quale futuro?” è una domanda interessante, soprattutto considerando l’attuale situazione politico-economica e demografica e la rapidità di cambiamento che caratterizza moltissimi scenari economico-sociali a livello mondiale.
Cercare di individuare dei punti di riferimento per tracciare al meglio alcune linee di sviluppo dei sistemi sanitari è un percorso ulteriormente complesso considerando che un sistema sanitario, al netto delle proprie peculiarità, è strettamente connesso al contesto di riferimento. Da qui deriva l’importanza di un corretto disegno di un sistema sanitario per lo sviluppo di un sistema Paese, nonché l’esigenza di orientarsi verso modelli innovativi e sostenibili di sistemi sanitari che costituiscano non solo un valore di per sé, ma anche un driver per la crescita sotto il sempre più stringente vincolo della sostenibilità economica e finanziaria.
Dal punto di vista economico-finanziario, infatti, si assiste generalmente sul panorama internazionale ad una contrazione delle risorse disponibili, seguita spesso da politiche di tagli alla spesa e riduzione del finanziamento per i servizi sanitari. Sul versante clinico-assistenziale, si assiste invece da un lato ad un’evoluzione epidemiologica con invecchiamento della popolazione, aumento delle cronicità e delle malattie non trasmissibili; dall’altro all’impiego di metodologie di cura con requisiti tecnologici, assistenziali e farmacoterapici sempre più avanzati e costosi.
Entrambi i fenomeni comportano una maggiore richiesta di spesa e contrastano evidentemente sul piano dell’assorbimento delle risorse con i sempre più stringenti vincoli di bilancio che i vari Paesi si trovano a dover gestire. Di fronte a questi stimoli proposti dall’ambiente esterno nessun sistema rimane immobile e le sfide per il cambiamento possono trovare soluzioni varie e diverse, ed ogni sistema è un laboratorio per la verifica dell’efficacia delle stesse.
I Paesi europei sono tutti impegnati nello sviluppo della propria organizzazione sanitaria, al fine di ottimizzare le risorse impiegate e trasferire la maggior salute possibile ai propri cittadini e lo fanno seguendo dei percorsi autonomi che però-per varie cause di natura demografica, normativa, migratoria - talvolta si incrociano e convergono, talvolta divergono.
Alcune tematiche in materia di riorganizzazione dei sistemi sanitari, come l’ampiezza della tutela e della copertura offerte, lo sviluppo delle cure primarie, la riorganizzazione dell’offerta ospedaliera, la massimizzazione degli outcome, la composizione della spesa, ed alcuni elementi quali l’osservazione degli amenable diseases e la vita in salute forniscono validi strumenti per la lettura di questi percorsi.
Obesità, sigarette e alcol pesano sulle aspettative di vita degli italiani, che pure si piazzano secondi per longevità in Europa, con una speranza di vita alla nascita di 83 anni, 2 anni in più della media Ue.
L'Italia primeggia in Europa anche per quello che i cittadini spendono di tasca propria, per curarsi: la spesa 'out of pocket' è pari al 23,5% della spesa sanitaria totale contro il 16% degli altri Stati membri.
A metterlo in luce è il rapporto "
State of health in the Eu" della Commissione europea e dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd), che scatta una fotografia dello Stato di salute degli italiani e del nostro sistema sanitario.
Nel 2017 l'Italia ha destinato alla sanita' l'8,8% del Pil, ovvero una percentuale inferiore alla media dell'Unione Europea, che è del 9,8%. In compenso, la quota dei pagamenti a carico dei pazienti nella spesa sanitaria nell'ultimo decennio è passata dal 21% del 2009 al 23,5% del 2017, cifra del 7,5% superiore alla media dell'Ue. Il 40% di quello che gli italiani sborsano di tasca propria e' destinato ad esami e visite mediche, incluse quelle dal dentista.
I farmaci rappresentano circa il 30% e il restante è dovuto al prezzo dei ticket e alla differenza di prezzo tra il farmaco 'di marca' acquistato in farmacia e quello del prodotto equivalente meno costoso.
