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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Studi e Analisi

A chi spetta l’informazione al paziente? Ecco perché non sono d’accordo con Benci e Rodriguez

di Ivan Cavicchi
immagine 23 dicembre - La loro tesi, secondo la quale l’informazione spetta ad ogni professionista sanitario e non solo al medico, è assertiva e categorica e per come ci è proposta non ammette dubbi. In realtà non è così. Quello che loro sostengono è una discutibile quanto opinabile forzatura della normativa disponibile
Nel clima conflittuale che si è creato in queste settimane sulle competenze avanzate, la tesi di Benci e Rodriguez “l’informazione al paziente spetta ad ogni professionista sanitario, non solo al medico” (QS, 20 dicembre 2019) un remake di un vecchio articolo di Benci di qualche tempo fa (QS, 1 novembre 2018) secondo me, può creare inutile confusione e suggerire aspettative improbabili.
 
Per me, questa tesi, come dimostrerò non è altro che un’opinione con la pretesa strumentale di essere una verità perentoria.
 
L’articolo merita di essere analizzato per le logiche sottintese usate e per le intenzioni più o meno implicite che gli autori loro malgrado tradiscono, e quindi per fare un qualche ragionamento sul valore della responsabilità.
 
Una tesi fallace
La tesi che Benci e Rodriguez ci ripropongono è assertiva e categorica e per come ci è proposta non ammette dubbi. In realtà non è così. Quello che loro sostengono è una discutibile quanto opinabile forzatura della normativa disponibile.
 
Ma seguiamo i vari passaggi del loro ragionamento.
 
La prima cosa che essi fanno è richiamare due fonti diverse:
• la convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina adottata a Oviedo  il 4 aprile 1997 e ratificata dalla legge 28 marzo 2001 numero 145,
• la legge 22 dicembre 2017, n. 219.
 
Ma le fonti citate, in realtà, parlano solo genericamente di “informazione” e in nessun caso specificano chi è tenuto a garantirla e men che mai che, chi fosse eventualmente tenuto a garantirla, debba essere specificatamente un infermiere o altro.
 
Le norme richiamate implicitamente sostengono che l’informazione al malato spetta al medico. “Implicitamente”, in questo caso, vale come un significato necessariamente incluso o deducibile anche se non espressamente enunciato perché in ragione del buon senso, della consuetudine, della pratica corrente, non serve esplicitarlo.
 
La tesi, quindi, rispetto alle fonti richiamate si rivela fallace e indimostrabile.
 
Interpretazioni arbitrarie e molto personali
Gli autori, a loro volta, rendendosi conto di questo limite e per avvalorare la loro tesi, fanno un’altra operazione, di tipo vagamente abduttivo: cercano di interpretare alcuni concetti comuni, tanto ai medici che agli infermieri, quali “relazione di cura” “intervento in campo sanitario” per tentare una spericolata operazione transitiva del tipo “siccome… allora”:
• siccome la questione dell’informazione  inerisce con il concetto di “sanitario” e di “cura”,
• siccome in questi concetti rientrano tanto i medici che gli infermieri,
• allora “non vi è dubbio” che la funzione di informare il malato spetta a entrambi e quindi all’infermiere.
 
Questa operazione logica è per almeno due ragioni inaccettabile:
• crea una contraddizione cioè per negare l’esclusività della funzione al medico è costretta a generalizzarla a tutti. Se per avere titolo ad informare il malato basta essere compresi nel concetto di “cura” e di “sanitario” allora tutti coloro che, in qualche modo, ne fanno parte, hanno lo stesso titolo compreso l’oss, il tecnico di radiologia, il tecnico di laboratorio, e l’idraulico chiamato a riparare il rubinetto,
• una interpretazione comunque arbitraria (ragionamento non suffragato da alcuna verità provata) facilmente  scade nella preferenza personale,(opinione preconcetta)  per cui essa non ha alcun rilievo euristico e vale più o meno come l’opinione di chi afferma che la terra è quadrata.
 
Affermare quindi, da parte dei nostri autori, che la loro analisi “porta ad induzioni univoche circa l’identità del professionista sanitario cui compete l’informazione”, e trascurando per spirito di carità, di trattare le aporie dell’induzione e dell’univocità, è semplicemente un’affermazione priva di plausibilità.
 
La dimostrazione per assurdo
I nostri autori, alla fine non paghi delle loro interpretazioni, tentano la strada che in logica si chiama della “dimostrazione per assurdo”. Cioè per dimostrare la fondatezza della loro opinione chiamano in causa un’altra opinione, questa volta del presidente della federazione delle società medico-scientifiche, che sostiene però la tesi opposta alla loro e cioè che l’informazione del malato è una funzione medica. Essi sono convinti che basti dichiararne, non dimostrarne, l’assurdità, per dare automaticamente valore alla loro tesi.
 
Quindi una semplice opinione e nulla di più, per dichiararsi vera non per dimostrarsi vera, dichiara senza alcun argomento convincente, semplicemente assurda l’opinione contraria. Come dire che Copernico ha ragione non perché ha dimostrato scientificamente l’eliocentrismo contro il geocentrismo ma perché Tolomeo è semplicemente un babbeo e siccome tutti i babbei hanno torto anche Tolomeo ha torto.
Conclusione: la tesi di Benci e di Rodriguez non potendo essere suffragata da nessuna norma esplicitamente specificata, è costruita con delle discutibili manipolazioni interpretative.
 
