Il
dato diffuso dal’OMS che almeno 12,6 milioni di persone muoiono ogni anno a causa di cause ambientali evitabili e che il 23% delle morti globali e il 26% dei decessi tra i bambini al di sotto dei cinque anni sono dovuti a fattori ambientali modificabili disvela una verità tenuta nascosta; una strategia di distrazione di massa, in cui, attraverso una inversione tra antecedente e conseguente, le cause remote ed efficienti delle malattie vengono ridotte a semplici effetti, sottratte alla dinamica sociale e relegate nello spazio corporeo concluso e privato dell’individuo.
Dai dati dell’OMS, infatti, riemerge la vecchia questione, da anni scomparsa dal dibattito pubblico, dei determinati di salute; e con essa quella non meno importante del ruolo modesto che la medicina clinica riveste in raffronto alle componenti socio-culturali/stili di vita; e dell’illusione che è anche una mistificazione epistemica insita nella credenza che sia sufficiente il potenziamento dello strumentario diagnostico-terapeutico della medicina per creare salute uguale per tutti.
La medicina di precisione, prepotentemente affermatasi come nuovo paradigma, è uno degli strumenti utilizzati per ridefinire il contesto della società del rischio globale, neutralizzandone le contraddizioni che ne possono mettere in discussione le basi . Si rinuncia ad investire nell’ambiente e in un diverso modello di sviluppo che potrebbe ridurre drammaticamente il carico globale di malattia ( sono 9 milioni le morti premture indotte nel solo 2015 da malattie causate da inquinamento) per offrire la ben magra consolazione, ai pochi cittadini fortunati per nascita e censo, che una volta ammalati potranno essere curati con terapie personalizzate sempre più efficaci.
Si badi bene, non si vuole certo negare gli straordinari progressi che la medicina di precisione ha realizzato nella cura dei tumori , nell’asma grave o nelle malattie reumatiche. Si vuole solo richiamare l’attenzione su come il modello biomedico, di cui la medicina di precisione rappresenta l’evoluzione, sia inadeguato per comprendere e spiegare i fattori efficienti delle malattie e soprattutto come tale modello sia di scarsissima efficacia per migliorare i livelli complessivi di salute di tutta la popolazione.
Lo sguardo sulla trasparenza della natura: il modello bio medico di malattia
Il modello bio-medico di malattia nasce quando lo studio topografico delle malattie subentra alle fumose classificazioni della medicina delle specie settecentesca. L’abbandono di quel modello tassonomico di derivazione botanica, con le sue simmetrie e analogie, dette luogo ad una nuova concettualizzazione dell’essenza della malattia. Uno sguardo aperto solo alla trasparenza della natura che ebbe inizio con il solidismo di Morgagni con la sua identificazione nell’organo malato della sede della malattia.
Un approccio di tipo macro a cui seguì l’approfondimento a livello meso da parte di Bichat (con il suo studio sulle membrane) per arrivare infine a livello micro con Virchow con la identificazione della cellula come unità fondamentale del vivente. Da qui in poi lo studio dell’ultrasottile scenderà a livello molecolare con l’identificazione della molecola responsabile della malattia ( caso idealtipico le emoglobinopatie) e poi sub molecolare con la scoperta di nuovi player: i driver attivatori dei loops patologici nelle neoplasie ( recettori tisonchinasici); le citochine responsabili dell’avvio e mantenimento della flogosi (Il 5, Il6, TNFa, IL4/13 etc) e i MicroRNA induttori delle malattie immuno-mediate e dei tumori.
In tale concettualizzazione l’ens morbis cessa di essere la forma idealtipica (di derivazione dall’idealismo platonico) riproponibile all’ infinito nella sua assoluta uniformità e si individualizza, trasformandosi in fenotipo e poi in endotipo con una espressività clinica specifica e differente per ciascun individuo. L’avvento del trascrittoma, possibile oggi con lo straordinario sviluppo delle tecniche di sequenziamento tramite micro array, ha fornito ora la visione plastica del fenotipo sotto forma di fotogramma. Un’immagine che illustra attraverso bande a diversa intensità di colore le reti geniche attivamente coinvolte nella genesi della malattia di ciascun individuo, delineandone al contempo peculiarità e similitudini con forme morbose vicine e lontane dal punto di vista tassonomico.
