Il 21 febbraio 2019 veniva approvata dallo Stato e dalle Regioni l’Intesa sul
Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa 2019-2021.
Un Piano nazionale che prevede risposte a un problema quotidiano nella vita dei cittadini.
È infatti
proprio l’Istat ad affermare che ci sono 2 milioni di persone (3,3% dell’intera popolazione) costrette a rinunciare a visite ed esami per problemi di liste di attesa, mentre sono oltre 4 milioni quelle che vi rinunciano per motivi economici (6,8%).
È il tema sul quale si gioca il rapporto di fiducia tra cittadini, professionisti, Istituzioni e Servizio Sanitario pubblico. Per questo va affrontato mettendo al centro veramente la garanzia del diritto all’accesso alle prestazioni sanitarie e non, al contrario, altri interessi che nulla hanno a che vedere con i diritti dei pazienti.
Il processo di attuazione del Piano a livello regionale e locale è quindi la vera partita per tutti, cittadini, professionisti e SSN.
Deve avvenire non soltanto formalmente ma soprattutto sostanzialmente, nel rispetto delle tempistiche e delle misure contenute all’interno del Piano Nazionale.
Su questo il Ministero della Salute dovrà svolgere il ruolo di reale garante per tutti dell’attuazione di un’innovazione reale delle politiche sanitarie regionali, in grado di essere percepita subito da parte dei cittadini.
Il Ministero non dovrà solo registrare gli adempimenti formali delle Regioni, altrimenti si corre il serio rischio che i diritti rimangono solo belle parole sulla carta e che le disuguaglianze tra i territori e i cittadini continueranno ad aumentare.
Ciò che ora serve dal livello centrale è l’esercizio di un ruolo forte nel controllo delle misure inserite nei Piani regionali, la verifica sul loro grado di congruità rispetto ai parametri nazionali e la loro effettiva implementazione nel più breve tempo possibile e in tutto il territorio nazionale.
Devono arrivare però anche risposte concrete alle carenze del personale sanitario, a partire da quello infermieristico che oggi si attesta, considerando l’ospedale e il territorio, insieme agli effetti di Quota 100, a 75.000 unità. Un problema che va affrontato subito.
Ma cosa prevede il Piano nazionale?
La tabella di marcia è precisa: entro 60 giorni dalla stipula (quindi entro aprile 2019) le Regioni avrebbero dovuto recepirlo formalmente e adottare il proprio Piano Regionale di Governo delle Liste di Attesa; entro 60 giorni dall’adozione del Piano regionale le Aziende Sanitarie devono approvare il Piano attuativo aziendale (quindi entro giugno 2019); entro 120 giorni dalla stipula dell’Intesa (quindi ancora entro giugno 2019) deve essere istituito l’Osservatorio nazionale sulle liste di attesa presso il Ministero della Salute.
Ecco lo stato dell’arte ad oggi.
A distanza di oltre 5 mesi dalla sua approvazione e di 3 mesi dalla prima scadenza prevista per il recepimento e l’adozione del Piano regionale, sono 4 le Regioni che non hanno ancora adottato un proprio Piano Regionale di Governo delle Liste di Attesa: Provincia di Bolzano, Friuli-Venezia Giulia, Basilicata, Sardegna.
Due di queste, Friuli-Venezia Giulia e Provincia di Bolzano, non hanno neanche recepito formalmente l’Intesa Stato Regioni.
La tempistica per il solo recepimento formale dell’Intesa da parte delle Regioni è stata molto differenziata: si passa ad esempio dai 35 giorni della Puglia, ai 70 della Campania, agli 84 della Liguria, agli 89 della Calabria, ai 102 della Sardegna, ai 137 della Lombardia.
Le Regioni che hanno rispettato il termine dei 60 giorni entro il quale recepire formalmente l’Intesa e adottare il proprio Piano regionale di Governo delle Liste di Attesa sono 5: Valle D’Aosta (56 giorni), Emilia-Romagna (52 giorni), Marche (53 giorni), Puglia (55 giorni), Sicilia (49 giorni).
Di poco fuori tempo massimo, il Molise con 66 giorni, l’Umbria e la Toscana con 73 giorni.
Scelte differenti anche dal punto di vista delle misure sostanziali inserite nei Piani regionali. Prendendo ad esempio in esame l’ambito territoriale di garanzia, nel rispetto del principio di prossimità e raggiungibilità, all'interno del quale devono essere garantiti i tempi massimi di attesa, le Regioni hanno definito strategie diverse, alcune non sempre coerenti con il dettato del Piano nazionale.
