Ammonta complessivamente a 29,45 miliardi la spesa pubblica per le “Long Term Care”, stimata per il 2010 dal Ministero dell’Economia, per assistere i circa 4,1 milioni di italiani disabili e non autosufficienti (stima Censis). In pratica l’1,9% del Pil 2010 di cui circa due terzi (1,28%) erogati a soggetti con più di 65 anni (circa 2,6 milioni di persone).
Queste persone sono principalmente affette da artrosi e artrite (23%), ipertensione arteriosa (16%), osteoporosi (7%), diabete (6%), bronchite cronica ed enfisema (6%) e depressione e cataratta (ambedue 5%).
La spesa per “Long Term Care” comprende: la componente sanitaria che rappresenta il 46,4% della spesa complessiva, quella per indennità di accompagnamento il 43,3%, e quella relativa agli interventi socio‐assistenziali rivolti ai disabili e agli anziani non autosufficienti erogati a livello locale pari al 10,3%.
Quasi 30 miliardi di euro rappresentano una cifra importante ma, e su questo concordano i rapporti del Governo (vedi rapporto del Welfare del 2011) e delle associazioni, è spesa male e soprattutto mal distribuita.
Innanzitutto perché i dati dimostrano che anche in questo settore persistono troppe evidenti differenze tra le varie Regioni. In termini di strutture e di prestazioni erogate. Per fare solo un esempio, l’assistenza domiciliare integrata fa rilevare tutto il Mezzogiorno con indici di prestazioni inferiori alla media nazionale e lo stesso vale per le residenze assistenziali.
E poi non è ancora stato risolto l’annoso problema del coordinamento tra la miriade di enti e istituzioni preposte a questi servizi.
L’aumento dei bisogni di assistenza
Il tutto in prospettiva di un’ulteriore crescita della domanda assistenziale in considerazione dell’evoluzione del contesto demografico ed epidemiologico che vedrà il peso degli ultra 80enni sulla popolazione complessiva passare dal 5,8% nel 2010 al 7,4% nel 2020 e al 13,5% nel 2050. La disabilità, per effetto dell’invecchiamento e delle patologie cronico degenerative, è destinata infatti a un proporzionale aumento. Nel giro dei prossimi 8 anni i non autosufficienti dovrebbero già raggiungere quota 4,8 milioni, pari al 7,9% della popolazione italiana, contro il 6,7% del 2010.
Chi li assisterà? Ancora oggi, in moltissime situazioni, è la famiglia a farsi carico della persona non autosufficiente. Ma la società sta cambiando. È più evidente nel Nord del Paese e in misura minore al Meridione, ma non è un caso se dal 2001 al 2008 il numero di badanti in Italia è cresciuto di 400.000 unità superando oggi quota 774.000, di cui 700.000 straniere. Una voce di spesa per le famiglie italiane che ha ormai raggiunto i 9 miliardi di euro secondo il rapporto del ministero del Welfare del 2010.
Le famiglie, quindi, cercano soluzioni proprie. Ma anche i servizi pubblici dovranno riorganizzarsi per rispondere alla crescente domanda. Dovranno crescere le risorse, sicuramente. Ma non solo. Quello che l’Italia non è ancora riuscita a realizzare è per l’appunto un coordinamento normativo e operativo dei soggetti che intervengono nell’assistenza agli anziani.
I tempi di attesa e il ticket socio-sanitario
Una recente indagine della Cgil si sofferma poi sui tempi di attesa per l’accesso presso una struttura residenziale o semiresidenziale. In alcuni casi possono variare dai 90 ai 180 giorni, con punte, nel Lazio, anche di 11 mesi. Per le residenze rivolte ad anziani autosufficienti, invece, il periodo di attesa va dai 30 ai 45 giorni mentre per quelle semiresidenziali diurni si arriva fino a 25 giorni.
Da considerare anche l’impegno economico degli utenti che sono chiamati comunque a compartecipare alla spesa. Tutte le strutture – sempre secondo l’indagine Cgil - prevedono infatti un ticket, che varia di caso in caso, dalla situazione reddituale dell’assistito, da regione e regione e anche da Comune e Comune. La media della compartecipazione in una struttura residenziale va da 1.100 euro fino a 1.400 euro al mese per quelle di tipo socio-sanitario. Dato confermato anche da un’elaborazione del Network Non Autosufficienza nel suo Terzo Rapporto sul tema. Il costo complessivo delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) è stato stimato in 2.8 miliardi di euro. Le spese sono coperte per il 51,0% dal Servizio sanitario, per il 46,6% dall’utente e per il 2,4% dai Comuni. Per un costo medio mensile di di 2.951 euro che viene sostenuto: per 1.505 euro dalle Asl, per 1.375 dall’assistito e per 71 euro dai Comuni. Il costo medio giornaliero risulta, secondo lo studio, essere di 97 euro. Per i Centri diurni, invece, il costo varia dai 250 euro fino agli 800 euro al mese previsti per quelli dedicati ai malati di Alzheimer.
