Premessa
Il tema dei fondi sanitari integrativi (FSI) è divenuto molto attuale ultimamente, dopo che non se ne è parlato per circa 10 anni da quando sono stati emanati gli ultimi decreti ministeriali nel 2008 e 2009, fatta eccezione per qualche Convegno o Seminario o Corso di formazione per gli addetti ai lavori. Il dibattito si è riacceso “magicamente” perché la XII Commissione Affari sociali della Camera ha avviato una indagine conoscitiva a riguardo e molti “esperti” o semplicemente “opinionisti” hanno pensato di scrivere.
Ciò che ho letto merita, a mio avviso, che siano chiariti alcuni aspetti del problema, forse meglio noti a chi come la scrivente se ne occupa da circa 25 anni. Cominciamo con il dire che la spesa privata intermediata è veicolata dai Fondi sanitari integrativi (FSI) di cui alla 229/99 e successivi Decreti ministeriali, da Società di Mutuo soccorso (SMS) e in misura minore da polizze individuali e collettive che, a differenza dei primi due, non godono di alcuna agevolazione fiscale.
La spesa veicolata dai FSI e SMS non è molto elevata, tanto che, secondo una interessante e recente indagine dell’Istituto San Anna di Pisa sull’argomento, i risultati ottenuti dalla proiezione macroeconomica mostrano un quadro di
andamento sostanzialmente stabile della spesa per assistenza sanitaria intermediata e un valore al 2030 che potrà oscillare tra i 1.167 e i 2.275 milioni di euro
(0,063%-0,13% del Pil). Per quanto riguarda la componente
out-of- pocket, i modelli prevedono una spesa che vada dai 26.860 ai 41.069 milioni di euro nel 2030 (1,38%-2,11% del Pil).
[1]
I Fondi e le SMS sono Organizzazioni non profit,inserite nella recente Legge del Terzo settore (che nessuno cita) e per la loro intrinseca natura mutualistica non sono solo “sanitarie” bensì “sociosanitarie”, erogano cioè anche prestazioni
sociali a valenza sanitaria.La definizione che segue fu elaborata nel 1999 e aggiornata nel 2012 proprio per chiarire questi aspetti:
“Organizzazioni prevalentemente private, variamente denominate, che raccolgono, su base volontaria, risparmio dei singoli cittadini o di gruppi di cittadini o risparmio di tipo contrattuale a livello nazionale, regionale o locale, per fornire prestazioni sanitarie e sociosanitarie che integrano quelle assicurate dal Servizio sanitario Nazionale e dal Sistema di protezione sociale, per finalità non orientate al profitto”.[2]
La questione non è di poco conto perché sono molti i FSI e le SMS che offrono servizi alla persona (cura alla persona, assistenza ai familiari) anche attraverso Cooperative sanitarie e sociali (cresciute del 40.9% secondo il Rapporto Istat-Euricse recentemente pubblicato). Le prestazioni sociali sono state espressamente citate nel Decreto del 2009 (decreto Sacconi) e sono contenute in quel 20% di prestazioni da erogare obbligatoriamente per potere accedere alle agevolazioni fiscali (l’altro grande capitolo è l’odontoiatria) che oggi sfiora il 40%.
Il che porta a chiarire un secondo aspetto:
gli attuali FSI non sono solo sostitutivi, come spesso si vede scritto, ma lo sono in parte poiché molte prestazioni sono invece integrative (ad es. odontoiatria o rimborso per occhiali) complementari (tickets) e sociali in percentuali molto diverse tra loro.
Vi sono Fondi e SMS che sono molto orientati verso le prestazioni sociali (addirittura attività di grande respiro locale) ed integrative ma che mantengono uno “zoccolo duro” di prestazioni sostitutive perché sono molto richieste e perché consentono il raggiungimento dell’ equilibrio economico-finanziario (obbligatorio per le Organizzazioni non profit).
La realtà è che delle prestazioni, attività e servizi che i FSI e le SMS erogano, a chi, secondo quali modelli organizzativi e reti di strutture e medici, con quali risultati,
non sa nulla nessuno, e per questo sono spesso “scombinati”, “imprecisi”, “azzardati” i dati su l’utilizzo da parte degli iscritti e sulle percentuali dei costi di gestione. Ad esempio molti grandi FSI si sono costituiti da poco ed ancora non sono pienamente conosciuti dagli iscritti e dai loro familiari. A nessuno, poi, interessa sapere se dalle indagini avviate presso molti Fondi la percentuale di soddisfatti sia alta o meno.
L’indagine dell’Istituto Sant’Anna di Pisa sopra citata ha messo in luce come, a seconda della provenienza geografica, dello
status occupazionale, dello stato di salute e del livello di fiducia nel Ssr, gli Italiani utilizzino o meno il Ssn e/o forme di assistenza sanitaria integrativa. Complessivamente, “
i rispondenti vedono positivamente il ricorso a forme di assistenza sanitaria integrativa per la copertura della spesa e contestualmente tendono a preferire, per rispondere ai propri bisogni, l’offerta sanitaria pubblica, a cui non sono disposti a rinunciare.”
Questo secondo elemento è particolarmente marcato tra gli strati socio-economicamente più elevati, indicando una significativa affezione verso il Ssn, anche tra i detentori di forme di copertura sanitaria integrativa.
I FSI sono di due tipi: i primi (cd. FSI “non DOC”, che includono anche le Casse di Assistenza e gli altri enti che svolgono attività esclusivamente assistenziale) nascono dalla contrattazione nazionale, locale o aziendale, tra le rappresentanze sindacali e datoriali. I FSI non DOC rappresentano la quasi totalità delle realtà di sanità integrativa operanti sul mercato italiano, sono i più numerosi (circa 325). Sono Fondi “chiusi” ai quali possono aderire solo i lavoratori ma generalmente “aperti” ai loro familiari.
Ad oggi si contano circa 12,5 milioni aderenti dedotti dai 10,7 milioni riferiti al 2016 (Anagrafe dei fondi) cui si aggiungono i 480.000 aderenti al fondo degli artigiani, il milione al Fondo Metasalute (il più grande fondo dei metalmeccanici che contava fino al 2016 solo 95.000 iscritti) ed
i dipendenti di molte istituzioni pubbliche comprese università, enti di ricerca, ministeri e 5 regioni che sono stai inseriti in contratti di assistenza integrativa. Tali Fondi garantiscono
prestazioni, attività e servizi sostitutivi, integrativi e complementari al SSN per un valore che nel 2016 era di circa 2,3 miliardi di euro (certamente aumentato).
La seconda tipologia è costituita dai Fondi sanitari integrativi puri, cosiddetti “DOC” (FSI DOC), introdotti con il citato decreto 229/99, che possono erogare prestazioni integrative al SSN (per il 90% prestazioni odontoiatriche) ovvero rimborsare prestazioni già ricomprese nei LEA ma per la sola quota a carico dell’assistito. Sono appena 8 (di cui 1 non ancora partito) e si rivolgono a poco più di 9 mila persone per un totale di circa 1 milione di euro di spesa.
Sono “aperti” a tutti i cittadini, che però debbono utilizzare strutture accreditate per l’erogazione delle prestazioni (il problema investe in pieno gli studi odontoiatrici per i quali solo in pochi casi sono stati avviati procedimenti di accreditamento da parte delle regioni) A tale riguardo si è espresso con parere il Prof. Sabino Cassese che di fatto ha equiparato le due tipologie di Fondo.
Circa la metà dei FSI affida la gestione a compagnie di assicurazione, l’altra metà opera in autogestione e solo una parte utilizzano una forma mista di autoassicurazione e polizza.
Sono presenti, inoltre, in Italia circa 1.114 SMS di cui 509 attive molte delle quali (non tutte)in regola con le normative previste dal decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 6 marzo 2013 in attuazione all'art. 23 della legge n. 221/2012 che prevede che esse siano iscritte nel registro delle imprese presso le camere di commercio e presso l’albo delle cooperative gestito dal Ministero dello Sviluppo Economico, nell’apposita sezione delle società di mutuo soccorso (indagine Isnet 2016). Possono gestire Fondi sanitari integrativi.
