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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Studi e Analisi

La grande sfida della cronicità

di Isabella Mastrobuono
immagine 3 gennaio - Secondo l’Oms, l’82-85% dei costi in sanità è assorbito dalla cronicità, il vero grande problema che tutti i Paesi industrializzati debbono affrontare, unitamente alla crescita esponenziale della spesa sociale, legata non solo all’invecchiamento della popolazione ma anche all’andamento del mercato del lavoro ed ai provvedimenti sui sistemi pensionistici. Ecco alcune proposte per affrontare e rimuovere i punti deboli del nostro Ssn
Il recente Rapporto dell’Ageing Working Group della Comunità europea (2016) ha fissato i principali obiettivi dei sistemi sanitari europei:
· migliorare la governance dei sistemi sanitari attraverso il rafforzamento della cooperazione tra autorità incaricate della politica fiscale e sanitaria,
· sviluppare e potenziare i sistemi informativi e di gestione dei dati che favoriscano il monitoraggio della governance,
· valutare formalmente e sistematicamente, ex-ante ed ex-post, le riforme sanitarie, utilizzando strumenti di pianificazione per una gestione efficace e strategica delle risorse umane.
 
Il tema è quello della sostenibilità finanziaria e del rapporto costo-efficacia della spesa da raggiungere (o almeno tentare di raggiungere) attraverso la riduzione della prevalenza delle cure ospedaliere e migliorando l’efficienza degli ospedali, aumentando la performance dei sistemi di assistenza primaria (non autosufficienza e cronicità), rafforzando il ruolo di "gatekeeping" dei medici di medicina generale e promuovendo un uso dei farmaci basato sul rapporto costo-efficacia.
 
Secondo l’ OMS, infatti, l’82-85% dei costi in sanità è assorbito dalla cronicità, il vero grande problema che tutti i Paesi industrializzati debbono affrontare, unitamente alla crescita esponenziale della spesa sociale, legata non solo all’invecchiamento della popolazione ma anche all’andamento del mercato del lavoro ed ai provvedimenti sui sistemi pensionistici.
 
L’ISTAT (dati pubblicati nel 2017) ci consegna un quadro dell’Italia che presenta alcune criticità:
• la quota di individui di 65 anni e oltre ha raggiunto il 22 per cento. Anche la struttura per età degli stranieri (5 milioni) mostra segnali di invecchiamento;
• gli anni di vita guadagnati sono scesi di 4,5 anni negli ultimi 10 anni (contro un aumento di 10 anni della Svezia!), nonostante gli sforzi del SSN;
• si è registrato un nuovo minimo delle nascite (474 mila). Il numero medio di figli per donna si attesta a 1,34 (1,95 per le donne straniere e 1,27 per le italiane).
• 3,6 milioni famiglie sono senza redditi da lavoro. Si tratta del 13,9 per cento del totale delle famiglie (con percentuali più alte al sud con il 22,2 per cento).
• numero più elevato di Neet dell’Unione Europea. I Neet (acronimo inglese di Not in Education, Employment or Training) sono i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano: nel 2016 sono 2,2 milioni e rappresentano la quota «più elevata tra i paesi dell’Unione Europea».
 
E’ ormai tangibile il rischio che il sistema di tutela statale del nostro Paese possa non essere in grado di garantire nel futuro equi scenari di diritti a tutti cittadini potendosi immaginare gravi tensioni generazionali e sociali. Ma ciò investe in realtà tutti i Paesi industrializzati.
 
Per questo, in sanità, la tendenza mondiale, ed europea in particolare, è quella di potenziare i servizi extraospedalieri, la cosiddetta “primary care” che la Commissione Europea (febbraio 2014) ha definito come un “sistema accessibile universalmente, centrato sulla Persona, che integri servizi sanitari e sociali, assicurati da team multiprofessionali e multidisciplinari, per fare fronte ai bisogni di salute dei cittadini in partnership tra i pazienti e i loro caregiver in un contesto familiare o di comunità, garantendo il coordinamento e la continuità delle cure”. La definizione non si limita alla tutela della salute da un punto di vista biomedico ma comprende anche aspetti socio-economici per le forti ripercussioni che questi ultimi hanno sulla vita delle persone.
 