Essa è semplicemente:
• la manifestazione del loro desiderio di accrescere le competenze avanzate degli infermieri,
• il loro personale contributo alla guerra delle competenze.
 
Ma in nessun caso, mi dispiace per loro, è una tesi che si può definire vera.
 
Ma il punto centrale, in questo clima difficile, è capire perché essi sostengono una tesi non vera, a che pro. La domanda politica è: ma “chi” glielo fa fare?
 
Il problema dell’informazione
La cosa che mi ha molto colpito nell’articolo di Benci e di Rodriguez è a differenza degli articoli del passato, la distorsione che il clima conflittuale sulle competenze avanzate, sta creando, sulla discussione dei problemi. E’ evidente che oggi il loro articolo, negli schieramenti dati, sarà salutato con favore da alcuni e non da altri, come è evidente che la discussione sull’informazione che ci propongono perde il suo carattere tecnico-culturale per diventare, nel clima dato, una variante della discussione sulle competenze avanzate. Cioè l’informazione, con loro, da questione epistemica diventa a sua volta una competenza avanzata.
 
In passato, in due occasioni, ho avuto modo di contestare a Benci le sue tesi sull’informazione e sul consenso informato cioè i suoi famosi “bio-sfondoni” (20 novembre 2017, 7 dicembre 2017).
Ma il clima era completamente diverso nel senso che a quel tempo si discuteva di informazione senza avere le competenze avanzate sul groppone.
 
In quelle circostanze tentai di spiegare i problemi epistemologici che pone l’informazione al malato, la differenza concettuale tra comunicazione e informazione, tentai di spiegare che una informazione fuori da una relazione, può creare dei problemi.
 
Informazione quale competenza avanzata
Nel loro remake, questa complessità, è come in passato, ancora una volta, inesistente, essi oggi sono talmente preoccupati a farne una questione di competenze avanzate che in nessun caso si preoccupano di chiarire il concetto di informazione e di affrontare i problemi che questa delicata funzione pone.
 
Per loro, la cosa che conta, è dichiarare che l’informazione è una competenza non esclusiva del medico e che in quanto tale rientra nelle competenze infermieristiche. La loro preoccupazione non è organizzare l’informazione nel modo più adeguato possibile ai problemi del malato ma è semplicemente assegnarla come una competenza nuova all’infermiere.
 
Ne viene fuori una gigantesca banalizzazione della questione. Per i nostri autori, informare significa solo dire delle cose al malato cioè riferirgli dei dati quelli magari appuntati nella cartella clinica. Ma così non è e non può essere.
 
Ripeto ciò che a suo tempo tentai inutilmente di spiegare a Benci: si informa un malato quando il malato riceve una comunicazione cioè un messaggio e lo interpreta usando le proprie conoscenze le proprie credenze e le proprie esperienze giudicandolo e, in base a tale giudizio, sceglie cosa fare. Cioè informare è una funzione pro-eretica e non è esattamente una cosa semplice che si possa fare alla leggera. Perché informare e avere una relazione sono la stessa cosa e perché confrontare verità scientifiche con verità personali non è semplice.
 
Ma a parte la visione banale che essi mostrano di avere del concetto di informazione mi colpisce la totale assenza di ragionevolezza e di buon senso.
 
Supponiamo, come dicono loro, che tanto il medico che l’infermiere abbiano la facoltà di informare il malato, e che entrambi, separatamente nelle loro autonomie, diano al malato due informazioni diverse, addirittura contraddittorie, che succede?
 
Conclusioni
C’è uno scontro in atto tra le professioni che, per me, uomo di sanità pubblica da sempre, non è una bella cosa. Probabilmente è una occorrenza che se usata con senso di responsabilità può aiutarci tutti a fare dei passi avanti. Ma intanto oggi è come vedere una famiglia che per ragioni di interessi sta mettendo in crisi i propri legami di parentela. Levi Strauss definiva la parentela come un sistema di alleanze basato fondamentalmente sul principio di reciprocità.
 
Oggi la famiglia delle professioni medico-sanitarie è in crisi, le alleanze al suo interno, sono palesemente in difficoltà, si assiste con l’affermazione di gruppi parentali ego-centrati alla fine della reciprocità, che a sua volta, alimenta quella che, ormai non ho difficoltà a definire, un conflitto non tra professioni ma tra lignaggi professionali.
 
Limitarsi ad alimentare il conflitto manipolando e banalizzando le cose, a parte non essere corretto è semplicemente sbagliato e poco responsabile.
Perché ad esempio anziché usare il tema dell’informazione per soffiare sul fuoco dello scontro, non usiamo questo tema e tanti altri per favorire al contrario un incontro, una concertazione, un accordo?
 
Marcella Gostinelli ha sostenuto giustamente che gli infermieri hanno “una competenza relazionale specifica” (QS,  23 febbraio 2018) faccio notare la differenza epistemologica profonda tra “specifico” e “avanzato”, ne segue che nessuna relazione può essere pensata senza informazione, ma quale? Cioè quale specificità? E quale rapporto esiste tra diverse specificità?
 
Le competenze avanzate stanno dividendo la famiglia ma se la famiglia resta fondamentale per fare bene il nostro lavoro, prima o poi qualcuno si dovrà porre il problema di come tenerla in piedi. O no?
 
Ivan Cavicchi
23 dicembre 2019
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