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QS Edizioni - mercoledì 27 novembre 2024

Studi e Analisi

Esclusivo. Cosa cambia per le Regioni con l’accordo sulla spesa del personale. Sul piatto l’abolizione del tetto ma da “Roma” solo 55 milioni in più. Per il resto ogni Regione (escluse quelle in piano di rientro) dovrà cavarsela con fondi propri. Come avvenuto fino ad oggi

di Giovanni Rodriquez
immagine 26 marzo - Governo e Regioni (soprattutto il primo) hanno cantato vittoria ma in realtà l'emendamento annunciato da Grillo il 21 marzo scorso che abolisce il tetto sulla spesa in vigore dal 2010, a conti fatti, non produrrà quella rivoluzione nel comparto come forse qualcuno aveva sperato. Il tetto va via, è vero, ma in realtà già in tutti questi anni chi poteva (con soldi propri) lo aveva abbondantemente superato. In sostanza l'accordo cancella il tetto ma a costo zero, se si escludono quei 55 milioni derivanti dall'unico incremento concesso pari al 5% dell'aumento del fondo sanitraio regionale rispetto all'anno precedente. Per il resto ognun per sé
La scorsa settimana il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha annunciato un emendamento, da approvare con il primo provvedimento utile, per lo sblocco del tetto di spesa per il personale sanitario in vigore dal 2010.

Vediamo di cosa si tratta. Il tetto di spesa per il personale del Ssn, venne introdotto dalla legge Finanziaria del 2010 (191/2009). Qui si prevedeva che il livello massimo di spesa per il personale doveva parametrarsi a quello dell'anno 2004 diminuito dell'1,4 per cento. Su questa misura, successivamente, intervenne il Governo Gentiloni con la legge di Bilancio 2018: venne qui specificato che nella nozione di graduale riduzione della spesa per il personale rientra anche l'ipotesi di una variazione pari allo 0,1 annuo. In questo modo il nuovo tetto poteva quindi essere calcolato sulla base del livello di spesa del 2004 diminuito del 1,3%.

Ora, con l’emendamento concordato tra Salute, Mef, PA e Regioni, si prevede che, a decorrere dal 2019, la spesa per il personale del Ssn non può superare il valore della spesa sostenuta nel 2018. Inoltre, tale spesa potrà essere incrementata per un importo pari al 5% dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente.

La nostra simulazione degli effetti. Non avendo ancora a disposizione i dati ufficiali di spesa per il 2018, abbiamo usato quelli del 2017 per provare a capire quali effetti possa comportare questa nuova misura nelle diverse Regioni. I dati da noi analizzati (fonte Mef) non tengono inoltre conto delle sterilizzazioni per i rinnovi contrattuali ma in ogni caso offrono uno scenario sostanzialmente realistico sugli ordini di grandezza di cui si sta parlando.

La prima considerazione da fare è che il "tetto", in realtà, negli ultimi 9 anni non è stato rispettato in maniera rigorosa dalle Regioni.  Emblematico, in questo senso, il caso di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto - le stesse tre Regioni che oggi stanno trattando con il Governo maggiori autonomie, anche in campo sanitario - che in questi anni hanno sfondato il tetto di spesa per il personale sanitario, rispettivamente per 1,1 miliardi, 590 milioni e 422 milioni, anche se, è importante sottolinearlo, coprendo il differenziale con risorse proprie e garantendo quindi il pareggio di bilancio a fine anno condizione richiesta per essere in regola con gli adempimenti di legge.

E le Regioni in Piano di rientro? Anche queste, seppur in misura considerevolmente minore, hanno concordato spese maggiori nei Tavoli di verifica con il Ministero dell’Economia. Ad esempio, il Lazio ha superato il limite di spesa per 270 milioni e la Calabria di 73 milioni. Altre ancora, come la Campania, prendendo in considerazione i dati del 2017, andrebbero addirittura in perdita con un passivo di 158 milioni rispetto al tetto del 2004. Proprio per evitare casi come questo si è quindi deciso di prendere il dato maggiore tra quello del 2018 e quello della normativa tutt'ora vigente.

Ma cosa cambia con le nuove regole? Con l’emendamento governativo si andrà ulteriormente ad acuire una situazione, già in atto, di forte disomogeneità regionale. La situazione, infatti, migliorerà considerevolmente per quelle Regioni ‘virtuose’ che già in questi ultimi 9 anni sono state in grado di spendere maggiori (proprie) risorse su questo capitolo di spesa. Il perché è semplice da spiegare.