Dalla lungodegenza all’assistenza domiciliare. Ecco tutti i servizi
I servizi che oggi erogano assistenza agli anziani non autosufficienti, compresi in quella che internazionalmente si conviene definire come Long Term Care (LTC), comprendono oltre a quelli strettamente sanitari e di indennità economiche, anche tutte quelle prestazioni essenziali per la vita quotidiana del paziente (mangiare, lavarsi, vestirsi, scendere dal letto, ecc.).
L’insieme delle prestazioni di LTC è quindi molto eterogeneo, includendo sia prestazioni di alto contenuto specialistico, sia prestazioni di carattere assistenziale che richiedono soltanto una modesta specializzazione.
Le tipologie assistenziali socio-sanitarie sono sostanzialmente sei. L’assistenza ospedaliera di lungodegenza, l’assistenza domiciliare integrata (Adi), l’assistenza domiciliare sociale (Sad), erogata dai Comuni, i servizi residenziali (Rsa, residenze socio-sanitarie, residenze assistenziali) e semiresidenziali (centri diurni). Ci sono poi trasferimenti monetari (indennità di accompagnamento e assegni di cura) e le agevolazioni fiscali ed esenzioni.
La distribuzione territoriale e l’utilizzo di queste strutture e servizi si presenta estremamente variegata. Basti pensare che se i posti letto nelle strutture semiresidenziali in tutta Italia sono 45.549 secondo l’Annuario Statistico 2009 del ministero della Salute, si trovano però in gran parte al Nord: 14.312 nella sola Lombardia, seguita dai 9.119 del Veneto e dai 7.401 dell’Emilia Romagna. Il Lazio si ferma a 1.492 e la Campania a 1.222. Scendendo ancora più a Sud si arriva ai 229 della Calabria e ai 70 della Basilicata.
Per i posti letto dedicati agli anziani il gap è ancora più evidente: in totale 12.653, ma tutti distribuiti in sole 13 Regioni. Ci sono quindi ben 6 Regioni e le 2 provincie autonome completamente sfornite di posti letto per l’assistenza agli anziani nelle strutture semiresidenziali. Anche tra le 13 Regioni, tuttavia, le differenze sono consistenti. Se in Lombardia si trovano infatti 5.691 posti letto e in Emilia Romagna altri 3.621, per il Lazio il dato si ferma a quota 50 e in Campania scende a 40.
Proporzioni simili anche per quanto riguarda le strutture residenziali,dove su un totale di posti letto pari a 201.108 si va dai 65.293 della Lombardia ai 60 del Molise passando per i 6.873 del Lazio e per i 1.695 della Calabria. Il dato è confermato ulteriormente dal rapporto di utenti per 100.000 abitanti, che vede quasi tutte le Regioni del Centro Sud sotto la media nazionale di 508,4.
E se in Italia l’Assistenza domiciliare integrata (Adi)ha compiuto un forte salto avanti passando dai 385.278 casi trattati nel 2007 ai 442.129 casi trattati nel 2009 (+14,7%), tuttavia il Sud appare in ritardo anche su questo fronte. Quasi tutte le Regioni meridionali si posizionano infatti sotto la media nazionale di casi trattati pari a 3,66 anziani ogni 100. Unica eccezione, la Basilicata, con 5,07 anziani assistiti in Adi ogni 100. Tuttavia, per questo indicatore, sorprendono anche i dati di alcune Regioni come la Toscana, ferma al 2,22, il Piemonte, 2,31, e la Liguria, 3,45, nonostante sia proprio quest’ultima la Regione con la maggiore quota di popolazione anziana e quindi quella da cui ci si aspetterebbe i migliori risultati in termini di assistenza.
Le “stranezze” sulle invalidità e le indennità di accompagnamento
L’unico settore assistenziale dove è il Sud a primeggiare risulta quello delle invalidità civili e delle relative indennità di accompagnamento con indice percentuali in raffronto al Nord nettamente superiori.
Se la media italiana si attesta infatti a 7,8 beneficiari per 1.000 abitanti, tutte le Regioni meridionali superano questa soglia con le punte massime che si registrano in Sardegna (12,6), Calabria (11,7), Sicilia (10,8) e Campania (10,4).