Gli italiani sono al secondo posto tra i più longevi dietro agli spagnoli. Un buon risultato ma migliorabile, visto che circa un terzo dei decessi avvenuti nel nostro Paese è legato a fattori di rischio evitabili. A partire dal consumo di tabacco, che continua a rappresentare uno dei principali problemi di salute pubblica, con il 25% degli uomini che fuma quotidianamente. L'obesità tra gli adulti ha registrato un aumento negli ultimi 15 anni, passando dal 9% del 2003 all'11% del 2017. Il consumo di alcolici è diminuito di circa il 20% dal 2000, ed è attualmente tra i più bassi dell'Ue, ma un terzo degli adolescenti italiani non rinuncia alle abbuffate alcoliche.
L'Italia, ricorda il report, registra inoltre il maggior numero di decessi per infezioni resistenti agli antibiotici nell'Ue, con circa 10.000 decessi l'anno. Tra i problemi del sistema sanitario, infine, "la digitalizzazione che procede a ritmi diversi a seconda delle regioni". A dimostrarlo sono i numeri: nel 2019 in 7 regioni nessun medico si e' mai avvalso delle cartelle cliniche elettroniche, mentre in 8 regioni le hanno utilizzate oltre l'80% dei medici.
Su tutto ciò si inserisce la riflessione “Il Servizio sanitario nazionale guarda al futuro - Verso nuovi e più evoluti schemi di governance” (edizione Egea) scritto dal Dott. Andrea Urbani Direttore Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute.
Condivido molte delle riflessioni ed analisi condotte da Urbani, soprattutto quelle finalizzate “ad alzare lo sguardo oltre la gestione del corrente e ad immaginare una visione di sostenibilità, che richiede nuovi e più evoluti schemi di governance”.
Un invito, come scrive nel libro, a guardare la luna e non il dito.
Naturalmente questo va fatto non dimenticando mai che il sistema salute nel suo complesso vive e si nutre dentro il più generale sistema economico e sociale, che presenta nel vecchio continente non pochi fattori di crisi sistemica e che da noi si condensano in bassa crescita ed evasione fiscale assai elevata. Tutto ciò determina gravi problemi di sostenibilità del nostro sistema sanitario e di squilibrio dell’universalismo.
L’universalismo del nostro tempo presenta molte crepe e disuguaglianze sociali e territoriali, per le quali non si può che salutare con favore il fatto che il ministro Speranza abbia abolito il superticket, garantito l’aumento del FSN di parte corrente e degli investimenti, garantito le risorse umane con gli incrementi contrattuali e le possibili nuove assunzioni dentro una manovra stretta e difficile per il triennio.
Ma ciò che vedo necessario per il futuro, per tenere lo sguardo alto, è ragionare su ciò che è possibile mettere in campo tenendo conto delle innovazioni scientifiche e tecnologiche che avanzano impetuose nella sanità di oggi ed ancor più di domani, per essere davvero pronti con più evoluti schemi di governance a tutela della salute e di un nuovo universalismo dei diritti e delle opportunità.
C’è qualcosa che manca dentro le riflessioni acute del Dott. Urbani: il ruolo delle reti informatiche e dell’IA. Non so se è una scelta voluta o sia stato un tenere conto dello scarso dibattito pubblico che vi è nel nostro paese.
Ma programmare il futuro senza l’IA per gli anni a venire sarà molto difficile. Ho provato ad immaginare che cosa succederebbe in una giornata tipicamente fredda, nel gennaio 2030, e cosa potrebbe essere il picco della stagione influenzale. Oggi, in questo periodo dell'anno, gli ospedali e gli studi medici traboccano di malati in attesa di essere visti. Domani medici e pazienti si muoveranno molto più facilmente attraverso il sistema e dentro il sistema.
Cosa sarà cambiato? L'assistenza “connessa” sarà diventata una realtà. Dopo anni di immensa pressione sui sistemi sanitari, senza abbastanza professionisti medici qualificati, per prendersi cura delle loro popolazioni in rapida crescita ed invecchiamento e dopo che scoperte in potenti attivatori di tecnologia, come la scienza dei dati e l'intelligenza artificiale (AI) si saranno affermati, lo scenario sarà completamente diverso.