Per gli iscritti ai fondi sanitari doc e non doc e per chi aderisce a enti, casse e SMS che abbiano esclusivo scopo assistenziale, i contributi versati sono deducibili fino a 3.615,20 euro,
ma solo se l’ente è iscritto all’anagrafe dei fondi.
La normativa nazionale e regionale di riferimento dei fondi sanitari integrativi
Il quadro normativo che investe i FSI è in realtà più complesso di come viene rappresentato perché nel tempo sono stati emanati dai diversi Ministeri (Salute, Politiche sociali e lavoro, Finanze) provvedimenti legislativi che hanno inciso e stanno incidendo sulla loro operatività. Essi sono, a titolo esemplificativo:
- la Legge n. 244 del 2007 (art.1, comma 197, lettera b), spesso non citata, alla quale sono seguiti i successivi decreti ministeriali del 2008 e del 2010 che, intervenendo sugli articoli 51 e 10 del TUIR, di fatto ha superato la dicotomia tra Fondi DOC e non DOC;
- la Legge n.208 del 2015 (art.1, comma 190) che ha potenziato le agevolazioni fiscali per le aziende che concedono servizi e prestazioni di welfare aziendale ai dipendenti (asili nido, buoni pasto, assistenza sanitaria integrativa…), permettendo l'erogazione di premi di risultato in forma di servizi e introducendo nuovi strumenti sperimentati in altri paesi europei come il voucher dei servizi;
- la Legge 232 del 2016 che amplia le ipotesi di somme e valori che non concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente, attraverso la modifica del comma 2 dell’articolo 51 del TUIR che consente la corresponsione di benefit mediante titoli di legittimazione o voucher. Le modifiche hanno riguardato, oltre a opere e servizi aventi finalità di istruzione, assistenza sanitaria e sociale, anche: “
somme e prestazioni per servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (art.51, comma2, lettera f-ter del TUIR”. La disposizione consente di detassare le prestazioni di assistenza per i familiari anziani o non autosufficienti erogate anche sotto forma di somme a titolo di rimborso spese ovvero sotto forma di prestazione di servizi;
- il Decreto legislativo n.117 del 2017 di Riforma del terzo settore, che ha avuto un impatto diretto sull’operatività delle SMS (le stesse saranno infatti automaticamente iscritte nel Registro Unico del Terzo Settore) ma che secondo alcuni esperti ha creato un
cortocircuito normativo, determinando, tra l’altro, un problema di inquadramento fiscale circa il regime di ente non commerciale applicabile ai FSI e alle Casse di Assistenza tanto che si è in attesa di un Decreto correttivo “urgente”, per ripristinare le vecchie condizioni dell’art. 148 del TUIR.
Alla normativa nazionale si è aggiunta nel tempo quella delle Regioni F.V.Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Abruzzo, Toscana, Lazio, Sardegna, a dimostrazione dell’interesse delle stesse sull’argomento. Alcune regioni nei preaccordi per una maggiore autonomia, riportano all’articolo 8 quanto segue: “
Nel rispetto dei vincoli di bilancio e dei livelli essenziali di assistenza è attribuita alla regione una maggiore autonomia legislativa, amministrativa ed organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi”.
Spunti di riflessione
Di seguito si pongono all’attenzione alcuni elementi che si spera utili all’indagine in corso:
1. Il numero di iscritti e aventi diritto (familiari) ai Fondi integrativi è pari al 20% della popolazione complessiva (ovvero 12,5 milioni), valore che si colloca ben al di sotto di quello registrato nella maggior parte dei Paesi Europei (Francia97,5%, Germania 44%, Regno Unito 41%, Paesi che presentano un livello di intermediazione della spesa sanitaria privata del 42,8% contro appena il 15% dell’ Italia, fonte Ocse). In Francia il valore è così alto perché dal 2015 è entrato in vigore, attraverso la Legge approvata dal Parlamento, l’obbligo di iscrizione a una forma integrativa di assistenza per tutti i lavoratori e la facoltà per i comuni di allargare la mutualità integrativa territoriale a favore di cittadini anziani.
La realtà negli altri Paesi europei è quella di avere sistemi di protezione misti, compresa la Svezia, paese storicamente universalistico che a livello delle Contee provvede al fabbisogno sanitario di non autosufficienza attraverso forme di mutualità agevolata;
2. La quota di finanziamento pubblico della spesa sanitaria italiana è inferiore a quella di larga parte dei Paesi EU ma, a parità di potere di acquisto, il livello della spesa sanitaria privata italiana è perfettamente in linea con la media EU (dove i sistemi a stampo solidaristico sono una minoranza, Rapporto CREA sanità 2019). In Italia si spende di meno che in altri Paesi;
3. Le prestazioni erogate dai FSI sono sempre su richiesta di un medico prescrittore che, nella maggioranza dei casi risulta essere, in base alle regole di polizza vigenti in molti fondi, il medico di famiglia o un medico accreditato presso strutture con le quali i Fondi instaurano rapporti. Da qui si è generato il sospetto che la sanità integrativa potesse dare luogo al fenomeno del consumismo sanitario. Per ottenere il rimborso ovvero per il pagamento diretto al medico o alla struttura, l’iscritto deve mettere a disposizione tutta la documentazione, che viene controllata ed alla quale segue il pagamento di regolare fattura emessa. Affermazioni sulla non appropriatezza che regnerebbe nel settore sono prive di fondamento;
4. I Fondi integrativi puri (Fondi DOC) non hanno avuto successo: a distanza di circa 20 anni dalla 229 sono 8, per una serie di ragioni tra le quali il fatto che le prestazioni previste non costituiscono una parte rilevante della domanda della popolazione che si iscrive e perchè il rimborso della quota di partecipazione alla spesa per gran parte delle prestazioni vale esclusivamente per gli erogatori accreditati e non anche autorizzati, creandosi per i fondi l’impossibilità di garantire il proprio equilibrio economico-finanziario. Questi fondi erogano quasi esclusivamente prestazioni odontoiatriche ma, se si volesse seguire pedissequamente il concetto di integrazione “pura”, si dovrebbero escludere le prestazioni odontoiatriche ai bambini e gli interventi odontoiatrici a pazienti affetti da patologie croniche invalidanti garantite dall’allegato specifico ai nuovi LEA (ma non sembra che programmi e progetti regionali in merito siano molti). Infine, i FSI DOC possono rimborsare prestazioni rese in regime di intramoenia che sono di fatto prestazioni sostitutive del SSN. A rigore anche queste ultime andrebbero escluse.
5. Gli iscritti ai FSI non DOC, quelli più numerosi che nascono dalla contrattazione di lavoro nazionale e locale, hanno un’età media più bassa dei principali usufruitori del SSN.Lenuove tecniche di Population Health Management, basate sull’analisi dei flussi informativi esistenti, consentono di identificare i bisogni di salute di una popolazione di riferimento, stratificando la stessa in base alla gravità della condizione. Le esperienze in atto sono poche (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Friuli, PA di Bolzano). I dati dell’Osservatorio per la salute della P.A, di Bolzano, gentilmente messi a disposizione dalla Direzione, indicano che circa
il 60% dei cittadini di età compresa tra i 14 ed i 55 anni è utente occasionale o addirittura è classificato come non utente, mentre i soggetti affetti da patologie croniche (con età medie alte oltre i 65 anni) sono meno numerosi, circa il 30% e utilizzano i servizi ospedalieri e territoriali consumando l’80% delle risorse. (vedi slide allegate) Al contrario gli iscritti ed aventi diritto di FSI hanno età medie più basse, al di sotto dei 50 anni e utilizzano il fondo unitamente ai familiari richiedendo principalmente visite specialistiche, indagini diagnostiche e ricoveri.
6. Molti FSI hanno indirizzato le proprie politiche verso l’area della prevenzione con campagne interne ai propri iscritti e con risultati positivi come gli stessi possono dimostrare. In molti casi non sono garantite le singole prestazioni ma “pacchetti” che rispondono a specifici percorsi assistenziali. Ciò in ragione del fatto che i FSI, proprio per evitare eccessi prescrittivi e avendo ben chiari i flussi di richiesta dei lavoratori iscritti e dei loro familiari, hanno, soprattutto negli ultimi anni, richiamato l’attenzione dei loro aderenti sul tema della prevenzione, non solo delle malattie tumorali ma anche di quelle che costituiscono le principali cause di morte nel nostro Paese: cardiovascolari o derivanti da Ipertensione arteriosa e sindrome metabolica. Stando ai dati OECD, l’Italia, nel 2016, ha speso per la prevenzione 87,4, euro pro-capite, un valore che resta inferiore a diversi Paesi, come ad esempio Danimarca, Germania, Regno Unito e Svezia. Al livello di assistenza della prevenzione destiniamo il 5% del Fondo sanitario nazionale, insufficiente. Non stupisce che la quota di bambini in eccesso ponderale sia la seconda più alta in EU e che per gli obesi condividiamo il primo posto con Cipro. Poco è dato sapere, invece, sui programmi di prevenzione secondaria e terziaria.
7. Altrettanto serio è il problema dei 3.200.000 cittadini non autosufficienti, di cui 1.400.00 a carico delle famiglie, a casa. Spendiamo poco per la non autosufficienza. Da una ricerca della Bocconi del 2014, emerge che la Germania per 81 milioni di abitanti impegna per la non autosufficienza 75 miliardi di euro, il Regno Unito per 60 milioni di abitanti impegna 60 miliardi di euro, la Francia per 64 milioni di abitanti impegna 55 miliardi e l’Italia per 61 milioni di abitanti 33 miliardi (spesa pubblica). Se a questi valori aggiungiamo la spesa privata la Germania sale ad 81 miliardi di euro, la Francia a 78, il Regno Unito a 73 e l’Italia a 36.I pilastri della non autosufficienza sono nel nostro Paese, l’assistenza domiciliare integrata (ADI), le residenze assistenziali per anziani (RSA) e l’indennità di accompagno (13 miliardi di euro) ai quali si aggiungono i tanti provvedimenti legislativi, dalle pensioni di invalidità alla legge 104 del 1992.
L’ADI e le RSA sono le risposte che deve garantire il SSN rientrando tali prestazioni nel livello di assistenza distrettuale. I dati che seguono sono impietosi. L’assistenza domiciliare è garantita mediamente per 18 ore l’anno (valore in diminuzione rispetto agli anni precedenti e che negli altri Paesi è pari ad una assistenza su base addirittura settimanale) a circa 800.000 pazienti prevalentemente anziani (dati Italia Longeva 2018, disponibile su richiesta), mentre il numero di posti letto residenziali ci pone con 18/19 posti letto per 1000 ab over 65 agli ultimi posti in Europa, (la Svezia ne ha 81 e la media europea è di 50). La verità è sotto gli occhi di tutti: le famiglie si fanno carico dei loro anziani e spendono circa 7 miliardi di euro per assisterli avvalendosi tra l’altro di 983.695 badanti regolari e non (dati Bocconi 2017).Ad oggi, secondo studi condotti a livello nazionale (Italia Longeva, Crea sanità), la spesa per l’ADI e le RSA si aggira rispettivamente intorno ai
2,6 e 3,5 miliardi di euro del fondo sanitario nazionale, mentre la spesa sociale da parte dei Comuni pari circa 7 miliardi di euro è in costante diminuzione. Per avvicinarsi ai valori europei servirebbero investimenti cospicui per almeno il doppio di quanto oggi in cantiere (senza considerare gli investimenti in conto capitale per aumentare i posti letto residenziali).
Proposte di intervento
I FSI sono una realtà che opera per oltre 12 milioni di persone, nascono da una contrattazione nazionale che dura da anni, possono giocare un ruolo importante nel ridisegnare il welfare sanitario e sociale del prossimo futuro. Non è utile contrapporli al SSN quanto piuttosto interrogarsi sul ruolo da attribuire alle forme di assistenza sanitaria integrativa affinché possano più efficacemente supportare/colmare le aree di “debolezza” del SSN, sia sotto il profilo del “finanziamento” che sotto quello della “effettiva capacità di erogazione”.
Di qui sorge la riflessione sul perché le istituzioni non abbiano voluto normare complessivamente questa materia nonostante il nostro ordinamento (229 e successivi decreti) lo indicasse per costruire un sistema integrato in base al rispetto dell’articolo 32 della costituzione e secondo il principio di sussidiarietà.
Eppure è fondamentale che ciò avvenga in presenza di un SSN che presenta tutte le sue sofferenze sul tema delle liste di attesa, sui super ticket che gravano come una spesa costosa sui servizi e che spingono i cittadini a preferire il canale di erogazione privato.
Il tema dunque è se lo Stato riconosce attraverso il suo ordinamento una meritorietà sociale all’esistenza dei FSI, e se non ritenga sia giunto il momento di regolamentarli, disciplinarli anche con riferimento alla cessione in gestione diretta ed indiretta attraverso il sistema assicurativo, dando nel contempo seguito alla istituzione degli Organismi di controllo per verificarne lo sviluppo.
Questo è certamente aumentato nell’ultimo decennio a causa della crisi economico-finanziaria che si è abbattuta sul nostro Paese e che il sistema economico attraverso il welfare aziendale e i benefit riconosciuti ai lavoratori ha cercato di contrastare. Non è un caso che tra tutte le forme di benefit della contrattazione aziendale le più richieste dai lavoratori per se e i propri familiari siano quelle sanitarie.
Il dialogo tra FSI e SSN è auspicabile. I FSI possono offrire informazioni preziose sui consumi e quindi sui bisogni dei cittadini che vi aderiscono i quali, come dimostrato, sono più giovani e tendono a non utilizzare il SSN, almeno non con la frequenza dei più anziani affetti da patologie croniche. La condivisione oculata di dati ed informazioni tra SSN e FSI, soprattutto a livello locale, non consentirebbe solo una migliore programmazione delle attività sanitarie e sociosanitarie ma anche l’adozione di strategie nel campo della prevenzione e della promozione della salute utilizzando, ad esempio, i potenti canali di comunicazione di cui i FSI dispongono.
C’è poi la grande questione della non autosufficienza: i FSI possono essere orientati ad occuparsene per i propri iscritti più giovani, di concerto con il SSN, programmando insieme scenari di futuri interventi, magari dando spazio a quella solidarietà intergenerazionale che con la Finanziaria per il 2017 prevede l’erogazione di servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti degli iscritti.
La defiscalizzazione, una scelta che il nostro ordinamento ha compiuto a partire dalla 502 e dai relativi decreti fiscali, ha bisogno di essere oggi verificata nella sua meritorietà sociale indirizzandola verso quelle aree di intervento che sono di maggiore sofferenza per il SSN.
Il ruolo strategico di supporto al SSN che il settore della sanità integrativa (che, come detto, costituisce già un fenomeno numericamente rilevante, sia in termini di iscritti che di risorse economiche coinvolte) deve ricoprire, necessita inevitabilmente di un nuovo quadro normativo che definisca quanto meno: i soggetti che possono operare nel settore (istituzione di un Albo e relativo coordinamento con il Codice del Terzo Settore), ridefinizione dell’attuale regime fiscale che prevede il rinnovo annuale della certificazione presso l’Anagrafe, le principali regole di governance, gli obblighi di trasparenza informativa, ecc.
Secondo tale indirizzo operò la Commissione
[3] voluta dal Ministro Livia Turco nel 2007 che ha elaborato il Decreto del 2008 (seguito dal Decreto Sacconi nel 2009) la quale individuò nel vincolo del 20% dell’operatività dei fondi la quota da destinare alla non autosufficienza, alle cure odontoiatriche e alle prestazioni sociosanitarie assistenziali, per potere accedere alle agevolazioni fiscali. Oggi quel vincolo è stato superato e sfiora il 40%. La Commissione scrisse anche gli altri due decreti che servivano per portare a compimento il riordino: il regolamento e la cessione in gestione che sono rimasti lettera morta.
Ecco cosa avevano affrontato i decreti mai approvati:
- Modalità di costituzione e scioglimento
- Affidamento in gestione
- Composizione organi di amministrazione e controllo
- Forme e modalità di contribuzione
- Soggetti destinatari dell’assistenza
- Trattamento e garanzie per sottoscrittori e nucleo familiare
- Cause di decadenza
- Attività di vigilanza
Tutte questioni che avrebbero dato garanzie dei diritti agli aderenti ma che al tempo stesso avrebbero consentito la base della conoscenza affinché la vigilanza ed il controllo fossero nel tempo efficaci.
L’esperienza dei Paesi europei dimostra che abbiamo bisogno di portare a termine in maniera fattiva il processo avviato.Il tempo che abbiamo di fronte non è molto, se vogliamo costruire un secondo pilastro dentro una cornice di regole condivise, tra tutti gli attori istituzionali, sociali e i cittadini del nostro Paese.
Proprio in vista delle richieste di maggiore autonomia regionale unitamente alla necessità per il nostro Paese di superare le criticità dei fondamentali della nostra economia, non possiamo attardarci in vecchie diatribe ideologiche di contrapposizione tra SSN e FSI poiché il principio della tutela universalistica della salute non può e non deve essere messo in discussione.
Ciò di cui occorre essere consapevoli è che la tutela della salute nel terzo millennio tra longevità e cronicizzazione delle malattie chiede che ognuno faccia la propria parte, il SSN con efficienza ed efficacia, i FSI e la mutualità all’interno del principio di solidarietà debbono essere messi nella possibilità di concorrere al mantenimento del diritto alla tutela della salute in tempi e metodi congrui rispetto alla domanda della società. Il rischio altrimenti è che, attraverso una spesa privata out of pocket senza organizzazione, la protezione dalla malattia risponda solo alla logica del mercato e del più forte.
Ricorrere a forme integrative di assistenza fiscalmente agevolate non significa rinunciare alla tutela universalistica della salute né tantomeno privatizzare la sanità, significa chiamare ad una responsabilità collettiva di protezione e socializzazione dei rischi, cittadini, imprese, istituzioni regionali e locali affinché un grande bene collettivo possa essere tutelato con l’apporto responsabile dell’intera comunità.
Proposte sono venute avanti in convegni, seminari di approfondimento, pubblicazioni ormai da più di 10 anni. Hanno bisogno di trovare nelle istituzioni un interlocutore attento, lungimirante e dialogante, per approntare il quadro di riferimento normativo che ancora manca, la strumentazione di controllo necessaria, la riorganizzazione armonica del sistema di detrazioni e deduzioni fiscali. (Labate 2018)
E’ una questione cruciale dal punto di vista culturale, scientifico, sociale e politico, che segna e segnerà il tratto del Welfare del terzo millennio. Equità, rigore e crescita sono possibili, a patto che ognuno faccia la propria parte e del momento difficile di crisi, necessità e virtù.
Isabella Mastrobuono
[1] Michele Faioli, anna Maria Murante, Sabina nuti, FranceSca Pennucci, Federico Vola
STUDI SULLA SANITÀ INTEGRATIVA E SULLA BILATERALITÀ - VOL. II Assistenza sanitaria integrativa: scenari futuri e possibili sinergie con il sistema sanitario nazionale a cura di Michele Faioli e Federico Vola working PaPer MeFoP n. 44/2018 - VoluMe
[2] [2]
Mastrobuono I, Guzzanti E., Cicchetti A., Mazzeo M.C. II finanziamento delle attività e delle prestazioni sanitarie. Il ruolo delle forme integrative di assistenza. Roma:Il Pensiero Scientifico Editore, 1999, modificata Maggio 2012
[3] La Commissione è stata presieduta e coordinata dalla Prof.ssa Grazia Labate, Ricercatrice presso l’Università di York in Inghilterra ed ex sottosegretario alla sanità con il Ministro Veronesi. La Scrivente ne ha fatto parte con altri esperti.