Tra il livello di spesa del 2004, e quello del 2017, si registra a livello nazionale una maggiore spesa di poco meno di 5 miliardi. Ma questo non vuol dire che ora il Governo metterà sul piatto questi soldi in più, perché tutta la proposta di superamnto del tetto di spesa ancorato al 2004 è comunque pensata a invarianza di spesa e nel rispetto delle compatibilità finanziarie. A livello centrale, infatti, viene data solo la possibilità di incrementi annuali pari al 5 per cento dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente che dovrebbe tradursi in uno stanziamento complessivo di circa 55 milioni di euro nel 2019

Sostanzialmente, quello che realmente cambia è la riparametrazione a livello regionale dei limiti di spesa. Per alcune Regioni come Lombardia, Emilia Romagna e Veneto si solleva così di molto l’asticella e resta ferma in ogni caso la possibilità di investire ulteriori risorse attingendo dai propri bilanci; per le altre sottoposte a Piani di rientro, invece, la situazione migliora molto poco. A tutto ciò va aggiunto che, per queste queste ultime Regioni, resta in ogni caso fermo il fatto che ogni possibile sforamento del tetto dovrà essere concordato nei Tavoli di verifica con il Mef.

Si viene quindi a creare una nuova situazione dove, di fatto, come anticipatoci nei mesi scorsi dal viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia, ci saranno tetti di spesa diversi per ogni Regione, con un ulteriore acuirsi del gap tra le Regioni del Nord e le altre.
 


A chiarirci il nuovo quadro è stato oggi lo stesso Garavaglia, uno degli artefici dell’emendamento: “Per spiegare la nuova misura dobbiamo fare un ragionamento storico. Perché era stato fissato quel tetto di spesa? Perché c’era mezzo Paese con la spesa fuori controllo. E quindi il senso era, interveniamo per rimettere i conti in ordine. La cosa ha funzionato perché di fatto oggi praticamente tutte le Regioni hanno bilanci sanati dal punto di vista dei conti ma registrano difficoltà per quanto riguarda l’erogazione dei servizi. Sappiamo che la situazione è a macchia di leopardo anche all’interno delle stesse Regioni - ha aggiunto Garavaglia -. A questo punto, ora che i conti sono tornati in ordine, permettiamo in questo modo alle Regioni di poter tornare a fare un po’ di assunzioni”.

“In ogni caso, visto che il Fondo sanitario nazionale cresce, e continuerà a crescere anche nei prossimi anni, ci saranno nuove risorse per tutti e, secondo i nostri calcoli, ci staranno tutti dentro. Poi, ovviamente, tutto questo dovrà esser fatto con raziocinio - ha sottolineato il viceministro -. Non è che possiamo dire alle Regioni in Piano di rientro ‘liberi tutti’, altrimenti dopodomani rischiamo di tornare punto e a capo con gli stessi problemi di deficit già avuti negli anni passati. Le maglie si allargheranno quindi sì per tutti, ma un po’ meno per chi è messo peggio”. 
 
E chi è ancora in Piano di rientro cosa dice? “Si tratta di un timido segnale, sicuramente si apre uno spiraglio dopo quasi 10 anni. Per le Regioni in Piano di rientro cambia in realtà molto poco. Sicuramente è importante sotto questo profilo il comma 2 che interviene sugli esternalizzati e i fondi per il personale. Diciamo che tutti ci guadagnano, anche se alcuni più di altri. In ogni caso l’obiettivo è quello di superare, da qui a due anni, l’intero meccanismo dei tetti di spesa in favore dei nuovi standard per il fabbisogno per il personale. Da una parte questi già li abbiamo con il DM 70, dall’altra mancano ancora però  i nuovi standard per il territorio per poter dare il via a questo nuovo processo”, ha spiegato Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio tuttora sotto commissariamento per la sanità.
 
"Sicuramente non è una svolta per la sanità. Possiamo però dire che con questo emendamento nessuno ci perde e tutti ci guadagnano, anche se per alcuni il guadagno è senza dubbio maggiore. Le Regioni in Piano di rientro guadagnano una maggiore flessibilità sulle esternalizzazioni. Diciamo che con questo voto le Regioni hanno voluto dare un segnale di compattezza. Da tutta questa storia possiamo trarne tutti un insegnamento: non si possono avere per così lungo tempo due pesi e due misure o diventerà poi impossibile andare a provare a pareggiare situazioni tra loro molto diverse. Di certo chi oggi guadagna di più sono quelle Regioni che, negli ultimi anni, non hanno rispettato la normativa vigente", ha sottolineato Ettore Cinque, assessore al Bilancio ed ex subocommissario alla Sanità della Regione Campania.

Sarà, ma da cronisti ci sembra doveroso sottolineare che, rispetto all'enfasi posta su questo accordo dal ministro Grillo e da altri esponenti della maggioranza, ci sembra più consono rispolverare il vecchio detto della montagna che partorisce il topolino. Chi si aspettava la fine del tetto e lo sblocco a go go delle assunzioni può infatti gioire a metà: in teoria si può fare ma i soldi per farlo sono veramente pochini.
 
Giovanni Rodriquez
26 marzo 2019
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