La “falsa coscienza” della Medicina di precisione
La
omics medicine è il frutto maturo di questa visione della malattia che cerca nel profondo il meccanismo biologico alla base del fatto morboso con l’acquisita consapevolezza, avvenuta solo in tempi recentissimi, della irriducibilità della stessa a elemento seriale privo di “differenza”. Emblematicamente alcuni anni fa alla apertura del meeting annuale dell’ASCO il messaggio iniziale proiettato in plenaria era “
il tumore è una malattia rara” . Un modo per rimarcare la specificità che ogni tumore alberga in sé rendendolo così unico per ogni soggetto e differente anche a sé stesso, perché intrinsecamente mutevole, nel caso di metastasi o recidiva.
Una dichiarazione di differenza tuttavia che non si pone il problema delle cause, ma che cerca esclusivamente la riparazione del danno accettando, rispetto alla clinica di soli pochi decenni orsono, la sfida della individualità e della mutevolezza della malattia. La contraddizione tra causa ed effetto si risolve, tuttavia, ancora una volta in un intervento correttivo sull’effetto. La novità è nelle tecnologie oggi disponibili: manipolazione genetica, rieducazione delle cellule immunitarie, blocco delle tirosinchinasi e degli altri driver responsabili della proliferazione cellulare, per citare alcune delle linee di sviluppo più seguite.
Le nuove tecnologie, che sono alla base della medicina di precisione, (lanciata dal presidente Obama con investimenti stratosferici che, per molti, potevano essere impiegati per una diversa politica sanitaria), sono state possibili solo grazie ai poderosi investimenti delle grandi coorporations farmaceutiche. Ed ora con la commercializzazione delle molecole intelligenti (i farmaci biologici) frutto di quelle ricerche è arrivato il momento per le grandi multinazionali del farmaco di saldare il conto con i dovuti interessi.
Un conto destinato a crescere per l’aumento esponenziale di molecole utilizzabili e dei loro costi. Ed infatti la spesa per farmaci biologici è cresciuta enormemente pervadendo non solo i campi in cui non vi erano alternative valide (come il campo oncologico) ma anche quelli, come il reumatologico, dove tali alternative (a bassissimo costo peraltro) esistevano.
Lo stesso dicasi in altri campi come in quello allergologico dove nella terapia dell’orticaria cronica la vecchia ed efficace ciclosporina è stata soppiantata da nuovi farmaci biologici a questa non superiori. E dunque terapie tradizionali vengono sostituite, con l’approvazione delle società scientifiche, con eccessiva facilità e senza avere dati attendibili sui possibili effetti a lungo termine dei nuovi farmaci.
Immutati, dunque, i limiti insiti in un approccio esclusivamente orientato sull’individuo malato. Un modo di intendere la medicina che tuttavia, non senza malizia, fa proprie anche alcune istanze della visione bio-sociale: utilizzo dei big data e analisi dell’ambiente per una migliore conoscenza epidemiologica. Un ambiente, tuttavia, neutralizzato, perché privato della sua dimensione politica e quindi artificialmente sterilizzato dalle dinamiche sociali. La medicina di precisione opera dunque una sorta di rivoluzione passiva che assorbendo alcune istanze dal modello bio-sociale ne elimina l’essenziale: la dimensione del conflitto tra classi sociali, tra individuo ed ambente.
