Nella sua lucida lettera al direttore di QS dal titolo “
Regionalismo differenziato. Manca un vero dibattito”
Marco Geddes da Filicaia fa giustamente notare come in tema di regionalismo differenziato
“il dibattito risulta sostanzialmente assente, in particolare fra le forze politiche che siedono nell’attuale Parlamento e nei Consigli regionali”.
A questo si aggiunge una crescente richiesta di autonomia della singole regioni che interessa anche quelle, come la Toscana o L’Emilia Romagna, caratterizzate da una storica capacità di coniugare qualità dei servizi e controllo dei flussi finanziari.
Regioni che dunque non hanno necessità di modificare il proprio assetto istituzionale in quanto le crescenti difficoltà nel controllo della spesa sono da attribuire in larga misura alla drammatica contrazione dei trasferimenti dello stato e alle numerose finanziarie che in corso d’opera hanno ridotto i finanziamenti precedentemente stanziati.
Questa furia riformista non sembra dunque risparmiare nessuno , ivi compreso il Presidente della regione Toscana, Enrico Rossi che, da un lato lancia anatemi contro il “modo penoso” delle regioni di chiedere più autonomia e dall’altro vuole procedere a una ulteriore riforma della sanità toscana intervenendo ( e facendo una invasione di campo) su aspetti riservati alla competenza statale.
I presidenti regionali sembrano ormai pervasi da una smania riformistica che sempre più appare come il desiderio, più o meno camuffato, di affermare nei propri territori un’autonomia totale senza più vincoli da parte dello Stato.
Il pregio della lettera di Marco Geddes da Filicaia è anche quello di non limitarsi a sottolineare la necessità di avviare una riflessione su questi temi ma di delineare a livello
macro una cornice in sette punti nella
governance complessiva da parte dello Stato in cui un sano regionalismo potrebbe poi declinare le proprie specificità storico –culturali.
Di questi sette punti voglio riprendere per motivi di spazio, soltanto alcune indicazioni che mi sembrano particolarmente stimolanti e che riguardano in modo particolare il tema della “riorganizzazione e potenziamento degli strumenti tecnico – scientifici nazionali, con una maggiore sinergia e unitaria “regia” di tre fondamenti istituzioni: AIFA, Istituto superiore di Sanità, Agenzia nazionale dei servizi regionali (Agenas).
E’ questo un aspetto della massima importanza. Il penoso dibattito sui vaccini non sarebbe neanche iniziato se la titolarità sui temi riguardanti farmaci e procedure di immunizzazione e prevenzione collettiva fosse di esclusiva e riconosciuta competenza dei tecnici dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’AIFA. Organismi, voglio ribadirlo, terzi rispetto alla politica, che continuano ad essere un vanto per il paese.
Voglio ricordare che in questi giorni ( e qui mi riallaccio a un altro punto messo in rilievo da Geddes e relativo alla ricerca indipendente) è stato pubblicato da Guido Valesini dell’Università La sapienza e dai ricercatori dello stesso Istituto Superiore di Sanità uno studio di grande importanza dal tiolo
“Diesel exhaust particles induce autophagy and citrullination in Normal Human Bronchial Epithelial cells” sulla rivista Cell Death & Disease
in cui si dimostra sperimentalmente come nella patogenesi dell’ artrite reumatoide (una malattia autoimmune), un ruolo causale diretto sia svolto dall’inquinamento ambientale e in particolare dal particolato diesel.
Sarebbero le particelle incombuste , infatti, a modificare le cellule dell’epitelio bronchiale determinando una alterazione delle proteine (citrullinizzazione) tali da renderle estranee e non più tollerate dal sistema immunitario dell’organismo e avviando una risposta immune contro le componenti self in grado di danneggiare successivamente articolazioni e organi interni.
E’ del tutto evidente che tali studi che ribadiscono il ruolo dell’ambiente nella genesi delle malattie non sarebbero possibili se non esistesse una ricerca indipendente. Nell’epoca della medicina di precisione, che sempre più appare come un’arma di distrazione di massa, l’interesse del complesso farmaco industriale (da cui viene sponsorizzata una ricerca inevitabilmente di parte) è quello di produrre farmaci innovativi che agiscono
ex post e non certo quello di eliminare quei fattori in grado di svolgere
ex ante un ruolo patogeno.
