“Come emerge con chiarezza dai due rapporti (
22° Rapporto Pit Salute di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato e
XV Rapporto Sanità del Crea dell’Università di Tor Vergata dal titolo
“Il ritorno della Politica Nazionale in Sanità (?)”) presentati in questi giorni - spiega
Marco Vecchietti, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Rbm Assicurazione Salute - la sanità italiana e il nostro Servizio Sanitario Nazionale hanno bisogno di una ricetta “nuova” per guarire dai mali che li affligono da tempo: la lunghezza delle liste d’attesa, la carenza di personale, il sottofinanziamento della spesa sanitaria pubblica, la mancanza di assistenza territoriale, il contingentamento dell’accesso alle cure (ticket, eccessiva burocrazia, etc). Bisognerebbe dare, una volta per tutte, un ruolo 'organico' alla Spesa Sanitaria Privata all’interno del nostro Sistema Sanitario recuperandone la dimensione sociale ed ampliando le risorse, oggi carenti, destinate a garantire il diritto alla salute dei cittadini italiani".
"Si tratterebbe, in altre parole, di finalizzare le risorse riversate dalle famiglie nella Sanità Privata come complemento di quei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) che non sempre possono essere costantemente garantiti. Per garantire una speranza di vita estesa ed in buona salute non si può prescindere dall’innovazione tecnologica, dalla ricerca, dalla prevenzione e dalla necessità di personalizzare i percorsi di cura. Aree di bisogno, queste, che sia per motivi organizzativi che per ragioni economiche non possono più contare sul solo finanziamento pubblico. È in questa prospettiva che un’integrazione tra Sanità Pubblica e Sanità Integrativa non può più attendere”.
Vecchietti aggiunge: ”Se davvero si ha a cuore un’attuazione effettiva dell’art.32 della Costituzione, questa strada appare l’unica realmente concreta. Condivido a pieno la necessità, espressa anche dal Governo nella Legge di Bilancio 2020 di difendere e sostenere – anche finanziariamente – il Servizio Sanitario Nazionale ma nel contempo trovo piuttosto semplicistico pensare che con 2 miliardi aggiuntivi si possano attuare politiche strutturali come quelle invocate dallo stesso Ministro della Salute. Anche perché, come abbiamo ricordato in più occasioni, il problema non è solo finanziario… Il tema della lunghezza delle liste d’attesa, rilanciato con forza dal 22° Rapporto Pit Salute di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato è infatti il principale freno per l’accesso alle prestazioni sanitarie quali visite specialistiche, interventi di chirurgia ed esami diagnostici (57,4% dei casi). In 5 anni, tra il 2014 e il 2019, come emerge dal IX Rapporto Rbm-Censis, il tempo di attesa per fare una mammografia con il Ssn è aumentato in media di 59 giorni e gli italiani sono costretti a spendere di tasca propria dai 5 ai 45 euro al giorno per risparmiare sui tempi delle liste d’attesa per l’accesso soprattutto alle prestazioni diagnostiche".
“I sistemi sanitari profondamente incentrati sull’universalismo e l’uguaglianza in sanità, come per esempio il National Health Service (NHS) inglese, antesignano del nostro Ssn – dichiara Vecchietti – conoscono da tempo scenari di integrazione operativa tra sistemi assicurativi pubblici e privati. Da sempre, infatti, nel Regno Unito, una delle aree di operatività principale delle assicurazioni sanitarie è proprio quella della copertura delle liste d’attesa del National Health Service (Nhs). In Gran Bretagna, infatti, i tempi di accesso alle diverse prestazioni sono dichiarati in anticipo ai cittadini, consentendogli così di scegliere coscientemente prima di trovarsi di fronte al bisogno di stipulare individualmente una polizza assicurativa che ha lo scopo di rendere in ogni caso attuali i Livelli Essenziali di Assistenza garantiti dalle policy pubbliche di tutela della Salute. Il tutto senza intaccare in alcun modo l’impianto solidaristico del Nhs. Credo sia arrivato il momento anche per il nostro Paese di metabolizzare le indicazioni che ci vengono da queste esperienze. Se si vuole mantenere i fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale bisogna avere il coraggio di andare oltre e diversificare i regimi assistenziali messi a disposizione dei cittadini”.
“Non si può curare un paziente, il nostro Sistema Sanitario, continuando a concentrarsi da anni solo sul cuore, ovvero il Servizio Sanitario Nazionale. Benché il cuore – conclude Vecchietti – sia un organo fondamentale di questo organismo se continuiamo a curare solo quello ignorando gli altri organi vitali la salute del paziente non potrà che peggiorare. Sta a tutti noi, responsabilmente, rinnovare coerentemente la terapia”.