I grandi sostenitori della medicina di precisione rappresentata come una vera rivoluzione sono dunque dimentichi di quelle cause remote, socialmente determinate come la patogenicità dell’ambiente, del lavoro e degli stili di vita che agendo sulla costituzione genetica dell’individuo sono alla base dei fatti morbosi. Fattori causali che agiscono con drammatica precocità a partire dalle prime fasi di vita (il momento del concepimento, la gestazione e la primissima infanzia) in virtù di specifici effetti epigenetici che modulano l’espressione genica (attraverso processi di attivazione o silenziamento genico) e sono in grado di determinare dis-funzionamenti che solo successivamente si renderanno visibili come danno conclamato e come tale irreversibile. La malattia dunque come evento storico, come processo di lunga durata, come narrazione di una complessa interazione dell’individuo con il suo ambiente di vita
Un altro modo di vedere l’uomo e la natura: i determinanti di salute e l’approccio bio-psico-sociale
Questo altro modo di vedere la malattia, tuttavia, è anch’esso parte integrante della medicina. Un approccio che fin dalla fondazione è stato al contempo apertura verso il mondo vitale (i trattati del corpus ippocratico: Aria, acqua e luoghi e i venti con le correlazioni tra ambiente e malattie) e metodo d’indagine sulla realtà sociale (Bernardino Ramazzini che nel “De morbis artificum” (1713) correla occupazioni e malattie).
Un metodo analitico svalutato dalla “medicina” tradizionale e dal suo modello ermeneutico dominante che ri-emerge nel politico solo nel XX° sec.(lotte operaie contro la nocività in fabbrica e per il diritto alla salute); che rende finalmente dicibile un nuovo discorso (soggettività operaia e gruppo omogeneo con legge 833/1978) e che disvela i determinanti socio-economici di salute (le indagini campionarie della città di Torino e di Firenze).
Il tradizionale modello bio-medico viene attaccato e se ne contestano i limiti (rapporto causa/effetto unidirezionale; astrazione dell’uomo dal suo contesto, neutralità della scienza). Si fa strada un nuovo modello di tipo bio-psico-sociale che ri-concettualizza la malattia ridefinendone gli attributi: processo di lunga durata; evento storico socialmente determinato; complessa interazione dell’individuo con il suo ambiente di vita a partire dal momento della gestazione.
Il rapporto tra individuo e società viene ribaltato e la malattia trova la sua ragione d’essere nel modello di sviluppo prevalente, nei rapporti di classe, nella traiettoria che ciascun individuo traccia nello spazio sociale e del diverso capitale di cui dispone (culturale, familiare, sociale etc).
E ancora una volta è l’OMS a sostenerne le ragioni di questa visione dimostrando come nella produzione di benessere e salute il peso che i servizi sanitari (il momento della diagnostica e terapia) hanno, non va oltre il 20% del totale, mentre l’ambente e gli stili di vita superano di gran lunga il 50% del totale. E che dunque la salute per tutti passa attraverso il contrasto ai fattori di nocività presenti nell’ambiente , nel mondo del lavoro negli stili di vita insalubri, nella deprivazione culturale e sociale.
Contro questi fattori patogeni la voce della politica è flebile come dimostra il ben misero investimento che si fa in prevenzione nella maggioranza dei paesi , il nostro compreso. Le somme destinate alla promozione della salute e alla prevenzione non superano il 3,5% del totale; un livello talmente basso da rendere gli interventi parziali, frammentari e privi di quelle efficacia che essi potrebbero avere se i policy maker fossero più responsabili e meno condizionati dal complesso sanitario-farmaceutico privato.
Il campo istituzionale sanitario: attori, conflitto e stabilità
La sanità, come ho avuto modo di ricordare in diverse occasioni, è un campo istituzionale in cui gli attori in esso presenti (lo Stato, le regioni, i corpi intermedi, il complesso sanitario industriale privato, i professionisti, i cittadini) mettono in atto strategie per assumere una posizione di stakeholder nella divisione sociale del lavoro e di massimizzare i propri interessi. Quei soggetti che, anche attraverso politiche di alleanze mirate, riescono ad imporre la propria leadership, sono poi in grado di condizionare e di promuovere il modello assistenziale più rispondente alle proprie utilità. Utilità che seppur legittime possono confliggere con altri interessi legittimi e spesso con quelli degli utenti finali: i cittadini.
