Tante riforme, atti e provvedimenti, ma per beneficiare dei frutti ce ne vuole. La pensano così le persone con patologie croniche e rare che, nonostante molto sia stato fatto, dal Piano nazionale cronicità ai nuovi Lea, ancora non vedono grandi risultati e non si sentono al centro del percorso di cura. Oltre il 70% vorrebbe che si tenessero in maggiore considerazione le difficoltà economiche e il disagio psicologico connessi alla loro patologia. Chiedono quindi cure più umane: circa otto su dieci vorrebbero essere maggiormente ascoltati dal personale sanitario (80,5%), e poco meno di otto su dieci vorrebbero liste d’attese meno lunghe (75,6%), ma anche più aiuti alla famiglia per gestire la malattia (70,7%) e meno burocrazia (68,2%). Anche sul fronte del “già fatto” ci sono difficoltà: il recepimento del Piano cronicità procede a differenti velocità con cinque regioni (Umbria, Puglia, Lazio, Emilia Romagna e Marche) che lo hanno recepito formalmente, e una, il Piemonte, dove è in itinere. I nuovi Lea? Sono ancora bloccati dalla mancata emanazione dei due decreti per la definizione delle tariffe massime delle prestazioni ambulatoriali e quello dei dispositivi protesici. E ancora, mancano gli accordi di Stato e Regioni sui criteri per uniformare l’erogazione delle prestazioni demandate alle regioni che, se approvati, potrebbero ridurre iniquità e oneri inutili per i cittadini.
È questo il quadro che emerge dal
XVI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità “Cittadini con cronicità: molti atti, pochi fatti”, presentato oggi a Roma dal Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva, con il sostegno non condizionato di Msd. Un Rapporto al quale hanno partecipato 50 associazioni di pazienti con patologie croniche (52%) e rare (48%), con l’obiettivo di verificare quanto il Piano nazionale delle cronicità, varato di recente, sia ad oggi rispettato nelle sue diverse fasi.
“É sempre più insostenibile lo scarto tra la mole di norme e atti di programmazione prodotti negli ultimi anni e la loro effettiva capacità di apportare cambiamenti reali nella vita quotidiana delle persone con malattie croniche e rare e delle loro famiglie – ha dichiarato
Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale della Associazioni dei Malati Cronici – per questo al futuro Governo e alle Regioni chiediamo di passare dagli atti ai fatti sulle politiche per la presa in carico della cronicità in ogni angolo del Paese”.
Gli esempi più macroscopici sono il Piano nazionale Cronicità, approvato ormai 20 mesi fa, e i nuovi Lea, in vigore da 14 mesi. Ebbene il recepimento del Piano procede a rilento e a macchia di leopardo: ad oggi solo Umbria, Puglia, Lazio, Emilia Romagna e Marche lo hanno recepito formalmente, mentre il Piemonte ha l’iter di recepimento ancora in corso. “I nuovi Lea che riconoscono nuovi diritti per i cittadini – ha aggiunto Aceti – per una buona parte invece sono ancora totalmente bloccati dalla mancata emanazione dei due decreti per la definizione delle tariffe massime delle prestazioni ambulatoriali e quello dei dispositivi protesici. E ancora, mancano gli accordi di Stato e Regioni sui criteri per uniformare l’erogazione delle prestazioni demandate alle regioni che, se approvati, potrebbero ridurre iniquità e oneri inutili per i cittadini. E se nel Piano cronicità le Associazioni hanno avuto e continuano ad avere un ruolo da protagoniste e hanno un luogo, la Cabina di Regia, in cui concorrere all’implementazione e al monitoraggio, altrettanto non si può dire per i Lea che restano autoreferenziali. L’appello che lanciamo oggi – ha concluso – è quello di aprire la Commissione Nazionale Lea alle organizzazioni civiche”.
Ma quali sono i dati emersi dal rapporto?
