La politica delle vaccinazioni non è la scienza dei vaccini con le sue evidenze ed i suoi limiti. Quando si decide di porre, o abolire, un obbligo vaccinale, specie se accompagnato da sanzioni così afflittive come l’esclusione scolastica, si prendono in considerazione numerosi fattori fra cui hanno molto peso quelli socio-culturali, tipo natura e limiti delle sanzioni, possibilità di accedere alle vaccinazioni liberamente e senza costi per le fasce di popolazione più disagiata, nonché la percezione dell’importanza delle vaccinazioni nell’intera comunità. In questo complesso scenario, l’obbligo sanzionatorio è materia di politica sanitaria sotto scrutinio e discussione in tutti i Paesi e del quale ho provato a trarre alcune riflessioni nella forma di un saggio intitolato
Dialogo sui Vaccini (
vedi altro articolo).
Il nostro Paese è internazionalmente noto per la diffusa ed erronea tendenza a considerare davvero essenziali per la salute solo i vaccini resi obbligatori (vedi quanto pubblicato lo scorso agosto da qualificati ricercatori del Nord America su “
Vaccine”, una importante rivista scientifica del settore).
La popolazione è stata a ciò indotta da lunghi anni di offerta vaccinale altalenante ed ambigua, mai supportata da un vero piano di formazione degli attori fondamentali per l’accettazione non-coercitiva della pratica vaccinale, cioè i medici di medicina generale, i pediatri ed altri operatori chiave dei servizi sanitari. E di certo non ha aiutato a rimediare all’errore l’ascesa dell’argomento vaccini ad insensata diatriba fra “scienziati” ed “ignoranti” o peggio ancora, a materia di scontro politico. Non essendo mai stata seriamente combattuta, l’associazione fra “importanza” ed “obbligo”, è diventata così intrinseca al mood popolare che sono bastati pochi mesi di obbligo della vaccinazione antimorbillo, prima pur fortemente raccomandata, per elevarne significativamente la copertura (da meno del 90% fin quasi alla soglia dell’immunità di comunità, 95% , in alcune regioni) .
E però, quest’ultima risulta ancora decisamente bassa per vaccini contro la meningite da meningococchi e le patologie da papilloma virus, che credo nessuno possa seriamente affermare esser meno importanti per la salute pubblica del vaccino antimorbillo. In un contesto socio-culturale di questo genere, modificare più volte, in un arco ristretto di tempo, la politica dell’offerta vaccinale con i relativi obblighi e sanzioni vieppiù rafforzerebbe l’errata percezione della popolazione italiana sull’importanza relativa delle diverse vaccinazioni.
Se, per esempio, l’esistenza di un focolaio epidemico inducesse le autorità a proporre di mantenere l’obbligo vaccinale solo per il vaccino contro il morbillo e far passare tutti gli altri contro malattie non epidemiche nella fascia delle vaccinazioni raccomandate, il messaggio percepito dalla popolazione sarebbe che prevenire l’insorgenza di malattie quali tetano, epatite, difterite e meningite, coperte dagli attuali obblighi vaccinali, è diventata improvvisamente meno importante che prevenire il morbillo o la varicella, cosa davvero ridicola.
Se poi l’idea di fondo, il non-detto, di queste proposte è che l’offerta vaccinale non deve mai essere coercitiva ma solo sostenuta da una seria politica di informazione, formazione e persuasione, con i relativi costi, bisogna uscire allo scoperto, non prendere scorciatoie o sotterfugi di stampo politichese. Il confronto con i sostenitori dell’obbligo e delle sanzioni sarà franco, probabilmente leale e forse costruttivo se e solo se riguarderà tutti i vaccini.
Antonio Cassone
American Academy of Microbiology