Eppure questo settore non è così sviluppato come si crede, soprattutto nei Paesi europei che sono dotati di molti posti letto.
Tra il 2008 e il 2014, il numero di posti letto negli ospedali della Ue28  è sceso da 2.81 a 2.65 milioni, una diminuzione del 5,9%. L’Italia è tra i Paesi con il minor numero di letti ospedalieri (331 per 100 mila abitanti), e di posti letto per l’assistenza residenziale (18,1 contro 81,7 della Svezia che in totale ha oltre 500 p.l per 100 mila ab.). La Germania è il paese con più posti letto (823 per 100mila abitanti).[1]
 
In metà circa dei Paesi europei i medici di medicina generale operano ancora individualmente anche se è aumentata la tendenza a fare squadra e si rafforza la funzione di gatekeeping, la forma di finanziamento più diffusa è ancora la quota capitaria mentre alto è ancora il numero dei ricoveri potenzialmente inappropriati e quello degli accessi presso i servizi di emergenza.
 
In Italia, l’assistenza primaria affonda le sue radici nella Legge 833 del 1978 e apparentemente, nonostante le profonde differenze tra i modelli organizzativi delle Regioni e Province autonome, è più diffusa ed articolata e recentemente  l’AGENAS ha avviato i lavori ai sensi del DM 70 per la predisposizione di un documento nazionale di linee di indirizzo per il potenziamento e l’armonizzazione dei modelli organizzativi di assistenza primaria, con particolare riferimento alla cronicità.
 
Il potenziamento di questo settore è legato alle risorse a disposizione che per il nostro Paese sono di gran lunga inferiori al resto dell’Europa e di molti altri Paesi industrializzati (fig.1).
Il Regno Unito, la Svezia, la Norvegia che hanno un Servizio sanitario nazionale simile a quello italiano possono usufruire di quote capitarie di gran lunga superiori e ciò è da mettere in relazione al progressivo avanzamento dei rispettivi Prodotti interni lordi in questi ultimi anni e dal minore debito pubblico. E così mentre la Germania può contare su 400 miliardi l’anno, la Francia su oltre 270 e così via, l’Italia può contare su appena 114 miliardi di euro. Il fabbisogno del nostro Paese si attesta al 6,34% del PIL nonostante l’aumento registrato a carico di quest’ultimo ed è difficile immaginare un incremento che tenda ai valori degli altri Paesi perché l’Italia è gravata da un debito pubblico tra i più alti al mondo. (Figura 2)
 
Per mantenere tale livello di finanziamento, le Regioni e Province autonome hanno fissato una serie di misure restrittive nel tempo, spesso camuffate sotto il termine di lotta agli sprechi, che hanno ricompreso:
· fissazione di tetti di spesa (farmacuetica, strutture private)
· blocco delle assunzioni ed iscrizioni alla facoltà di medicina
· riconversione di piccoli ospedali ed incenticìvazione dell’assistenza diurna ed ambulatoriale
· riduzione dei posti letto per acuti e delle unità operative
· forte spinta ai servizi del territorio
· controllo sui prezzi di beni e servizi e centralizzazione degli acquisti
· controllo del comportamento prescrittivo dei medici
· partecipazione alle spese da parte dei cittadini.
 
Ma questi interventi appaiono oggi non più sostenibili sul lungo periodo come anche il documento della Commissione Europea “Assessment of the 2012 National Reform Programmes and Stability Programme for the Member States” sottolinea esortando a :“ Trovare efficaci mix di partnership pubblico privato, per far fronte, nonostante tutte le razionalizzazioni ed efficientamenti possibili di sistema ai costi della cronicità e delle cure di lunga durata che rappresentano la vera sfida  per il vecchio continente”.
(segue)

Isabella Mastrobuono
Referente per l’assistenza primaria e la cronicità della Provincia autonoma di Bolzano

 
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3 gennaio 2018
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