Un secondo aspetto che vorrei sottolineare è il potenziamento dell’AGENAS.
Anche in questo caso è del tutto evidente che la gestione delle malattie a maggiore impatto assistenziale (le patologie tempo dipendenti e quelle ad andamento cronico) pur potendo essere diversamente declinata deve necessariamente riconoscersi in un modello di organizzazione unitario e basato sulla costituzione di specifiche reti clinico-assistenziale.
Sono infatti solo le reti assistenziali che possono garantire una effettiva presa in carico del paziente e la definizione di un percorso diagnostico terapeutico a complessità crescente che si può realizzare solo attraverso la costituzione formale di una rete di servizi collegati tra loro e in cui ciascuno sa cosa fare e come farlo.
Se questo fosse non assisteremmo alla drammatica situazione dell’allergologia italiana dove a fronte di un’altissima prevalenza di patologie allergiche i servizi sono ormai ridotti alla inconsistenza e dove si assiste nella totale indifferenza a un vergognoso shift vero il privato.
Anche qui diventa urgente la definizione di Linee guida che obbediscano a criteri di assoluta indipendenza dal complesso farmaco-industriale privato e anche in questo caso la titolarità non può non essere che dell’Istituto Superiore di sanità.
A tale riguardo voglio citare un ulteriore lavoro di Molly M. Jeffery e coll in corso di pubblicazione sulla più importante rivista mondiale di Allergologia e immunologia clinica (J ALLERGY CLIN IMMUNOL PRACT MONTH 2017) e relativo all’appropriatezza sull’uso di un farmaco biologico omalizumab ad alto costo nella cura dell’asma.
I ricercatori, analizzando i report di oltre 7000 pazienti che utilizzano il farmaco, sono pervenuti alla conclusione che “ una largo numero di pazienti non erano stati adeguatamente trattati con farmaci basati su corticosteroidi e broncodilatatori inalatori ( che rappresentano il trattamento di scelta a costo estremamente più basso) nei 12 mesi precedenti l’inizio del trattamento con omalizumab.
In aggiunta molti pazienti che iniziavano una terapia con omalizumab sembravano avere un buon controllo dei sintomi e uno scarso numero di riacutizzazioni. Fatti questi che dimostrano un uso assolutamente improprio di un farmaco che può e deve essere una opzione terapeutica riservata esclusivamente ai soggetti che non rispondono alle terapie convenzionali.
Anche in questo caso è del tutto evidente la necessità che ci siano degli enti preposti alla definizione/ revisione delle linee guida ( con il concorso delle società scientifiche che devono dimostrare la loro indipendenza) e di controllo ( AIFA) in grado di esercitare una vigilanza sull’appropriatezza delle prescrizioni farmaceutiche su tutto il territorio nazionale
Aggiungo infine una ulteriore riflessione che è anche un suggerimento di integrazione al lavoro di Geddes.
Al di là di ogni considerazione è innegabile che nell’ultimo decennio il ruolo dei professionisti sanitari nella gestione/organizzazione del lavoro, sia diventata sempre più marginale. I Medici in particolare sono stati totalmente espropriati di ogni potere nella progettazione di servizi e nella verifica della qualità (alla cui valutazione dovrebbero partecipare attivamente anche i cittadini)
Nell’affidamento della gestione delle aziende sanitarie a un corpo di professionisti con competenze manageriali di impostazione aziendalistica, i parametri di riferimento sono diventate le quantità e il controllo numerico delle prestazioni. Un modello pseudo-produttivistico che mortifica la qualità e non tiene in nessuna considerazione presa in carico del cittadino e risultati di salute.
Anche in questo caso, a un livello
meso di riprogettazione dei servizi si dovrebbe puntare non al prestazionismo senza distinzioni di ispirazione bocconiana, ma ad una integrazione tra le diverse competenze e alla messa in atto di azioni concertate e orientate per creare valore aggiunto dal lavoro in team.
Ho già più volte indicato alcune soluzioni al problema che ora non posso riprendere per motivi di spazio.
Suggerisco dunque a Marco Geddes una riflessione anche su questi temi con la speranza che finalmente si riapra una stagione di dibattito sulla sanità in cui si abbandoni l’inutile retorica e vengano invece avanzate proposte concrete e realizzabili per un vero rilancio del nostro SSN.
Roberto Polillo