In Italia in media il 17,4% della popolazione (oltre 8,5 milioni di persone) è caregiver. Si occupa cioè di assistere chi ne ha bisogno. E di questi il 14,9% (quasi 7,3 milioni) lo fa soprattutto verso i propri familiari (niente badanti quindi, calcolate dall’Inps in circa 900mila).
Quella dei caregiver è una rete silenziosa di assistenza, sono persone (spesso anziane anche loro) che si prendono cura o assistono altre persone (familiari e non) con problemi dovuti all’invecchiamento, patologie croniche o infermità.
E in questo senso va l’analisi dell’Istat svolta nell’ambito del
rapporto sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell'Unione europeache fa riferimento solo all’aiuto fornito per problemi circoscritti a salute e invecchiamento.
Su
Quotidiano Sanità dell’indagine Istat sono state pubblicate finora le analisi relative alle
malattie croniche e l’assistenza domiciliare, alle
cure dentali , al
ricorso a medici di famiglia e specialisti,quella sui
motivi delle rinunce alle cure, l’analisi di
quanti italiani soffrono di dolore fisico , quella di chi ha la percezione di un
sostengo sociale debole, intermedio o forte da parte delle persone che lo circondano e quella degli
incidenti domestici e stradali.
L’attività del caregiver è stata appena riconosciuta dalla legge di Bilancio 2018 che ha istituito per loro un fondo di 20 milioni di euro l'anno per il triennio 2018-2020, definendo caregiver la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell'altra parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un parente o di un affine entro il secondo grado, o di un parente entro il terzo grado se i genitori o il coniuge (o la parte dell'unione civile) della persona assistita abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Inoltre, il caregiver deve prendersi cura di una persona che, per malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non è autosufficiente, o è riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata oppure è titolare di un'indennità di accompagnamento. Anche perché senza distinzioni e selezioni l’intero stanziamento varrebbe poco meno di 3 euro l’anno a caregiver.
Rispetto a quel 17,4% medio (la media Ue 28 si ferma al 15,6%, ma vanno meglio di noi Austria, Danimarca, Finlandia, Grecia, Lettonia, Malta, Polonia, Regno Unito), il 18,5% dai 15 anni in su forniscono cure o assistenza almeno una volta a settimana a chi ha problemi di invecchiamento, patologie croniche o infermità varie. E lo fa il 17,4% di chi ha tra 65 e 74 anni, il 10,4% di chi ha più di 75 anni e in generale il 14,1% di chi di anni ne ha più di 65.
Rispetto a chi assiste soprattutto i propri parenti le percentuali si abbassano leggermente e nelle varie fasce di età si ha dai 15 anni in su il 16,1%, tra 65 e 74 il 14,1%, oltre i 75 l’8,4% e oltre i 65 l’11,5 per cento.
Le classi di età maggiormente impegnate nel fornire assistenza sono quelle tra 45 e 54 anni e tra 55 e 64 anni dove rispettivamente il 24,9% e il 26,6% fornisce assistenza e più nel dettaglio lo fa verso propri familiari il 22,0 e il 22,9 per cento.
L’impegno varia in base al tempo dedicato all’assistenza. La maggior parte (53,4%) dedica meno di dieci ore a settimana a questa attività, seguita da chi invece vi dedica più di 20 ore a settimana (25,1%). Il 19,8% dedica almeno 10 ore, ma meno di 20 a settimana e una quota dell’1,6% non dà indicazioni sui tempi.
A livello di singole Regioni la percentuale maggiore è in Friuli Venezia Giulia (20,2%), quella minore a Bolzano (11,9%). Per la percentuale di chi di più assiste soprattutto i familiari invece la prima è l’Umbria (17,1%) mentre in fondo c’è sempre Bolzano (9,3%).
Il record del minore tempo dedicato all’assistenza è del Veneto con l’81,8% che impegna meno di dieci ore (ma seconda è il Friuli Venezia Giulia con 61,4%), mentre chi temporalmente dedica di più (oltre 20 ore) è in Sicilia (37,2%).
Per quanto riguarda il livello di istruzione, chi ce l’ha medio si impegna di più (18,9% in generale e 16,3% verso i familiari), ma chi dedica all’assistenza più ore (oltre 20 a settimana) è chi ha il livello più basso di istruzione (30,8%) mentre chi vi dedica meno di dieci ore è chi ha un livello alto (58,9%).
Il reddito paradossalmente inverte la disponibilità e chi offre maggiore assistenza dai 15 ai 64 anni si trova nel quintile più ricco (18,6%), mentre chi ne offre meno è in quello più basso (13,6% al primo quintile).
Stessa proporzione, sia pure con percentuali diverse, dai 65 anni in su. Ma per chi comunque dedica all’assistenza più ore (oltre 20 a settimana) il discorso cambia e la percentuale maggiore è sia per la fascia di età dai 15 ai 64 anni (28,2%), sia per quella dai 65 anni in su (47,4%) nel primo quintile, il più povero, mentre il quinto è quello che vi dedica meno tempo (meno di dieci ore).
Gli anziani sono quindi più frequentemente caregiver di altri anziani (spesso familiari) che hanno maggiori bisogni di salute e non trovano altre forme di assistenza sul territorio.
Purtroppo però, spesso il tempo che anche questi possono dedicare ai bisogni altrui è decisamente poco, ancora una volta dimostrando la necessità di un’assistenza strutturata a vario titolo (sociale, sanitaria, sociosanitaria ecc.) e con varie figure professionali coinvolte sul territorio.