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QS Edizioni - giovedì 21 novembre 2024

Studi e Analisi

I medici, gli infermieri, le professioni “dimenticate” e il doppio gioco delle Regioni

di Ivan Cavicchi
immagine 2 gennaio - L’iniziativa presa dalle Regioni di istituire tavoli permanenti di confronto con singole professioni, prese ciascuna separatamente, fa il paio con il regionalismo differenziato che, sul lavoro, l’impiego delle professioni, la flessibilità delle competenze, le convenzioni e i contratti, la formazione, ambisce ad avere le mani libere e quindi a sostituirsi alla Stato centrale, manipolando una normativa nazionale vissuta evidentemente come eccessivamente vincolante
Dopo l’istituzione di un tavolo di confronto permanente tra Fnomceo e Regioni (QS 24 novembre 2018) corredato da un “protocollo di intesa”, a seguire viene quello tra Fnopi e Regioni, anche questo formalizzato con un protocollo di intesa (QS  20 dicembre 2018) e da quel che qualcuno scrive, esultando per il “regalo di natale”, sarebbe pronto quello con i tecnici di radiologia ed eventualmente un altro con le ostetriche (QS 21 dicembre 2018).
 
Le professioni dimenticate
Nel frattempo, il 15 gennaio, le “professioni dimenticate”, davvero gli ultimi operatori della sanità, ai quali va interamente il mio sostegno e la mia solidarietà ideale, faranno sciopero: “non possiamo continuare vedere queste categorie umiliate, mentre tutte le altre categorie sono convocate e ascoltate per sentire le loro istanze, instaurando rapporti e protocolli d’intesa. Noi OSS e altre categorie come gli infermieri generici, puericultrici, OSA-ASA continuiamo a rimanere non solo inascoltati, ma sconosciuti”.
 
Queste professioni, perché pur sempre professioni sono, proprio perché sino ad ora non sono mai state considerate come tali, in primo luogo chiedono pari dignità e in secondo luogo, usano una parola terribile e drammatica, che le altre professioni, non hanno mai usato che è “sfruttamento”.
 
In questa parola ci sono certamente i problemi del  lavoro usurante, dei carichi di lavoro, della sotto-retribuzione, ma soprattutto c’è la condizione insopportabile  di tanti lavoratori fantasma, altrettanto fondamentali  per la cura dei malati, che indipendentemente se  lavorano nei servizi pubblici, in  quelli privati o nel terzo settore, sono professioni ausiliare, abusate in funzione della loro ausiliarietà, nei loro diritti fondamentali e quindi ricattabili nel loro stato di bisogno occupazionale, e alle  quali si può imporre praticamente il sopruso come regola.
 
Il doppio gioco delle regioni
L’iniziativa presa dalle Regioni di istituire tavoli permanenti di confronto con singole professioni, prese ciascuna separatamente, fa il paio con il regionalismo differenziato che, sul lavoro, l’impiego delle professioni, la flessibilità delle competenze, le convenzioni e i contratti, la formazione, ambisce ad avere le mani libere e quindi a sostituirsi alla Stato centrale, manipolando una normativa nazionale vissuta evidentemente come eccessivamente vincolante.
 
Ma se per le Regioni i tavoli sono convocati al solo scopo di tagliare l’erba sotto i piedi al ministero della salute, per le professioni le ragioni sono molto diverse.
 
Per la Fnomceo il tavolo permanente è stato chiesto per due ragioni:
- risolvere la crisi dei rapporti tra ordine di Bologna e regione Emilia Romagna e quindi per scongiurare, attraverso un’intesa, la radiazione dell’assessore Venturi,
- trovare soluzioni di compossibilità tra gli obblighi deontologici dei medici e le decisioni gestionali delle regioni, quindi facilitare delle relazioni.
 
Purtroppo, nonostante il tavolo di confronto permanente, e lo sforzo di mediazione della Fnomceo, l’intesa tra l’ordine di Bologna e l’Emilia Romagna non c’è stata, nel senso che l’assessore Venturi ha tirato dritto per la sua strada confermando per intero le proprie delibere, per cui la deontologia è restata, contrapposta alla gestione, dimostrando che, da parte della Regione Emilia Romagna, la volontà politica di rispettarla, non c’è. Il tavolo serviva strumentalmente a tirare fuori dalle peste il proprio assessore nulla di più.
 
Per la Fnopi il tavolo è stato chiesto esattamente con obiettivi del tutto contrari: fare delle politiche, come quelle dell’Emilia Romagna, basate sulla fungibilità del ruolo del medico, una occasione per affermare la politica delle competenze avanzate.
 
Tavoli strumentalmente in conflitto
Quindi il tavolo Fnopi è in aperto conflitto con il tavolo Fnomceo. Il primo è apertamente contro la fungibilità del medico il secondo è per difendere la sua infungibilità. Per le regioni si tratta di approfittare dei conflitti tra le professioni ma per affermare la loro vera causa che è quella del regionalismo differenziato quindi di acquisire nuovi poteri ammnistrativi. Non si dimentichi che l’idea del comma 566 è stata originariamente delle regioni.
 
In particolare la regione Emilia Romagna, alla faccia delle terzietà, dell’imparzialità, del bene comune, intende servirsi della Fnopi per fare la festa alla Fnomceo e quindi ribadire la propria linea sulle competenze avanzate.
 
Non è un caso se la Fnopi, a differenza della Fnomceo, non solo non ha detto una parola contro il regionalismo differenziato, ma ha sostenuto i provvedimenti che hanno costretto l’ordine di Bologna a radiare il dottor Venturi “anche” assessore alla sanità, semplicemente perché agli scopi corporativi della Fnopi conviene la linea della regione Emilia Romagna.
 
La stessa Fnopi è quella che ha accettato il tavolo comune con la Fnomceo al quale non fa altro che parlare di integrazione, di multidisciplinarietà, di centralità del malato, di collaborazione, giurando e spergiurando che gli infermieri vogliono fare solo gli infermieri.
 
Regionalismo differenziato e corporativismo
Oggi con il tavolo Regioni/Fnopi, due conflitti di natura diversa, si sono sovrapposti e alleati, cioè il regionalismo differenziato si è messo insieme con il peggior corporativismo. Le Regioni sostenute dalla Fnopi, diversamente da tre anni fa, stanno tentando di aggirare l’ostacolo del ministero, quello che a suo tempo, per ragioni di “ordine pubblico” ha disattivato il comma 566, e insieme, come allora, stanno tentando la sortita contro-riformatrice. Un’altra spallata. Un altro esempio di stupida e arrogante violenza istituzionale.
 
A sostenerli incuranti del ridicolo gli stessi che hanno voluto che in questi anni si istituisse un osservatorio nazionale, una cabina di regia nazionale, una commissione paritetica nazionale (art 12 ccnl).
 
Vediamo questi protocolli
Quello fatto con la Fnomceo mette al centro:
- da una parte la salvaguardia del ruolo professionale del medico nel pieno rispetto delle norme deontologiche,
- dall’altra il rispetto delle “prerogative“amministrative di chi anche se medico svolge funzioni istituzionali “non correlati alla cura diretta di pazienti o all’esercizio professionale medico”.
 
Seguono altre questioni secondarie come il fabbisogno del personale, la promozione della legalità, la trasparenza, la prevenzione della violenza, ecc., un accenno alle “modalità di condivisione” delle tematiche con altri ordini.
 
Quello fatto con la Fnopi si apre con una premessa significativa dove si dice che le regioni devono fronteggiare nuove sfide, provvedere ad una revisione delle disposizioni nazionali che interessano le professioni infermieristiche, mediante la programmazione di un conforme percorso formativo e professionale e si conclude con precisi punti programmatici vale a dire:
- sviluppo di nuovi modelli organizzativo-assistenziali e di competenze esperte e specialistiche,
- standard del personale infermieristico del SSR anche in considerazione della riduzione degli organici per il blocco del turn over,
- sviluppo professionale e di carriera, formazione ed aggiornamento del personale infermieristico,
- ecc.
 
Nessun accenno alla possibilità di condivisione delle tematiche del tavolo con altri ordini.
 
Ma di quale organizzazione del lavoro parlate?
Se partiamo dalla semplice constatazione empirica che in tanti anni:
- la Fnopi ex Ipasvi non è riuscita, perché priva di un pensiero riformatore concreto, a ripensare seriamente le organizzazioni del lavoro nelle quali gli infermieri operano, quindi a cambiare nella sostanza la condizione di ausiliarietà di più di 400 mila persone,
- le regioni non sono riuscite a proposito di organizzazione del lavoro a ripensare quelle storicamente invarianti, per esempio quelle dell’ospedale, limitandosi a mutuare sempre vecchi modelli tayloristici.
 
se ne deduce che:
- sia la Fnopi che le Regioni, non avendo un vero pensiero riformatore, stanno bleffando cioè non sono in grado di riformare per davvero un alcunché,
- il richiamarsi alla organizzazione del lavoro, sia niente più che un pretesto per giustificare ben altre operazioni, le stesse che, qualche anno fa, diedero luogo alla “guerra delle competenze” e che ora anziché chiamarsi “avanzate” sono definite “esperte”.
 
Per chiarire ogni dubbio il segretario generale della Fials senza eufemismi parla su questo giornale, di “competenze avanzate”, ”nuovi incarichi professionali” “competenze avanzate come scelta strategica delle regioni” ”sviluppo concreto di incarico professionale” ecc. (QS 22 dicembre 2018).
 
Sfascia-carrozze
Nella impossibilità di inventare nuove organizzazioni del lavoro, tanto la Fnopi che le Regioni, possono solo tentare di contro-riformare gli ordinamenti in vigore. Cioè fare gli sfascia-carrozze. Ma questo ripropone la questione politica di un conflitto interprofessionale che, qualsiasi istituzione pubblica responsabile, in modo particolare le regioni, dovrebbe, nell’interesse dei malati, cercare di scongiurare non di alimentare o peggio di servirsene per i propri tornaconti.
 
Ma che razza di regione è quella che mette zizzania tra gli operatori della sanità anziché creare le condizioni migliori per la loro cooperazione?
 
La sfida della riforma del lavoro
Siccome ho proposto una “quarta riforma” e non vorrei passare per uno che non vuole cambiare niente…personalmente mi batto da tempo:
- perché gli infermieri diventino gli infermieri che ancora non sono, cioè sia risolto il primo vero demansionamento di massa della storia della sanità e che io definisco post ausiliarietà,
- per risolvere la “questione medica” che sta mettendo a rischio le prerogative più elementari di questa importante professione, ma anche i più elementari diritti dei malati.
 
Io, quindi, con la sfida della riforma del lavoro, sono disposto a misurarmi ma non certo seguendo le logiche contro-riformatrici della Fnopi e delle Regioni, ma al contrario immaginando un nuovo infermiere e un nuovo medico, dei rapporti tra loro rinnovati, e una nuova forma più avanzata di cooperazione interprofessionale. Il vero cambiamento non passa per le competenze cioè per la vecchia logica delle mansioni, ma per gli impegni e per prassi ripensate nei loro modi di essere ripensando l’operatore.
 
Ribadisco ciò che ho sostenuto nella “quarta riforma”: 40 anni di riformismo sono contraddetti dalla più grande invarianza di tutte le invarianze, che è quella del lavoro. Ecco perché oggi abbiamo la “questione professionale”.
 
Fino a quando il lavoro non sarà ripensato per davvero, la sanità:
- resterà culturalmente inadeguata nei confronti della società che cambia,
- relativamente insostenibile nei confronti dei problemi dell’economia.
 
Oggi le prassi tanto degli infermieri che dei medici sono inadeguate al confronto con le inedite complessità culturali di questa società, esse nascono da modi di essere della medicina ormai in crisi evidente di legittimità, per cui entrambi vanno ripensate e siccome sono indiscutibilmente interdipendenti vanno ripensate insieme e in modo consensuale e co-evolutivo.
 
Ma questa possibilità concreta è fuori dalla portata culturale tanto delle regioni che della Fnopi, quindi per loro, del tutto inconcepibile, roba da filosofi. Noi paghiamo il prezzo dei gravi limiti culturali di chi dirige queste tanto le regioni che le professioni.
 
Come possiamo cambiare tanto il medico che l’infermiere?
Per cominciare possiamo accordarci per:
- adottare tutti il principio del malato quale “archè” assumendolo come principio primigenio e deducendo da esso un genere di lavoro che a lui conviene e che nello stesso convenga anche allo Stato,
- inventare una nuova organizzazione del lavoro per prima cosa andando oltre gli schemi della logica mansionistica delle competenze, e quindi della logica tayloristica e fordista, perché, come dimostra il mondo manifatturiero, essa non conviene più a nessuno è un rottame di altri tempi quindi non conviene né ai bilanci né ai malati,
- adottare soluzioni integrate, mobili, flessibili, intercambiabili, più legate alle complessità da governare che non alle logiche divisionali delle strutture nelle quali si opera,
- riformare nel caso degli infermieri le loro tradizionali relazioni di ausiliarietà con nuove relazioni di interazione cooperativa, di complementarietà reciproca dentro un progetto di coevoluzione professionale.
 
Chiedo tanto alla Fnopi che alle Regioni perché:
- dal momento che gli oss gli infermieri i medici devono lavorare insieme, anziché separare, giustapponendo le professioni a canna d’organo, e metterle in competizione, non ragioniamo di gruppi integrati e di cooperazione?
- Non ridefiniamo gli organigrammi per gruppi integrati anziché per singole professioni deducendole da parametri diversi dai posti letto o da altri parametri strutturali? Cioè perché non puntare su logiche funzionali e pragmatiche?
- Non abbandoniamo il principio dell’ascription che,ormai a parte la Fnopi e le regioni, tutto il mondo considera troppo burocratico e inadeguato e non adottiamo quello dell’achievement molto più pragmatico?
- Perché alle competenze non preferire i risultati ripensando i sistemi retributivi?
- Non cambiamo lo status giuridico dei dipendenti siano essi oss infermieri e medici, cioè mettiamo in soffitta i “compitieri” del primo novecento e non scommettiamo su degli “autori” anche al fine di responsabilizzarli nella conduzione aziendale?
 
Tutto questo e molto altro significa ripensare le organizzazioni del lavoro non le stupidaggini che avete scritto nei vostri protocolli. Come fate a ridefinire le professioni senza prima ridefinire la nozione di servizio, quella di equipe, quella di prassi, di relazioni interprofessionale? Come fate ad accrescere l’aderenza delle prassi a questa società e a questa economia senza aggiornare i vostri superati paradigmi di riferimento al mondo che cambia?
 
“Che frutti infamia al traditor ch'i’ rodo”
Siccome questi protocolli e questi tavoli risentono, anche per i personaggi che ci sono dietro, di una forte “emilianità” e siccome tutto viene dopo la radiazione dell’assessore Venturi, all’ordine dei medici di Bologna vorrei:
- riconoscere il merito di aver sentito puzza di bruciato molto tempo prima che divampasse l’incendio della contendibilità e della fungibilità del ruolo medico,
- dire che ha fatto bene a radiare il dottor Venturi, se avevamo dubbi sulla sua malafede e su quella del presidente Bonaccini, oggi, non c’è più ragione di  confermarli.
 
Costoro sono dei traditori di cui non è possibile fidarsi, intendendo per traditori sia coloro che vengono meno a impegni solenni, sia coloro che ci deludono con le loro incoerenze.
 
Costoro hanno praticamente disatteso l’accordo con la Fnomceo contrapponendogli quello con la Fnopi.
Venturi, come medico, nei confronti delle regole deontologiche della professione che ha arbitrariamente violato, il presidente Bonaccini come istituzione nei confronti degli ordinamenti nazionali sulle professioni, sui ruoli, sulla formazione, che fino a quando non saranno cambiati è tenuto come rappresentante dello Stato, a rispettare.
 
Per costoro vale quanto scritto da Dante che frutti infamia al traditor ch'i’ rodo” (XXXIII canto inferno).
 
In particolare per Venturi personalmente ho trovato poco politico e perfino impudente, per non dire di pessimo gusto, che egli accettasse di sovraintendere il tavolo con gli infermieri al fine di ridiscutere unilateralmente il ruolo del medico, dopo che egli, da medico, per questa ragione, è stato radiato dall’ordine di Bologna.
 
Dopo la “lista Venturi” le “petizioni” sollecitate contro l’ordine di Bologna, le firme raccolte dai direttori generali si badi bene tutti di nomina regionale, questo è un altro sbaglio politico che il PD emiliano romagnolo rischia di pagare caro.
 
Tradimento della politica
Tradimento quindi anche da parte del partito che governa l’Emilia Romagna, al quale appartiene l’assessore Venturi e il presidente Bonaccini, il PD, che evidentemente ha avallato gli atti politici di questa giunta, compreso il correre dietro alla lega sul regionalismo differenziato, tradendo, oltre che un’indole neoliberista a proposito di fondi integrativi, una avversione contro riformatrice contro  gli ideali di universalità di solidarietà del sistema pubblico.
 
Il PD di questa regione, sul piano elettorale, già nelle precedenti elezioni ha pagato con l’astensionismo un prezzo di consenso molto alto, e in quell’occasione i rumors proprio in casa PD addebitarono all’assessore Venturi, cioè alle sue incapacità, la perdita di almeno 50.000 voti, fino ad accarezzare l’idea, poi accantonata, di farlo fuori. Non credo che i tavoli di cui l’assessore Venturi è il primo fautore, faranno riguadagnare i consensi perduti, credo invece il contrario e non escludo che alle prossime elezioni regionali il governo della regione Emilia Romagna passi la mano ad altri schieramenti politici. I medici votano come gli infermieri ma è noto che il loro impatto sul sociale è molto più alto.
 