L'intelligenza artificiale può ora rivelare modelli attraverso enormi quantità di dati che sono troppo raffinati o complessi per essere rilevati dalle singole persone.
Lo fa aggregando informazioni provenienti da più fonti che fino ad oggi, 2020, sono rimaste intrappolate in silos verticali, dai centri di ricerca alle strutture sanitarie di vario ordine e grado, alle strutture amministrative territoriali, regionali e nazionali inclusi i dispositivi domestici non connessi e lenti, cartelle cliniche e, sempre più, dati non medici, che esistono ma che sopravvivono viaggiando da soli.
La prima grande conseguenza di ciò è che nel 2030 i sistemi sanitari saranno in grado di fornire un'assistenza sanitaria preventiva e proattiva.
Entro il 2030, l'IA accederà a più fonti di dati per rivelare modelli di malattia e aiutare il trattamento e l'assistenza.
I sistemi sanitari saranno in grado di prevedere il rischio individuale di determinate malattie e suggerire misure preventive.
L'intelligenza artificiale aiuterà a ridurre i tempi di attesa per i pazienti e a migliorare l'efficienza negli ospedali e nei sistemi sanitari e la qualità delle cure.
L'intelligenza artificiale e le analisi predittive ci aiutano a capire di più sui diversi fattori della nostra vita che influenzano la nostra salute, non solo quando potremmo avere l'influenza o quali condizioni mediche abbiamo ereditato, ma cose relative a dove siamo nati, cosa mangiamo , dove lavoriamo, quali sono i nostri livelli di inquinamento atmosferico locale o se abbiamo accesso ad alloggi sicuri e a un reddito stabile. Questi sono alcuni dei fattori che l'Organizzazione mondiale della sanità definisce "i determinanti sociali della salute" (SDOH).
Nel 2030, ciò significa che i sistemi sanitari possono prevedere quando una persona è a rischio di sviluppare una malattia cronica, per esempio, e suggerire misure preventive prima che peggiorino. Questo sviluppo determinerà che i tassi di diabete, insufficienza cardiaca congestizia e BPCO (cardiopatia ostruttiva cronica), tutti fortemente influenzati da SDOH, potranno essere tutti fortemente in declino.
Accanto alla cura predittiva arriverà un'altra svolta legata al luogo in cui tale cura avrà luogo. Nel 2030, un ospedale non sarà più un grande edificio che copre una vasta gamma di malattie; si concentrerà sulle procedure altamente complesse, mentre i casi meno complessi ed urgenti, potranno essere monitorati e trattati attraverso hub e strutture più piccole, come day surgery day hospital, strutture di trattamento specializzate e persino case della salute e delle famiglie. Come sto vedendo si comincia a fare in Svezia, Finlandia, Olanda e si sta cominciando a studiare e programmare nei Land tedeschi.
Queste nuove realtà e strutture sono collegate a un'unica infrastruttura digitale. I centri di comando centralizzati analizzano i dati clinici e di localizzazione per monitorare l'offerta e la domanda attraverso la rete in tempo reale. Oltre a utilizzare l'IA per individuare i pazienti a rischio, questa rete può anche rimuovere i colli di bottiglia nel sistema e garantire che i pazienti e gli operatori sanitari siano indirizzati verso dove possono essere curati meglio o dove sono maggiormente necessari.
La colla che lega insieme questa rete non è più la posizione, il comando, variabili tipiche dei modelli di governance verticali. Sono le esperienze delle persone, le organizzazioni a governance orizzontale, che ci portano alla terza grande differenza che vedremo nel 2030.
Perché le esperienze di governance orizzontale sono così importanti? Per i pazienti, la ricerca ha da tempo dimostrato che possono avere un effetto diretto sul miglioramento o meno della salute, la domiciliarizzazione, l’integrazione, la telemedicina il telesoccorso . Per i clinici, le migliori esperienze lavorative connesse, sono diventate sempre più urgenti perché la formazione sia sempre più continua e di qualità con un uso appropriato delle nuove tecnologie e con un rinnovato bisogno di autonomia e responsabilità.
Un decennio che occorre lasciarsi alle spalle perché tutto il personale sanitario ha iniziato a soffrire di enormi tassi di burnout , principalmente causati dallo stress di cercare di aiutare troppi pazienti con poche risorse, ubbidendo a gerarchie amministrative, a loro volta ubbidienti al potere politico. Occorre nella nuova governance orizzontale riappropriarsi del potere di autonomia decisionale e di responsabilità, che non vuol dire assenza di regole, ma condivisione e scelte comuni nella chiarezza degli obiettivi da raggiungere.
Nel 2030, le reti sanitarie predittive basate sull'intelligenza artificiale contribuiranno a ridurre i tempi di attesa, a migliorare i flussi di lavoro del personale e ad affrontare l'onere amministrativo con intelligenza e meno vessazione burocratica.
Più l'IA viene utilizzata nella pratica clinica, più i medici stanno crescendo per fidarsi di essa, per aumentare le proprie competenze in settori quali la chirurgia e la diagnosi.
Imparando da ogni paziente, ogni diagnosi e ogni procedura, l'IA crea esperienze che si adattano al professionista e al paziente. Ciò non solo migliora i risultati sulla salute, ma riduce anche la carenza e il burnout del medico e di tutte le altre figure professionali che agiscono nel sistema salute, garantendo al contempo una sostenibilità finanziaria del sistema ed il raggiungimento degli obiettivi.
Questo sistema in rete si estenderà sempre più sulle comunità e sarà alimentato da cure connesse, unendo persone, luoghi, hardware, software e servizi - creando vere reti di assistenza che migliorano la salute e il benessere per una migliore qualità della vita.
Nel 2020, siamo ancora molto lontani dal raggiungimento di questa visione. Tecnologia inarrestabilmente complessa, sistemi informatici e dati di sistema non sempre interopereabili impediscono ancora i flussi di lavoro del personale e minacciano la continuità delle cure nelle aree cliniche in cui vengono utilizzati per aiutare a diagnosticare, trattare, monitorare e, si spera, prevenire e curare le malattie.
Ciononostante, vedo che l’uso della IA può diventare realtà. I sistemi intelligenti sono già in grado di svolgere compiti esperti e aumentare le capacità umane. Vi sono esempi che includono l'intelligenza artificiale in grado di rilevare lesioni cancerose su un'immagine, analizzare e quantificare le note del medico o ottimizzare il flusso del paziente nelle cure di emergenza. All'interno degli ospedali, l'applicazione dell'analisi predittiva abilitata all'intelligenza artificiale sta già contribuendo a salvare vite umane in unità di terapia intensiva. Al di fuori degli ospedali, sta aiutando a identificare determinati gruppi a rischio in modo che l'assistenza primaria o di comunità preventiva, possa ridurre la necessità di ricoveri ospedalieri.
Ma è un viaggio lungo e complesso che nessuna singola azienda o organizzazione può fare da sola. Credo che l’impulso debba venire fortemente dai vari livelli di governo del sistema. I sistemi sanitari nel loro complesso debbano continuare a lavorare insieme al fine di garantire che i sistemi di intelligenza artificiale siano pienamente interoperabili e trasparenti e prevengano errori e disuguaglianze. Tutto ciò può aiutare il passaggio da governance verticali a governance orizzontali. Proprio mentre l'assistenza sanitaria continua a globalizzarsi, la necessità di standard internazionali che proteggano il modo in cui l'IA utilizza i dati personali diventa una priorità urgente. E noi dall’Europa possiamo giocare un grande ruolo in senso solidaristico e non mercantile.
Forse soprattutto, credo che dobbiamo tenere in mente che l'uso più potente dell'IA è quello di migliorare le capacità umane, non di sostituirle.
Il cuore dell'assistenza connessa non è la nuova tecnologia, è la gente: le persone che devono essere curate e le persone che lavorano così instancabilmente per consegnare più salute a tutti noi.
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla Sanità