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QS Edizioni - giovedì 21 novembre 2024

Studi e Analisi

Coincidenze e resipiscenze

di Ivan Cavicchi
immagine 15 gennaio - Vorrei riflettere su tre articoli che il caso ha voluto siano stati pubblicati su questo giornale lo stesso giorno, il 5 gennaio. Essi, trattano argomenti tra loro diversissimi ma tutti e tre pongono un grande problema quello della resipiscenza e sono stati scritti da Antonio PantiAntonio Bonaldi e Luca Benci.
Il valore della resipiscenza
La resipiscenza, per me, è una delle principali virtù di un intellettuale onesto
 
E’ la capacità di essere consapevoli dei propri errori, dei propri limiti, anche delle proprie convinzioni superate, seguita da ravvedimento cioè da un qualche cambiamento della propria opinione. Senza resipiscenza non si ha cambiamento.
 
Antonio Panti: cari colleghi, il medico del tempo che fu, non tornerà più.
Classe 1937 nella sua vita professionale (medico di medicina generale) ha coperto tutte le cariche ragionevoli che si potevano coprire (sindacato ordine commissioni, incarichi istituzionali i più diversi ecc). 57 anni di professione,30 anni presidente dell’ordine dei medici di Firenze. Praticamente una istituzione.
 
Nel suo articolo esplode la sua anglofilia latente, e, guidato da Bauman traversa la Manica e l’Oceano e scopre all’inizio del 2018:
 
· la crisi della sua professione
· gli “schemi desueti” di chi la rappresenta
· la mancanza  di un progetto politico
· le retrotopie cioè la nostalgia del passato e il desiderio di fermare il mondo
 
Fino a concludere, con Keynes, che: “non è impossibile avere idee nuove, difficile è disfarsi delle vecchie”. Come dargli torto.
 
Ora, so da me che non è elegante rammentare a qualcuno quello che ha scritto e fatto ma a Panti, con tutto il rispetto e l’affetto che merita, vanno ricordate le nostre discussioni sull’argomento (QS 13 e 20 giugno 2016) nelle quali lui, da archiatra navigato, sosteneva che la “medicina amministrata” fosse inevitabile, che “l’autore” fosse una bella idea ma utopistica e che i medici alla fine erano solo dei grandi coglioni praticamente irriformabili.
 
A Panti inoltre, sempre con il rispetto e l’affetto che merita, va anche fatto notare che, da almeno 30 anni, da noi vi sono intellettuali impenitenti (quelli con bibliografie importanti che hanno avuto il coraggio di farsi ridere dietro) ostinatamente impegnati sulla “questione medica”, nei confronti dei quali, l’establishmentche Antonio, conosce come le sue tasche, ha concesso, tolleranza e compatimento, nulla di più. Che non è poco ma certamente non abbastanza per spingere il carro del pensiero.
 
Panti perdonerà la mia schiettezza ma, se è vero, che “il re è morto” allora ciò è dovuto principalmente ai medici che hanno rappresentato i medici.
 
La professione non è un singolo medico ma è una comunità e allo stesso tempo un sistema organizzato. Che la professione per anni non sia riuscita a mettere a fuoco la propria crisi, è il primo problema, poi viene il resto.
 
Spero che Panti non attribuisca “la morte del re”, alla malasorte o alla globalizzazione o al cambiamento climatico.
 
La professione, nell’ultimo mezzo secolo, non ha saputo rispondere con adeguate contro-prospettive di evoluzione alla “questione medica”. Questa è la verità. Oggi il re muore per invarianza cioè per non essere riuscito a ridefinirsi nei processi in corso. Questa responsabilità, attenzione, per me, non va interpretata come una colpa dolosa, cioè come un atto cosciente da parte della professione di far male alla professione, ma come un suo grande limite culturale. Un limite storico legato ad un epoca e a certe generazioni. Ma se questo limite non viene ammesso descritto studiato come pensiamo di rimuoverlo?
 
Per cui scusami Antonio, ma, come tu sai, il nostro rapporto è tale che possiamo evitare di essere ipocriti. Il tuo articolo è certamente un contributo prezioso ma senza resipiscenza su questo benedetto “limite storico”, non ha nessun valore pratico.
 
Uno, come te, non può solo dirci che il re è morto, ci dica almeno perché, come è accaduto, cosa è successo durante i tuoi quasi 60 anni di professione
 
Quindi, in un momento importante di discontinuità (sta per cambiare il quadro dirigente della Fnomceo, sabato è stata approvata dal consiglio nazionale una mozione sulla “questione medica”, che rimuove la rimozione cioè che la ammette, mentre, fino ad ora, è stata negata) al mio amico Panti proprio perché è Panti, cioè non uno qualunque, chiedo aiuto, cioè onestà intellettuale, resipiscenza.
 
Per lo meno aiutaci a capire gli sbagli storici per non ripeterli e soprattutto poniti (perché ne hai le qualità) come garante del cambiamento cioè incoraggia i visionari impenitenti per incoraggiare i medici perché, tu lo sai, da quando il mondo è il mondo, senza di loro non si va da nessuna parte.
 
Antonio Bonaldi: choosing wisely, eccessiva semplificazione o antidoto alla nemesi della medicina?
Anche Antonio Bonaldi si fa una nuotata oltre Oceano per polemizzare con Lisa Rosembaum del New England Journal of Medicine, che ha avanzato dubbi su Choosing Wisely che, come è noto, è diventata il cavallo di battaglia di slow medicine associazione di cui egli è il presidente.
 
A Bonaldi rimprovero una scorrettezza grave che non riesco a dimenticare che è quella di aver dubitato della mia onestà. Esattamente nell’aprile del 2016 facevo grosso modo le stesse obiezioni su choosing wisely (ma anche molte di più) che oggi fa il New England Journal of Medicine. (QS 6 aprile,8 aprile,12 aprile 2016)
 
Bonaldi, ritenendo le mie perplessità sconcertanti, cioè incomprensibili, ha pensato bene di considerarmi al soldo di qualcuno. Spero per lui che non faccia lo stesso errore con Lisa Rosembaum e con coloro che, sicuramente dopo di lei, scriveranno altri commenti critici su choosing wisely.
 
Esiste, caro Bonaldi, semplicemente l’eventualità di avere opinioni diverse e perfino che slow medicine non sia la verità in terra e che alla fine choosing wisely si mostri, come ho scritto, una finta rivoluzione.
 
Sull’articolo di Bonaldi   due sole osservazioni:
· sono contento che vi siano 44 Società Scientifiche che hanno aderito al progetto choosing wisely Italy ma sottolineo che per la logica, il ritenere vero quello che dicono in tanti,(argumentum ab autorictate) non è sempre una prova di verità, anzi, spesso è una fallacia, perché, in genere , le più grosse cantonate in medicina si prendono quando sono in tanti a sostenerle;
· sono sicuro che less is more avrà un futuro nel sistema multi-pilastro cioè con il ritorno del mutualismo  fino a costituirsi come la prima giustificazione per definire al minimo le tariffe delle prestazioni, i costi standard ecc. La riforma della cronicità della Lombardia è come se fosse  less is more oriented.
 
Ma a parte questo, che rapporto che c’è tra choosing wisely,  quindi “less is more”, slow medicine e l’annuncio fatto da Panti “il re è morto”? Cioè che rapporto c’è tra la linea intellettuale di Bonaldi e la “questione medica”?
 
Less is moreche ribadisco è la teoria di base di slow medicine (slow vale come less) è, come ho già scritto, una idea che:
· collocherei nell’ambito delle politiche di razionalizzazione di un sistema assunto nel suo complesso a paradigma invariante,
· che si attua attraverso delle regole tecniche basate su delle evidenze scientifiche a volte falsificabili,
· e che a genere di medico invariante si sostanzia attraverso delle raccomandazioni o delle indicazioni o dei consigli o dei suggerimenti.
 
Ma se “il re è morto” in che misura, in che modo, less is more/slow medicine ci possono aiutare a definire e a nominare un nuovo re?
 
Per cui a Bonaldi chiedo:
· si possono definire le qualità degli atti clinici senza definire le qualità dei medici quali agenti?
· Si possono perseguire scopi di appropriatezza con medici inadeguati?
· Come si fa con medici inadeguati a fare in modo che siano appropriati?
· Come si fa ad avere medici che per essere adeguati sono implicitamente appropriati?
 
Vorrei che voi notaste che le mie domande deliberatamente tentano di spostare il tiro da:
· “cosa fare”  a re invariante, che è il terreno di choosing wisely e di slow medicine,
· a “chi fa”  cioè un nuovo re, che è il problema posto implicitamente da Panti.
 
Quello che propone slow medicine, non implica necessariamente il ripensamento del soggetto, cioè dell’agente come, paradigma che chiarisco per non essere frainteso, non è cosa da poco. Ma il re è morto, che si fa?
 
La questione medica dice la mozione approvata dal Consiglio nazionale della Fnomceo, per essere risolta necessita di una piattaforma vale a dire di un ripensamento paradigmatico, quindi chiedo di nuovo a Bonaldi:
· less is moreè un cambiamento paradigmatico?
· Il cambiamento paradigmatico che ci serve per nominare un nuovo re è riducibile a less is more?
· Se non fosse riducibile quale progetto di re ci servirebbe?
 
Il re è morto dice Panti, bene, quale medico altro ci serve che sappia in autonomia e responsabilità scegliere nella complessità?
 
Resipiscenza in questo caso per me significa mettere le cose a posto secondo un ordine di intervento definito per priorità:
· si tratta di definireprima una progetto nuovo di medicina e di medico,
· da questo progetto di medicopoi  si tratta di ricavare le regole per guidarne le prassi.
 
A prescindere dal re non si possono decidere le sue prassi
Come re io ho proposto l’autore cioè un medico formato a bella posta, che, in piena autonomia e responsabilità, sa fare bene il suo mestiere in contesti e con soggetti, complessi per definizione, e, che quello che fa si basa sulle sue conoscenze le sue abilità le sue capacità di scegliere ciò che è meglio per il malato per l’azienda e per se stesso ed è quindi misurato in risultati e in reddito. Cosa ne pensa Bonaldi di questa idea?
 
Luca Benci: la riforma degli ordini professionali e i codici deontologici. Un gran pasticcio.
E’ un giurista brillante e competente che su questo giornale ci offre delle descrizioni dettagliate delle leggi (la legge Lorenzin la più recente). E’ un paesaggista cioè un descrittore di paesaggi normativi e le descrizioni giuridiche che ci propone, proprio perché descrizioni, hanno tutti i pregi e i difetti delle descrizioni. Per le mie necessità analitiche e per le complessità in gioco, alla sola descrizione, quale conoscenza, ho rinunciato da tempo. La descrizione per me è una conoscenza povera. Preferisco interpretare.
 
In quanto paesaggista, Benci, ritrae quello che vede, ma siccome qualsiasi descrizione, necessita di uno schema descrittivo quello che ritrae passa attraverso uno schema di paesaggio. Nel suo caso si tratta di rappresentare le norme in un certo modo quindi di dare conto in un certo modo delle loro caratteristiche ai fini di illustrarne i significati giuridici.
 
Per comprendere a pieno cosa intendo per “schema” vi invito a rileggere la premessa dell’articolo di Benci del 5 gennaio, con la quale, prima di esaminare la legge Lorenzin, egli ci spiega lo schema al quale un codice deontologico dovrebbe attenersi. Questo schema operativamente offre a Benci delle definizioni delle tipologie dei concetti che lui usa per descrivere il “paesaggio” che vede nella legge Lorenzin.
 
Ma se ha ragione Panti a dirci che “il re è morto”allora è morto anche lo schema di quel re, deontologia compresa. Se a proposito di deontologia si resta in uno schema morto si scade nel paradosso: restare in uno schema di deontologia, ci fa correre il rischio di dire cose appropriate allo schema ma inadeguate alla realtà quindi fuori luogo.
 
La deontologia, secondo lo schema di deontologia di Benci, quindi dei suoi mentori (Benciolini, Barni, ecc.) e usato per descrivere la legge Lorenzin, oggi è inservibile perché esattamente come il re, è morto.
 
Lo schema di Benci è ancorato ad una idea di deontologia quale disciplina delle condotte professionali. Ma se il re è morto, come per slow medicine, il problema non sono più le condotte del re, ma il re che non è più re.
 
Se è così, ed è così, come è possibile continuare a definire le deontologie secondo le condotte professionali quando i doveri che le regolano oggi sono diventati per tante ragioni inesigibili? Come fa il medico a fare il suo dovere in un sistema sempre più regrediente?
 
La risposta è: non è possibile, l’unica cosa seria che si può fare è uscire dallo schema e sostituirlo con un altro e prendere atto che il sistema è regrediente.
 
Le critiche che fa Benci, secondo schema, alla legge Lorenzin in gran parte tecnicamente condivisibili, sono come se fossero fuori contesto. Nel mentre il re è morto - per cui si tratta di definire un nuovo re, quindi una nuova professione, una nuova deontologia, ecc. - Benci, descrive una legge sugli ordini e sulla deontologia, ma restando ostinatamente dentro uno schema, di deontologia, che non c’è più.
 
Domanda: immaginando di accogliere tutte le sue critiche, quindi di scrivere una “legge Benci” questa sarebbe in grado di risolvere il problema del re? La mia risposta è no resterebbe, assurda, e paradossale, perché, per quanto emendata, essa resterebbecomunque dentro uno schema che oggettivamente non c’è più.
 
Ma Benci a questo punto potrebbe obiettare “ma che vuole questo, io sono un giurista e descrivo la legge che c’è”. E avrebbe pienamente ragione.
 
Ma il punto resta proprio la descrizione che, in quanto tale, impedisce a Benci di comprendere che la legge sugli ordini non è brutta, perché gli articoli sono sbagliati o scritti male, ma perché, come legge, anche se fosse scritta meglio, riproporrebbecomunque uno schema superato di deontologia.
 
Per dire che la legge non solo è “un gran pasticcio” ma è sbagliata, inopportuna, regressiva come idea politica, è necessario andare oltre la descrizione.
 
La legge Lorenzin (art. 4) guarda indietro non guarda avanti, come se il re non fosse mai morto. Quindi è regressiva. Essa non va migliorata come propone Benci ma va sostituita con una legge ispirata ad un altro schema di deontologia.
 
Su questo giornale con Benci ho avuto spesso da ridire, l’ultima circostanza è stata la storia dei bio-sfondoni (QS 20 novembre 2017).
 
Anzi, a questo riguardo, colgo l’occasione per ringraziare la professoressa Lippi della sua lezione di storia (QS 12 gennaio 2018), avanzando una proposta: smettiamola di giocare con le parole.
 
Ad una serie di bio-sfondoni (“il consenso informato ha dato il colpo di grazia all’ippocratismo”, il paradigma bioetico ha sostituito il paradigma della medicina ippocratica” “l’ippocratismo è anticostituzionale”,ecc.) ho semplicemente risposto che, per quanto riguarda l’ippocratismo, alcuni suoi postulati andrebbero mantenuti ma nello stesso tempo riformando tutto il resto.
 
Per questa idea e per dare sia un senso di continuità che di rottura, ho usato l’espressione “neo ippocratismo”. Non le va bene perché è stata usata nel 700? Nessun problema chiamiamolo “altro ippocratismo”…oppure Ugo…come proponeva Troisi,  preferendo i nomi corti. Oppure ippocratismo 3. Il punto è che, i bio sfondoni restano bio sfondoni, e che, siccome il re è morto, l’ippocratismo va riformato perché fino ad ora, nonostante tante norme rivoluzionarie, non è stato riformato.
 
Torniamo a Benci e alla resipiscenza. La faccenda dei bio-sfondoni non è stata la prima volta con la quale con lui ho avuto da ridire. Ho avuto da ridire sempre a causa del suo schema di deontologia.  Egli a proposito di codici deontologici degli infermieri:
· con qualche emendamento e pur elencando con precisione,  le aporie, ha finito alla fine  per accettare  una proposta miserabile di deontologia dell’Ipasvi nazionale, scritta da una commissione presieduta dalla senatrice Silvestro del PD (QS 4 marzo 2017).
· nello stesso tempo, si è messo per traverso ad una nuova proposta di codice deontologico di straordinario interesse culturale , quella avanzata dal collegio ipasvi di Pisa, perché “fuori schema” ma facendo finta di appoggiarla.
 
Naturalmente, neanche a dirlo, Benci ha tutto il diritto di pensarla come gli pare e l’interprete, di interpretare Benci, e dire la propria opinione.
 
La proposta della senatrice Silvestro, per quanto anacronistica fosse, per Benci, solo perché era comunque dentro il suo schema di deontologia, poteva andare, con qualche aggiustamento qua e là.
 
In quella circostanza a Benci, feci la stessa critica fatta al suo commento alla legge Lorenzin (QS 8 marzo 2017): pur accettando tutti suoi rilievi sul codice della senatrice Silvestro il codice restava comunque un pessimo codice, con un evidente problema morale. Come si fa a tollerare che un codice, per definizione obbligato alla autonomia, sia scritto da una rappresentante di un partito e di un governo? Un codice violato nella sua autonomia perde di valore per cui non va emendato ma va rifiutato.
 
Per chi descrive paesaggi questo non è importante, ma per chi interpreta la “totalità dei fatti”,come dice Wittgenstein ,questo è importante, eccome!
 
Conclusione
Se il re è morto allora l’invito pressante che faccio è di pensare insieme, di uscire dagli schemi, di aprirci a un pensiero nuovo, di sperimentare delle idee, di provare a mettere giù delle proposte, e a ragionare, come dico da anni, con una mentalità riformatrice.
 
Dire che il re è stato ammazzato facendo finta che non esista l’assassino non mi convince. Se non c’è resipiscenza allora vuol dire che nessuno sbaglia e il re muore per niente, quindi ci prendiamo in giro.
 
Ivan Cavicchi
15 gennaio 2018
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