Paramedici, quasi medici e peones
La Fnopi, come le regioni, rientra a parer mio, nella categoria degli opportunisti, cioè di coloro che, scriveva Hume, ad un graffio del loro dito preferiscono il crollo del mondo. Difronte al regionalismo differenziato si fregano le mani pensando agli affari che esso permetterà. A loro non interessa essere usati dalle Regioni per scopi discutibili e men che mai che le regioni mettano in pericolo i valori fondanti del sistema pubblico.
 
Eppure ci sono coerenze e valori che vanno oltre gli interessi corporativi e riguardano la credibilità di una professione dentro un’impresa sociale che impone a tutti noi dei doveri verso gli altri.
 
Voi della Fnopi parlate ad ogni piè sospinto di fare l’interesse del malato ma per i vostri discutibili interessi, di quel malato, costi quel costi, se necessario fate strame. Che al malato convenga come si è detto alla X conferenza della professione infermieristica (QS 1 agosto 2018) “sgranare” il ruolo dell’infermiere, o contendere al medico le sue prerogative, o ancora sostituirlo in parte o in toto nelle sue competenze, ho i miei dubbi.
 
Al malato conviene sempre ciò che, riguardo i suoi bisogni, lo garantisce di più. A quel tavolo con le Regioni non mi risulta che siano stati invitati i cittadini a dire la loro opinione. Si da per scontato che i malati siano rappresentati dalla Fnopi.
 
Riformare il genere di infermieri
Se per me si tratta di riformare il genere ausiliario di una intera categoria che passando dal diploma alla laurea, non ha visto grandi cambiamenti, per la Fnopi si tratta di rubare qualche gallina nel pollaio dei medici, frammentare il profilo in tanti sub-mansionari, usare le specializzazioni come se fossero competenze avanzate, fare emergere dei super infermieri “quasi medici” ma lasciando tutti gli altri nella più medioevale ausiliarietà. Peones nulla di più. Braccianti a giornata.
 
Sono convinto da anni che questa società abbia bisogno sia di un nuovo infermiere che di un nuovo medico, ma più che mai oggi sono convinto che il loro ruolo debba essere universale per garantire tutti coloro che di loro avranno bisogno tanto al nord quanto al sud. Il venir meno dell’universalità dei ruoli, significa differenziare i trattamenti e a diseguaglianze aggiungere altre diseguaglianze. L’universalità di un ruolo professionale, di un modello di formazione, garantisce l’universalità del diritto
 
Conclusioni
Mi auguro che il ministro Grillo accolga quanto prima la sacrosanta richiesta di incontro delle “professioni dimenticate” ma nello stesso tempo mi auguro che il ministro chiarisca con le regioni che:
- fino a quando la normativa sui ruoli professionali non sarà legittimamente cambiata essa non può essere stravolta da nessun assessore alla sanità e in nessun caso,
- ridefinire i ruoli non può essere in nessun caso delegabile al livello regionale perché essi sono una garanzia di universalità dei trattamenti
- la ridefinizione dei ruoli in ragione della loro interdipendenza non può esser fatta né con logiche corporative né con logiche competitive ma solo con logiche coevolutive e cooperative,
- la ridefinizione dei ruoli è prima di ogni altra cosa una questione deontologica e sociale in nessun caso è concesso di ridefinire i ruoli degli altri in aperto contrasto con le deontologie degli altri dal momento che tali deontologie sono prima di ogni cosa una garanzia per il cittadino,
- la ridefinizione dei ruoli implica necessariamente una convenzione dei punti di vista professionali quindi un procedimento consensuale, non sono ammessi colpi di mano,
- la ridefinizione di un ruolo è un atto di riforma e come tale vale come riformare il sistema di valori che concorrono da punti diversi a definirne la complessità,
- il ruolo non è in alcun modo riducibile a compito, il ruolo è un comportamento professionale atteso, per sua natura complementare ad altri ruoli che prevede una coerenza delle prassi prima di ogni altra cosa con i bisogni di questa società. Quindi un’accettazione sociale.
 
Partendo dal presupposto che se c’è interdipendenza tra le professioni pur gerarchicamente organizzate, nessuna professione può essere definita senza definire contestualmente e consensualmente le relazioni con le altre professioni, si tratta, per il ministero della salute, di:
- prevenire nuove guerre tra professioni,
- respingere con fermezza la pretesa irresponsabile   delle regioni, di surrogare la funzione del ministero, in tema di ruoli professionali e di formazione, con tavoli arbitrari quanto abusivi,
- convocare il tavolo che nessuno ha mai convocato che è quello che dovrà mettere insieme tutte le professioni interdipendenti.
 
Ivan Cavicchi
2 gennaio 2019
© QS Edizioni - Riproduzione riservata