Secondo il 35,7% delle associazioni non si fa prevenzione e solo per il 19% questa riguarda bambini e ragazzi. A promuovere programmi di prevenzione sono le stesse associazioni nel 98% dei casi. Oltre il 73% denuncia ritardi nella diagnosi, imputabili alla scarsa conoscenza della patologia da parte di medici e pediatri di famiglia (83,7%), sottovalutazione dei sintomi (67,4%), mancanza di personale specializzato e di centri sul territorio (58%).
Del tutto carente l’integrazione tra assistenza primaria e specialistica (lo denuncia il 95,8%), così come la continuità tra ospedale e territorio (65,1%) e l’assistenza domiciliare (45,8%). L’integrazione sociosanitaria e i Percorsi diagnostici-terapeutici sono attuati solo in alcune realtà (rispettivamente per il 52,2% e il 43,9%). Laddove esistono i PDTA, solo la metà delle persone si sente realmente inserita in un percorso di cura. Ma quando il PDTA si traduce in azioni concrete, gli effetti positivi non mancano: prenotazione automatica di visite ed esami (50%), meno costi diretti (28,5%), diminuzione delle complicanze (21,4%).
Per i soggetti più complessi, portatori di più patologie, è previsto, invece, il così detto PAI (Piano di cura personalizzato), anche questo poco presente solo in alcune realtà (23%). L’aspetto, poi, più paradossale è che il piano dovrebbe essere, appunto, personalizzato, ma nella metà dei casi il paziente e/o il caregiver non viene coinvolto.
I registri sono diffusi in tutte le Regioni solo per il 19,3% del campione e il 37,5% segnala che non esiste un registro della propria patologia. Laddove presenti, questi registrano soprattutto dati relativi a farmaci e dispositivi utilizzati dai pazienti, mentre vengono per lo più ignorati i bisogni socioeconomici e sociosanitari.
L’emanazione dei nuovi Lea, per oltre il 55%, non ha prodotto cambiamenti rilevanti per la propria patologia, perché, in oltre un quarto dei casi (26,2%), di fatto non è stato attuato quanto previsto dalla legge.
In tema di assistenza ospedaliera, la metà denuncia lunghe liste di attesa per essere ricoverato, la distanza dal luogo di cura, la mancata predisposizione della dimissione protetta. Sul territorio, le carenze sono evidenti: al primo posto i tempi di attesa, segnalati dal 90%, per accedere alle strutture riabilitative, alle lungodegenze o RSA, alle strutture semiresidenziali.
Nel caso delle RSA e lungodegenze, si segnala la mancanza di équipe multiprofessionali (55%), i costi eccessivi per la retta (50%), la necessità di pagare una persona per assistere il malato (45%); nei centri diurni per attività terapeutico-riabilitative, spesso la riabilitazione è a totale carico del cittadino (44,4%) ed i tempi di permanenza sono troppo brevi per raggiungere il grado di riabilitazione necessario (44,4%).
Non va meglio per l’assistenza domiciliare: in questo caso, infatti, il numero di ore di assistenza erogate risulta insufficiente (61,9%), manca l’assistenza psicologica e quella di tipo sociale (57,1%) è di difficile attivazione e spesso viene negata (52,3%).
Per quanto riguarda l’assistenza farmaceutica, in cima ai problemi si trova la spesa economica per farmaci in fascia C (62%), seguita dalla limitazione di prescrizione da parte del medico di medicina generale (58,6%) e la difficoltà nel rilascio del piano terapeutico (48,2%).
Permane un problema di differenze regionali, sia nella quantità (70,8%) che nella qualità (58,3%) dei presidi per l’assistenza protesica ed integrativa erogati, seguito dai tempi di autorizzazione e rinnovo troppo lunghi (54,1%).
A detta dell’81,5% delle associazioni, i bisogni psicosociali non vengono presi in considerazione e per il 73,8% la persona, il familiare e il caregiver non vengono coinvolti né sostenuti dal punto di vista educativo e formativo.