In tale contesto è chiaro che il valore aggiunto insito nella lotta ai fattori di nocività presenti sia nell’ambiente di vita che di lavoro non solo è visibile in un arco temporale lungo, ma è soprattutto poco vantaggioso per le multinazionali del farmaco o delle tecnologie sanitarie. E dunque con la fine delle stagioni della partecipazione popolare alle lotte per la salute quel tipo di sensibilità alla promozione della salute non trova alcuna sponda nella politica ( troppo condizionata dalle lobby del settore) e spesso anche nella società civile ( priva di vera autonomia dalla politica).
Le tre ere della medicina secondo Berwick
In un recente editoriale sulla rivista
JAMA,
Donald M. Berwick discutendo del poliedrico conflitto che pervade attualmente il campo istituzionale americano identifica la collisione delle due passate ere della medicina (che definisce in termini di stakeholders, valori e aspettative) con le attuali credenze (terza era) con esse ormai incompatibili. E in particolare per Berwick la terza era della medicina (quella attuale) si costituisce su credenze e valori che rifiutano sia il protezionismo della prima era (in cui erano i medici ad essere i giudici esclusivi della qualità del loro lavoro) e sia il riduzionismo della seconda era (in cui sono gli amministratori a decidere su valutazione dei professionisti, misurazione, incentivi e modalità di pagamento degli erogatori, etc.) e ha come sua specifica logica istituzionale la morale (etos). La morale come unica va di uscita dal conflitto il cui perdurare non si tradurrà in nessun vantaggio né per professionisti né per gli altri soggetti istituzionali e tanto meno per i pazienti.
Accogliendo questa suggestione di Berwick qual è dunque la morale che noi dobbiamo introdurre nel nostro servizio sanitario per risolvere i conflitti che lo agitano migliorando la qualità del sistema? E’ chiaro che non si tratta solo e soltanto della legge morale che ogni professionista deve perseguire nel proprio operato.
Si tratta al contrario di una etica pubblica basata sul principio di responsabilità e che a mio giudizio non può che esprimersi in termini riconosciuti come validi dalla comunità scientifica che questi temi tratta:
• prioritarizzazione degli interventi valorizzando quelli che massimizzano il benessere complessivo delle popolazione incidendo sulle cause remote delle malattie e non solo su quelle prossime ( partendo dalla istruzione e dagli stili di vita);
• corretto uso delle risorse;
• equità nell’accesso alle cure;
• sicurezza delle cure;
• lotta al consumismo sanitario e appropriatezza clinica come dovere morale del professionista.
Un nuovo paradigma di promozione della salute per tutti
Per realizzare questi obiettivi non è sufficiente richiedere una nuova riforma sanitaria. Inutile è una ulteriore produzione legislativa perché il problema non è regolatorio ma culturale. Serve in realtà una vera rivoluzione culturale: per prendere definitivamente commiato dall’idea che la medicina curativa, ivi compresa quella di precisione (di cui non si minimizzano certo gli aspetti positivi) possa contribuire in maniera esclusiva alla promozione della salute; per fare diventare tale assunzione una nuova credenza utilizzabile per modificare la realtà, come direbbero i pragmatisti americani. Una rivoluzione che è possibile tuttavia solo attraverso una strategia di attivo coinvolgimento dei cittadini e degli utenti del servizio sanitario.
Serve dunque la scrittura di un nuovo patto con quanti (cittadini, forze sociali) sono realmente interessati ad implementare i livelli di salute complessiva della popolazione nella chiarezza che tali interventi sono di natura socio politico anche se per la loro realizzazione sono indispensabili le competenze tecniche dei medici e degli altri professionisti della salute.
Roberto Polillo