Ad esempio, il Molise fa coincidere l’ambito di garanzia con l’intero territorio regionale (fino al 31 dicembre 2020); stessa scelta anche della Valle D’Aosta; la Calabria individua 3 aree territoriali/provinciali Nord-Centro-Sud, quindi fette di territorio molto ampio.
Altre Regioni hanno adottato invece modelli differenti.
La Toscana da una parte richiama come ambito di garanzia di norma la zona-distretto, dall’altro per alcune prestazioni, in considerazione dell’offerta disponibile, definisce un ambito di garanzia con un bacino demografico non superiore ai 400.000 abitanti. La Liguria invece definisce l’ambito territoriale di garanzia con l’intera ASL e in casi particolari con il distretto.
Altre Regioni ancora rinviano la definizione degli ambiti territoriali di garanzia ai Piani attuativi aziendali, come del resto prevede il Piano nazionale.
È evidente che la dimensione degli ambiti territoriali di garanzia fa la differenza in relazione al grado di rispetto del principio fondamentale previsto a livello nazionale della prossimità e raggiungibilità da parte del cittadino, a maggior ragione considerando anche il processo di accorpamento delle ASL con territori di riferimento ormai molto ampi.
Proprio per questo è necessaria una verifica stringente, su questo ed altri assi portanti del Piano nazionale (presa in carico dei pazienti cronici, percorsi di tutela in caso di mancato rispetto dei tempi massimi, trasparenza e accesso alle liste, attivazione dell’Organismo paritetico regionale per verifica attività libero-professionale, campagne informative su diritti e doveri dei cittadini, vigilanza su sospensione dell’attività di prenotazione, valutazione Direttori generali,......) da parte del Ministero nei confronti delle Regioni e dei loro Piani, nonché da parte delle Regioni nei confronti delle ASL.
Anche sull’adozione dei Piani attuativi aziendali, che sarebbe dovuta avvenire entro il mese di giugno 2019, qualora fossero state rispettate tutte le tempistiche previste a livello nazionale, si stanno registrando ritardi, visto che 5 Regioni hanno adottato il proprio Piano regionale tra giugno e luglio, mentre altre 4 non lo hanno ancora fatto.
Riguardo all'istituzione dell’Osservatorio nazionale sulle liste di attesa, adempimento previsto dal Piano nazionale, questo è stato costituito e si è riunito nei primi giorni del mese di luglio.
Sta andando avanti anche il riparto dei 400 milioni di euro per l’infrastruttura tecnologica dei CUP: proprio il 26 luglio il Ministero ha inviato alla Conferenza Stato-Regioni il relativo Decreto di riparto.
Ora è necessario serrare i ranghi.
Il Ministero della Salute dovrebbe intervenire subito nei confronti delle Regioni che ad oggi non hanno ancora recepito formalmente l’Intesa Stato-Regioni e approntato i propri Piani Regionali di Governo delle Liste di Attesa, come dovrebbe verificare nel merito le misure previste in tutti i Piani regionali per individuare e rimuovere eventuali scostamenti dai principi sanciti nel Piano Nazionale. Anche le Regioni, a loro volta, dovrebbero verificare l'operato delle Aziende Sanitarie Locali rispetto all'adozione dei Piani Attuativi Aziendali e della loro congruità rispetto agli indirizzi regionali.
In tutta questa attività di importante monitoraggio giocherà un ruolo fondamentale l'
Osservatorio Nazionale sulle liste di Attesa dal quale ci si aspetta una fotografia costante di ciò che accade realmente in tutti i territori, per l'adozione delle relative misure correttive che potranno rendersi necessarie.
Inoltre, è irrinunciabile per rafforzare il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni la garanzia di un’informazione di qualità a livello nazionale, regionale e locale, rivolta alle comunità, per spiegare i contenuti e le novità che discendono da questa innovazione. In questo modo tanto le amministrazioni quanto i cittadini e i professionisti potranno esercitare al meglio i propri diritti e responsabilità.
Per gli infermieri e per tutto il personale sanitario, esercitare al meglio le proprie responsabilità, vuol dire anche agire all’interno di servizi sanitari che non siano più segnati da livelli patologici di carenze come quelli attuali. Le misure approvate con il
Decreto Calabria sono un primo segnale al quale però devono seguire subito ulteriori provvedimenti.
Tonino Aceti
Portavoce Fnopi