Disagi psicologici sottovalutati o ignorati. I disagi psicologici accomunano tutti e, come abbiamo sottolineato in precedenza, sono spesso sottovalutati o del tutto ignorati. Ma ci sono bisogni specifici, legati alle varie fasi della vita, che vengono altrettanto ignorati: per il 70% dei bambini o ragazzi affetto da una malattia cronica o rara, la prima difficoltà sta nel comunicare la propria patologia e i due terzi lamentano difficoltà a partecipare alle attività scolastiche ed extrascolastiche. Gli adulti segnalano problemi nel riconoscimento dell’invalidità civile ed handicap (64,8%), mancanza di orientamento dei servizi (59,4%), mancanza di tutele sul posto di lavoro (51,3%).Le difficoltà degli anziani con malattia cronica sono, invece, per lo più legate agli spostamenti per curarsi (84,3%), problemi di isolamenti sociale (75%) e difficoltà economiche (71,8%).
I costi. Fra i principali costi sostenuti privatamente dai pazienti e dalle loro famiglie, ci sono quelli per l’adattamento dell’abitazione (fino a 60mila euro in un anno), la retta per le strutture residenziali o semiresidenziali (fino a 36mila euro), il costo per la badante (fino a 25mila euro).
Cinque proposte per le istituzioni. Alla luce dei dati emersiCittadinanzattiva – Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici raccomanda alle Istituzioni di mettere in atto 5 attività semplici e prioritarie per aggredire le principali difficoltà che oggi incontrano le persone affette da patologia cronica e rara e le relative famiglie.
1.
Passare dalle parole ai fatti, attraverso un’attuazione sostanziale di quanto già previsto nelle norme, in particolare attraverso:
- l’emanazione dei decreti per definizione delle tariffe massime delle prestazioni ambulatoriali e quello dei dispositivi medici, che rendano realmente esigibili i nuovi Lea;
- l’inserimento all’interno della Commissione nazionale per l’aggiornamento dei Lea siano inclusi anche i rappresentanti delle Organizzazioni civiche di tutela del diritto alla salute
- il riordino dell’assistenza territoriale;
- l’introduzione di Pdta che partano dai reali bisogni delle persone affette da patologie croniche e rare e non siano puri atti formali;
- il riordino delle liste d’attesa con percorsi personalizzati per chi è affetto da patologie croniche.
2.
Garantire il recepimento e l’attuazione uniforme tanto al livello regionale, quanto a quello aziendale, del Piano nazionale delle cronicità. In particolare si chiede:
- il recepimento non solo formale, del Piano Nazionale Cronicità da parte di tutte le Regioni;
- attivare le Commissioni Regionali, che prevedono la partecipazione delle associazioni di tutela dei malati cronici, per garantire l’attuazione e la valutazione delle azioni e degli obiettivi previsti dal Piano.
3.
Semplificare e rendere più omogenee su tutto il territorio le procedure burocratiche, come nel caso di: rilascio del piano terapeutico; richiesta di protesi ed ausili; riconoscimento di invalidità ed handicap; individuazione dei servizi presenti sul territori; accesso ad agevolazioni fiscali e di altro genere, accesso ai servizi sociali.
4.
Maggiore attenzione verso le condizioni di fragilità: di tipo sociale, di tipo economico e di tipo psicologico, in considerazione anche della fascia di età della persona. Sviluppando politiche che favoriscano l’integrazione del bambino/ragazzo con una patologia cronica o rara e la transizione nella delicata fase della presa in carico dall’età infantile all’età adulta;
politiche del lavoro che siano di supporto a chi si trova in età adulta ed ha difficoltà a gestire la patologia; e politiche di assistenza non solo sanitaria, ma anche sociale e psicologica dell’anziano, che evitino il suo progressivo isolamento dalla società.
5.
Mettere a punto un provvedimento nazionale di riordino del settore farmaceutico e del conseguente accesso alle terapie farmacologiche, con cui si chiariscano con esattezza ruoli, funzioni, tempistiche, responsabilità, partecipazione delle associazioni di cittadini e pazienti nel processo, aspetti regolatori che mettano a sistema sia il ruolo di Ema, sia quello nazionale, regionale e aziendale, al fine di garantire trasparenza delle decisioni.
Ester Maragò