Gli episodi di malaffare sanitario sono grani di un rosario a quella Mater Dolorosa che è la nostra sanità quando trascinata nel mood di malversazione endemico nel Paese, quell’ineluttabile coazione ad arraffare soldi pubblici come per un principio fisico ineludibile, l’entropia del mariuolo.
L’indignazione derivante, certo legittima, va però maneggiata con prudenza, rischiando di trascinare populisticamente anche il buono del sistema in un indistinto calderone. Ad esempio, dubito dell’utilità di certi (non tutti) “professionisti dell’anticorruzione” (Sciascia) dal sopracciglio aggrottato in favore di telecamera, ma solo al mattino (al pomeriggio fanno i lobbisti), e dei loro calcoli non proprio da econometristi bayesiani (“ho affettato 6 miliardi, che faccio lascio?”).
Non solo. La veemenza urlata ha sì funzione catartica psicologicamente appagante (Freud e Breuer) ma proprio per questo può offuscare un’osservazione più oggettiva delle cause del problema, ovvero di certe condizioni propedeutiche a tali devianze insite nella normalità del sistema e ad esso utili, anzi indispensabili, come gli acquisti Ssn da privati e le sovrapposizioni di ruolo con questi, strutture e singoli.
Il Ssn è il secondo datore di lavoro del Paese, il numero di sue strutture per abitanti è tra i più elevati in EU, ma la sua spesa pro capite è sotto la media dei big EU. Strutture consistenti ma da far funzionare con risorse risicate. Delle quali però si spende una buona parte per comprare prestazioni sanitarie da privati (ospedaliere, ambulatoriali, diagnostiche, ecc.), Lombardia e Lazio fino a quasi il 30% del loro Fsn, il 10% circa in Umbria, Toscana o Friuli (dati Agenas). Perché?
Per i sacri tomi si ricorre all’outsourcing se internamente non si soddisfa tutta la domanda oppure perché è migliore o più economico. Quindi “si deve” o “si preferisce”: differenza strategico-programmatoria fondamentale.
Nel primo caso (“si deve”), es. le Regioni a prevalente erogazione diretta Ssn, dove quella spesa è appunto minore, si compra all’esterno quando la capacità produttiva “in house” è saturata ma resta inevasa parte della domanda Lea. Le strutture Ssn sono perciò sottodimensionate rispetto a domanda e a Fsn. O, se preferite, domanda e Fsn sono commisurati tra loro, mentre le strutture produttive Ssn sono ad essi sottodimensionate. Quindi, avanzandomi soldi, devo andare a comprare all’esterno. Ciò vale ovviamente solo se la “produzione” interna è a piena efficienza, “paretiana”, senza utilità marginale aggiuntiva aumentando il budget.
Nel secondo caso (“si preferisce”), es. il modello lombardo di equiparazione competitiva tra pubblico e privato (vedi anche il recente discusso piano cronicità) o nel Lazio storicamente basato, di fatto, sul rimborso a “piè di lista”, va al privato una quota di spesa Ssn, fino a quasi il 30%, in un contesto di concorrenza col pubblico (internal market).
Le strutture Ssn sono sulla carta dimensionate alla domanda (pronte a competere) ma sarà sottratta loro la quota di FSN che andrà al privato scelto dal paziente. Possono produrre fino a 100 ma gli arriva budget per 70. Produrranno così in modo sub-ottimale alimentando un loop a favore del privato: nel regime di concorrenza per i fondi Ssn, più il privato è coinvolto, più spesa Ssn drenerà dalle strutture pubbliche indebolendole a suo favore.
Naturalmente ho qui semplificato il più possibile restando sulla teoria classica della produzione e tralasciando variabili pur cruciali nel caso, come i criteri e le modalità di accreditamento, con le sue potenziali distorsioni date dall’integrazione verticale tra programmatore-decisore-controllore ed erogatore (es. appartenenza comune a stesse parti politiche o confessionali).
O come il conflitto d’interesse più o meno latente di chi lavora per il Ssn e svolge indirettamente anche attività in convenzione. O come il ruolo della spesa privata, in alcune Regioni fino al 40% della Ssn, che va a soddisfare parte importante della domanda residua riequilibrandone il rapporto con la parte Fsn destinata alle strutture pubbliche.
Il sistema, insomma, incorpora le condizioni di “moral hazard” che, quando si oltrepassa la linea della legalità, evolve in malaffare. Evidente, allora, l’utilità di una separazione più definita, direi manichea, tra erogazione di pubblico e privato quando a carico del Ssn, valevole in una direzione o nell’opposta, liberista o welfarista, per ridurre quell’area grigia di sovrapposizione ad alto rischio di devianza.
Nella direzione liberista, “equiparatrice” tra pubblico e privato, rafforzando il ruolo di quest’ultimo, quando preferito, ovvero migliore e più efficiente, destinandogli più risorse drenate dal pubblico. Di cui però si dovranno specularmente ridurre i costi (di struttura e “overheads”) per recuperarne l’efficienza, dato che la sua produzione sarà ribassata perché maggiormente dirottata al privato.
Nella direzione “welfarista”, invece, le risorse Fsn che oggi vanno al privato si reindirizzerebbero al Ssn, a colmarne il gap, anche strutturale, magari progressivamente nel medio-lungo termine: non pago più l’affitto ma con quei soldi faccio il mutuo.
“L’avessimo fatto tanti anni fa, invece che ancora in affitto la casa oggi sarebbe nostra!”. Triste se lo diciamo noi. Ancora più triste se lo diranno domani anche i nostri nipoti. Per colpa nostra.
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria